14.11.2012 - IL CASO - "Sono inerme e uso violenza solo contro me
stesso" - Il diario del medico fossanese malato di Sla - ALBERTO DAMILANO
- http://edizioni.lastampa.it/cuneo
Come si può raccontare la
sofferenza, la solitudine, l’angoscia? Siamo in fascia protetta, allontanate i
bambini, please. Devo spiegare quel che non si può spiegare. Raccontare come si
può arrivare a rischiare la vita con uno sciopero della fame.
Come raccontare l’indicibile?
Come raccontare la prima crisi respiratoria, quel senso di morte che provi
quando hai i polmoni pieni di schiuma e l’aria non passa più? Come spiegare
quando ti svegli dopo la tracheostomia e ogni giorno che passa è un gioco a
scacchi con la morte, in compagnia del tuo ventilatore che soffia come un
mantice notte e giorno? Come spiegare l’angoscia di stare immobile in un letto
alle tre del mattino, respirare a fatica, aver bisogno di essere aspirato e non
poter chiamare nessuno perché il tuo puntatore oculare è andato in tilt ?
Succede.
E com’è convivere col terrore che
i tuoi occhi si fermino per sempre? Perché accade, di rado ma accade, e non
puoi prevederlo.
Se ci arrivi, a provare tutto ciò
e molto altro ancora, vuol dire che in te alberga un’insopprimibile pulsione di
vita. Significa che hai accettato la tua condizione senza riserve, che sai
guardare avanti senza mai voltarti indietro. La nostalgia uccide.
Io non so quali siano le
motivazioni degli altri per digiunare, credo ognuno abbia le sue. Non c’è
azione collettiva come uno sciopero della fame che rechi con sé il massimo
possibile di scelta individuale. Io ho chiare le mie. Vivere dignitosamente e
adeguatamente assistiti quando vecchi o ammalati è un diritto. Se protestare
non serve, allora non resta che gridare la propria lotta con forme estreme.
Quando si è varcata la soglia della vita oltre quella che sarebbe il termine
naturale della vita stessa, la morte non fa più paura.
C’è chi ci accusa di vile
ricatto. L’autore di un ricatto agisce da una posizione dominante, vessa la sua
vittima, io mi prendo tutta intera la responsabilità di quel che faccio, sono
inerme e uso violenza solo contro me stesso.
Agisco anche per suscitare
compassione, non mi illudo in chi ci governa, ma verso la gente comune, in modo
che cresca la pressione popolare sul governo. Questa, che noi si usi un’arma
compassionevole è un’altra accusa che ci viene rivolta. Una volta affermato che
quel che viene sottratto è un diritto, non può essere una colpa mostrare la
sofferenza a chi non ne è consapevole.
Si tende a confondere compassione
con pietismo, emblematica è la tv del dolore, dove ci si commuove per procura
della sofferenza che si fa spettacolo. Compassione significa cum patire,
entrare in risonanza emotiva con la sofferenza dell’altro. Detto che non è
possibile dire l’indicibile, mi sembra che ce ne sia bisogno, di compassione,
in questa società sempre più anestetizzata.
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