Fecondazione eterologa, i dubbi della Corte europea - il fatto - Ieri l’udienza a Strasburgo in vista della sentenza d’appello sulla legge austriaca che limita la provetta con donatori esterni Le ricadute sull’Italia di Pier Luigi Fornari, Avvenire, 24 febbraio 2011
E’ stato dibattuto ieri nella Grande Chambre di Strasburgo (la stessa che deve pronunciarsi sulla questione del crocifisso nei luoghi pubblici) il ricorso dell’Austria contro la sentenza di primo grado che il 1 aprile 2010 ha condannato il divieto posto da Vienna alla fecondazione eterologa. Come al solito i magistrati del capoluogo alsaziano metteranno del tempo a decidere (c’è chi prevede un anno). L’Austria ieri ha difeso con efficacia la sua posizione, ma in caso di un’inopinata conferma della prima sentenza, il pronunciamento definitivo della Corte non può comunque avere ricadute in Italia sulla legge 40 perché la nostra legge è assai diversa da quella austriaca.
La normativa italiana infatti vieta ogni forma di eterologa, mentre quella di Vienna proibisce solo la fecondazione eterologa in vitro, cioè con ovulo o seme (o entrambi) provenienti da donatori esterni alla coppia, consentendo invece quella in vivo, cioè la fecondazione che avviene all’interno del corpo della donna e quindi con il solo gamete maschile esterno ai due. Va poi ricordato che i magistrati del Consiglio d’Europa (47 Stati membri, invece dei 27 della Ue) sentenziano solo su casi singoli nella specificità della situazione normativa e personale dei ricorrenti. I loro pronunciamenti non possono dunque avere ripercussioni legislative in tutta Europa e si concludono semmai con la richiesta di un risarcimento da parte della Nazione chiamata in giudizio. onostante ciò è innegabile che la strategia di coinvolgere l’Italia è in atto da tempo, e anche lo svolgimento della seduta di ieri ne fornisce una qualche prova. Tant’è che la condanna della legge austriaca in prima istanza è stata presa in Italia a fondamento per il rinvio della nostra legge 40 sulla procreazione assistita alla Consulta per dubbio di costituzionalità. Ieri poi a Strasburgo l’avvocato delle due coppie che hanno impugnato il divieto di eterologa posto da Vienna, Wilfried Ludwig Weh, ha tentato di coinvolgere pretestuosamente l’Italia, quando con ampie citazioni dell’avvocato Marilisa D’Amico in favore delle due Ong, Hera e Sos Infertilità protagoniste di battaglie contro la legge 40, è arrivato ad affermare che nel nostro Paese la posizione sull’eterologa non è decisa e non è chiara sul piano giuridico. L’avvocato austriaco poi ha attaccato, dileggiandolo, «il margine d’apprezzamento» definendolo una sorta di «fantasma di Canterville». Eppure si tratta di uno dei capisaldi della giurisprudenza di Strasburgo secondo cui le materie etiche debbono essere lasciate interamente alla valutazione degli Stati membri.
A questa sapiente prassi giuridica è stata contrapposto da Weh «il diritto fondamentale ad avere un figlio» che dovrebbe essere garantito dallo Stato. In conclusione è stato chiesto un aumento dei risarcimento imposti alle nazioni ritenute colpevoli. Efficace l’intervento di Brigitte Ohms a difesa della legge austriaca. Sono stati ripresi anche argomenti contenuti nelle memorie dell’Italia e della Germania a favore di Vienna. In questi documenti è stata respinta decisamente l’idea che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che è alla base della Corte, sancisca «un diritto al figlio». Citando una sentenza di Strasburgo, la memoria presentata dal governo italiano afferma, tra l’altro, che la Convenzione «non garantisce, in quanto tale, un diritto di adottare o di integrare in una famiglia un bambino che non sia figlio di sangue della coppia in questione» e neppure impone a uno Stato membro una obbligazione positiva di mettere a disposizione delle coppie sterili tutte le tecniche possibili per avere un bambino.
Un tale obbligo positivo non vale neppure per l’autorizzazione da parte di uno Stato della procreazione medicalmente assistita. Per estendere la sfera dei diritti fondamentali rispetto a quelli sanciti dal primo testo della Convenzione – aggiunge il documento del nostro Paese – è necessario il consenso degli Stati membri. Se invece manca è doveroso che «il margine di apprezzamento» in queste materie sia «molto ampio». A favore dell’Austria hanno presentato memorie due Ong, l’austriaca Aktion Leben e lo Euopean Centre for Law and Justice (Eclj), che rappresentava 51 europarlamentari e altre 7 Ong, tra cui l’Unione mondiale delle organizzazioni delle donne cattoliche e la Federazione delle associazioni familiari cattoliche europee. Il direttore di Eclj, Grégor Puppinck, auspica un ripensamento della Corte perché la sua prima decisione è stata «pesantemente problematica in quanto mina la famiglia, e presuppone l’esistenza di un 'diritto ad avere un figlio' violando la sovranità nazionale in materia di bioetica».
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