Non è un Paese per vecchi - February 19th, 2011 - Il disagio dell’Occidente di fronte al Malato di Carlo Bellieni (Osservatore Romano)
Un rapporto scioccante del Garante per la sanità del governo inglese, riporta che negli ospedali migliaia di anziani sono lasciati sporchi, affamati, senza trattamento antidolorifico adeguato. L’Independent parla di “una società disumana”, il Daily Mail del 16 febbraio di “Crudeltà che getta vergogna su un Paese civile” mentre il 14 il Telegraph titolava inorridito: “Non c’è posto nella Grande Società per la generazione dei vecchi”. Ma non basta: l’Ufficio Nazionale di Statistica il 31 gennaio riporta che nel quinquennio 2005-2009, negli ospizi inglesi sono morti 650 anziani di disidratazione e 157 di malnutrizione. Neil Duncan-Jordan, dell’associazione nazionale pensionati riporta sul Daily Mail che nonostante che stare in ospizio sia molto costoso per l’anziano, “nessuno ti aiuta a mangiare o si assicura che tu abbia bevuto a sufficienza”. Scandalosa questa incuria, ma non inaspettata: si accorda purtroppo molto bene con altri report fatti al Parlamento inglese sul trattamento scadente riservato ai malati mentali - “Valuing People Now” (2007) e “Healthcare for all” (2008) - tanto che il Lancet nel giugno 2008 scriveva che i disabili mentali sono “invisibili” per il sistema sanitario nazionale inglese. Insomma, chi meno può far sentire la sua voce riceve un trattamento proporzionatamente inferiore. Ma è solo un problema di forza? Un’indagine fatta numerosi Paesi occidentali pochi anni fa mostrava che la maggioranza dei medici pensa che la vita con disabilità neurologica, ma anche con handicap fisico grave sia peggiore della morte, secondo quanto pubblicava il “Journal of the American Medical Association”, nel novembre 2000.
Segno di un vulnus culturale, di un disagio morale profondo, che mostra la disabilità non come qualcosa da superare, ma come cosa intollerabile, verso cui si prova avversione, non compassione. La riluttanza verso l’inerme ha due facce: una è quella vista finora, l’altra è parlare fino alla nausea di morte e come far morire, come se fosse quello il problema di malati e anziani.
Infatti in tanti Paesi, compresa l’Italia, sembra che il problema non sia come vivere meglio, ma invece, trovare soluzioni, escamotages e strategie “per morire”, come se il nemico non fosse l’abbandono, ma un supposto accanimento a tenerti in vita. Le pagine dei giornali sono dedicate al testamento biologico, all’eutanasia, alle direttive di fine vita, in una ricerca colma d’ansia di vie per morire. I giornali parlano ossessivamente di morte, una tendenza non equilibrata, che di fronte alla forte richiesta di compagnia e cura, sa solo offrire strade sempre più scaltre per morire. Non a caso in questo clima culturale, accade che in Francia diversi ospedali hanno aperto convenzioni con un’associazione favorevole all’eutanasia, che può anche entrare in contatto con i pazienti, a dispetto delle proteste anche di psicologi, che lamentano il rischio di un contatto tra certe idee e una popolazione di soggetti affettivamente fragili.
Il problema della morte con dignità non è come affrettarla, ma come vincere dolore e solitudine. Ma è stato creato scientificamente un clima di terrore verso un presunto e improbabile accanimento a tenere in vita. E il terrore scientificamente sparso è il tratto di fondo di questa società: come riporta in “Il diritto della paura” (Ed Il Mulino) Cass R. Sunstein, consigliere di Barak Obama, che sostiene una tesi ben nota agli economisti: l’essere umano è tanto colmo di paure, che se preso dai rumors e dalla propaganda, si disinteressa delle probabilità reali, magari scarse, che un avvenimento avvenga e si getta in un’impari lotta per evitarlo. Ci stanno trasformando in una generazione di persone impaurite, che sa solo cercare strade per difendersi, correre ai ripari, fuggire, guardando la morte come ultima disperata consolazione, perché la vita in fondo ha perso significato e attrattiva. E allora diventa logico non investire in cure migliori per chi “è inutile”, ma semmai nelle strategie “di uscita” da una vita divenuta ingombrante.
L’abbandono dei vecchi, oggi sulle prime pagine inglesi, non è un problema di malasanità ma di disagio culturale di fronte al malato, icona incancellabile, finché in vita, della realtà della interdipendenza umana, della certezza che nessuna vita è inutile anche se non è più produttiva, idea certo non amata da chi invece predica il culto della vita “degna” solo a certe condizioni di indipendenza e salute. Insomma, chi sta male dà fastidio: non si trova nemmeno più chi sia disposto a fare l’infermiere dato che non si sopporta il contatto la persona fragile, memoria scomoda della propria fragilità. Per accudire chi è fragile, bisogna infatti essere forti e creare rapporti, mentre oggi, parafrasando Tacito, possiamo dire che “hanno creato solitudine e l’hanno chiamata libertà”.
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