Disabili - «Libertà di scelta» Ma assomiglia a un abbandono, di Laura Badaracchi, Avvenire, 3 febbraio 2011
In attesa che cominci la discussione alla Camera sulla legge per il testamento biologico, il tema è stato messo al centro di un dibattito promosso giovedì scorso da Scienza & vita e dalle Acli romane. «La scelta della fine, la fine della scelta» l’argomento scelto per la serata nella parrocchia di Santa Francesca Romana all’Ardeatino, alla quale sono intervenuti Lucio Romano, dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, copresidente nazionale dell’associazione Scienza & vita, e Mario Melazzini, direttore scientifico del centro clinico Nemo e presidente dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica. Entrambi si sono confrontati sul nodo della presunta «libertà di scelta»: è lecito per la legge in vigore disporre della propria esistenza fino al punto di lasciar scritto di staccare ogni macchina? «Il principio di indisponibilità della vita umana e del proprio corpo è già codificato nel diritto dello Stato – spiega Romano –. Un principio e un valore laico ampiamente richiamato in diverse altre norme, che riconoscono la tutela della vita umana». E ha aggiunto: «Ritengo estremamente pericoloso identificare la vita percepita di 'scarsa qualità' come 'non degna'. Sia per quanto attiene gli aspetti giuridici che etici e assistenziali, la questione è antropologica».
«Il medico prende in considerazione le volontà del paziente – prosegue Romano –, ma deve decidere nell’interesse del malato, prendendosi cura di lui e non solo somministrando terapie; evidentemente non può effettuare o favorire trattamenti che provochino la morte, evitando allo stesso tempo l’accanimento terapeutico e favorendo le cure palliative». «Oggi viviamo in una realtà e in una società che mandano un messaggio culturale molto chiaro: vivere in alcune condizioni, legate a una malattia o a una fragilità, non è conciliabile con un’esistenza degna di essere vissuta», ha osservato Melazzini, rilevando: «Sono le persone malate o fragili a essere costrette a chiedere, quasi debbano essere autorizzate, di poter essere libere di vivere. Ed è il loro diritto alla vita a diventare un percorso quotidiano di battaglia, un bisogno che va richiesto e non è affatto detto che venga soddisfatto». Occorre quindi investire «sul piano economico e culturale » per riaffermare «il valore unico e irripetibile di ogni essere umano, anche di chi è considerato 'inutile' ». Per il presidente dell’Aisla «il principio della libertà personale e dell’autodeterminazione viene molto spesso invocato per giustificare un atto di abbandono».
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