«Fine vita, il vuoto normativo riempito dalle sentenze» - l’intervista - Un autentico «caos giurisprudenziale» creato da provvedimenti giudiziari di segno opposto, che suppliscono alla perdurante assenza di una legge Il vicepresidente vicario del Comitato nazionale per la bioetica Lorenzo D’Avack denuncia una situazione che si è fatta ormai insostenibile: «Occorre che una norma esca dal Parlamento e non dai tribunali» di Enrico Negrotti , Avvenire, 3 febbraio 2011
Una situazione di «caos giurisprudenziale». Definisce così il vicepresidente vicario del Comitato nazionale per la bioetica, Lorenzo D’Avack, il proliferare di pronunciamenti di segno diverso – da parte dei giudici tutelari – sulla indicazione di un amministratore di sostegno da parte di una persona sana per poter decidere come essere curato, nell’eventualità di una malattia e dell’incapacità di intendere e volere: l’ultimo caso è avvenuto a Firenze il mese scorso. «Mi lascia perplesso – aggiunge il professor D’Avack, che insegna Filosofia del diritto all’Università di Roma Tre – che un vuoto normativo sia riempito dal potere giudiziario. Occorre che una norma esca dal Parlamento e non dai tribunali». Come valuta la possibilità di nominare un amministratore di sostegno per un ipotetico futuro di malattia?
Si fa riferimento agli articoli 404 e 408 del Codice civile. Il primo caso avvenne anni fa al tribunale di Modena, ma si trattava di una persona gravemente malata, che a distanza di non molto tempo morì. Successivamente sia a Modena sia presso il tribunale di Cagliari e ora a Firenze questi decreti si sono allargati alla possibilità di indicare l’amministratore di sostegno anche per persone sane. Ma nello stesso tempo sono giunte altre decisioni, di segno contrario, sia a Roma – con un’ordinanza del 1° aprile 2009 – sia allo stesso tribunale di Firenze, un caso che mi sembra particolarmente singolare.
Perché?
L’8 aprile 2009 il tribunale di Firenze negò la richiesta di una persona sana che voleva indicare un amministratore di sostegno «ora per allora», un po’ come nel testamento biologico, in previsione di non essere in grado di manifestare il proprio pensiero in merito alle cure. Il tribunale bocciò la richiesta, e il cittadino presentò ricorso. Ma la Corte d’Appello di Firenze lo respinse e diede ragione al tribunale con accenti sostenuti, sottolineando che la richiesta era frutto di una «lettura priva di basi testuali» e che era «pragmaticamente stolta».
Che cosa significa?
Se fosse ammissibile che le persone sane si rechino dal giudice per indicare un amministratore di sostegno potremmo andare incontro a centinaia di richieste che potrebbero diventare ingestibili da parte degli uffici giudiziari nel momento in cui fosse necessario dar corso alle richieste. Infatti l’amministratore di sostegno viene nominato solo nel momento in cui effettivamente serve, e il giudice deve valutare se la persona è idonea, cioè ha le caratteristiche adeguate a un simile ruolo. Nel più recente caso di Firenze colpisce quindi non solo la diversità di opinione tra giudici di distretti giudiziari diversi, che può talora accadere nell’interpretare le norme, ma anche la differenza di giudizio all’interno dello stesso tribunale, e a breve distanza di tempo da un altro pronunciamento, tra l’altro confermato da una corte superiore.
Il parere del tribunale è riformabile?
In questo caso no, perché non essendoci controparte nessuno farà ricorso. Ma lascia sconcertati che il tribunale dimentichi l’indirizzo giurisprudenziale della sua Corte d’Appello. Non si aiuta alla realizzazione di un principio cardine: la certezza del diritto.
Non stupisce che si allarghi alla cura della persona una figura nata per un fine di amministrazione patrimoniale?
Guardi, su questo aspetto ci sono già precedenti che vanno verso la possibilità di nominare un amministratore di sostegno non solo per motivi economici ma anche per la cura della propria persona, segnatamente per scopi sanitari. Ma mi sembra molto discutibile che lo si faccia in un momento in cui non si vede messa a repentaglio la propria salute, cioè «ora per allora».
Come si può ovviare a questi provvedimenti discordanti?
Si rischia una situazione di caos giurisprudenziale. Se qualcuno vuole dimostrare che non serve una legge sul testamento biologico, io replico che mi lascia perplesso che un vuoto normativo sia riempito dal potere giudiziario.
Preferisco che la norma esca da un Parlamento e non dai tribunali, dall’ideologia dei giudici. Il Parlamento da parte sua deve fare una valutazione equilibrata da applicare a una società pluralista, con valori differenziati.
Ribadisco quanto già detto in altri post.
RispondiEliminaIl vigente ordinamento giuridico contiene già norme in grado di tutelare la vita e, ad ogni modo, vieta l'accanimento terapeutico.
L'introduzione di norme sul "fine vita", in un clima di relativismo favorevole all'eutanasia non potrà che spingere verso quest'ultima, grazie ad interpretazioni "creative" da parte di quegli stessi giudici che oggi contribuiscono al caos giurisprudenziale di cui si lamenta l'autore dell'articolo.
Ritengo che in questi casi, se proprio si vuole legiferare, occorra limitarsi al dire il meno possibile e in termini categorici.