J'ACCUSE/ Sull'adozione ai single la Cassazione fa dell'eccezione la regola di Alda Maria Vanoni, martedì 15 febbraio 2011, il sussidiario.net
Una signora italiana non sposata, che aveva adottato una bambina russa con provvedimento emesso da un giudice degli Stati Uniti, ha chiesto al giudice italiano il riconoscimento di tale provvedimento con gli effetti dell’adozione legittimante.
Con la sentenza in commento la corte di cassazione ha in sostanza negato la possibilità di ottenere l’adozione legittimante, riconoscendo al provvedimento americano solo l’efficacia attenuata di cui all’art. 44 lett. d) della vigente legge sull’adozione (legge 183/1981 e succ. modif.).
Il fatto che l’adottante non fosse sposata è stato ritenuto preclusivo, in quanto la legge italiana richiede, per l’adozione legittimante, che gli adottanti siano uniti in matrimonio. Con l’adozione legittimante l’adottato è figlio legittimo a tutti gli effetti, mentre l’adozione “nei casi particolari” di cui all’art. 44 lo colloca in uno status meno definito, in cui permangono, ad esempio, tutti i diritti e i doveri dell’adottato verso la sua famiglia d’origine.
I “casi particolari” sono specificamente individuati dall’art. 44: sono le ipotesi di minori orfani di entrambi e genitori, richiesti in adozione da parenti entro il sesto grado o da persone cui sono legati da un preesistente rapporto stabile e duraturo (lettera A), del coniuge del genitore dell’adottando (lettera B), dei minori con handicap o svantaggi (lettera C), e, infine, tutti i casi in cui “vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo” (lettera D).
A quest’ultima ipotesi vengono ricondotte, nella prassi, le situazioni in cui si constata l’esistenza di un effettivo, risalente rapporto tra il minore e l’adulto con cui lo stesso sia di fatto vissuto, tale che la consuetudine di vita renderebbe “impossibile” - ossia gravemente dannoso per l’adottando - il suo trapianto in una diversa famiglia in affidamento preadottivo.
Nella situazione esaminata dalla sentenza n. 3572/2011 la risalente permanenza (quanto meno dal novembre 2005) della bambina presso la signora che ne ha chiesto l’adozione è stata ritenuta circostanza che evidenziava “l’impossibilità” di un affidamento preadottivo a diversa famiglia.
Fin qui, nessuna novità, e nessun problema; il legislatore italiano fin dal 1983 aveva ammesso, in situazioni precise e numericamente marginali, la possibilità che un minorenne venisse adottato da una persona singola, così prevedendo un’eccezione alla generale e sottolineata previsione degli adottanti come coppia unita in matrimonio. Un’eccezione, cui tuttavia, come sopra ricordato, non sono collegati tutti gli effetti dell’adozione legittimante ammessa solo per una coppia sposata.
Quello che lascia perplessi, e che merita una sottolineatura, è la considerazione finale - non necessaria nell’economia della decisione - con cui la suprema corte rileva - anzi, ribadisce, avendolo già detto in una precedente sentenza - che “il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, a un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante”.
Qui il giudice si fa insistente suggeritore di una riforma che spetta solo al legislatore; che coinvolge valutazioni assai delicate e controverse sull’istituto familiare in generale, e sull’adozione in particolare.
Non sembra inutile ribadire che l’adozione legittimante, fin dalla legge Dal Canton del 1968, è stata voluta come strumento per dare “una famiglia” ai bambini che ne erano privi, e non per regalare un figlio agli adulti che non ne avevano.
Il punto di vista da cui valutare ogni eventuale riforma è quello dell’interesse dell’adottando, e non quello del desiderio dell’adottante. Non sembra contestabile che per un bambino è meglio avere due genitori anziché uno solo; la “tenuta” del requisito del matrimonio è, in quest’ottica, fondamentale, e ogni riforma che più o meno surrettiziamente lo aggirasse sarebbe in ultima analisi contro il vero interesse degli adottandi.
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