Avvenire.it, 5 febbraio 2011 - Figli di gameti altrui: il nuovo ricorso alla Consulta sulla legge 40 - Da genitori a «padroni». E questo sarebbe un nuovo diritto? Di Michele Aramini
I tribunali italiani stanno realizzando una sorta di rincorsa nell’opera di contestazione della legge 40 (quella che da sette anni regolamenta la fecondazione assistita), legge con la quale – va ricordato – si è consentito il ricorso alla provetta per la quasi totalità delle coppie che l’hanno richiesta. Dopo la diagnosi preimpianto sugli embrioni, ora tocca al divieto di fecondazione eterologa – ovvero ottenuta con gameti estranei alla coppia sterile –, anch’essa finita nel mirino delle ordinanze dei giudici che si rivolgono alla Corte Costituzionale chiedendo di eliminare la proibizione contenuta nella norma.
Ai tribunali di Firenze e di Catania giovedì si è aggiunto quello di Milano, che ha sollevato la questione di costituzionalità sull’uso di gameti non appartenenti ai due aspiranti genitori. Davvero originale è la motivazione dell’ordinanza dei giudici milanesi: il divieto di fecondazione eterologa impedirebbe l’esercizio del «diritto fondamentale alla piena realizzazione della vita privata familiare».
Si tratta con tutta evidenza di una motivazione creativa, come sempre più spesso fanno i giudici anche quando le leggi ci sono, e non solo quando sono costretti a intervenire da vuoti normativi. In particolare qui si vuole introdurre un presunto nuovo diritto dei genitori, secondo una logica che trascura completamente i diritti fondamentali del bambino. Colpisce questo inedito «diritto alla vita privata familiare» – l’ennesimo di un autentico catalogo –, che potrebbe avere un ipotetico seguito nel dovere del figlio di garantire la felicità dei genitori, i quali se non accontentati potrebbero persino vantare il diritto di "divorziare" da lui...
L’ubriacatura dei diritti non ha limite e i giudici, che sono figli del nostro tempo, bevono il vino che c’è. Le notizie che si susseguono su questo fronte non meravigliano più. L’univoca sottolineatura dei diritti dei genitori è l’immediata conseguenza della rivoluzione antropologica provocata da tecniche che permettono di controllare la procreazione. Stiamo assistendo all’ampliarsi della grave frattura introdotta nella storia della condizione umana dalla fecondazione artificiale (la «Fivet»). La profonda mutazione culturale di cui si parla spesso ha tra i suoi elementi centrali la relazione degli adulti con i figli.
È nata una nuova forma mentale, un’economia psichica per la quale il bambino è diventato figlio del desiderio di avere un figlio. Prima della Fivet il figlio era semplicemente un dono della natura, il frutto della vita, e i genitori avevano il ruolo di collaboratori. Oggi la rivoluzione della provetta induce a credere che il bambino non sia altro che il frutto di una precisa volontà, di una programmazione, di un progetto. Il fatto tecnico ha conseguenze ben precise sulla soggettività: gli adulti si stanno appropriando sempre più dell’infanzia, di ogni figlio, fin dal suo inizio. I bambini di oggi sono figli dei loro genitori a un livello mai visto sinora, con tutte le implicazioni che questo comporta. Compreso il sentirsene padroni.
Si capisce dunque perché il tribunale di Milano abbia inventato un nuovo diritto: è solo la logica conseguenza del rapporto sbagliato tra genitori e figli che le tecniche di fecondazione artificiale hanno ingenerato nella cultura attuale. Ma visto che il diritto ha per sua natura la funzione di proteggere i più deboli – come bene o male fa la legge 40 nel suo attuale impianto –, i giudici milanesi avrebbero dovuto mostrare maggiore capacità di osservazione delle dinamiche antropologiche e sociali. Da loro ci si sarebbe aspettata una presa di posizione critica verso la cultura del più forte. Ma forse per qualcuno il diritto non serve più a questo scopo.
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