mercoledì 23 febbraio 2011

La legge sul testamento biologico è un clamoroso autogol - 23/02/2011 - Eutanasia - di Alessandro Gnocchi & Mario Palmaro, da http://www.libertaepersona.org

In splendida solitudine, come sempre: non si ringrazierà mai abbastanza Giuliano Ferrara per quanto ha scritto a proposito della legge sul testamento biologico smarcandosi dai contendenti di una diatriba fatta di paralogismi. Il corretto uso di ragione, si sa, oggi porta a esser soli, o quasi. Soli, ma ragionevoli, e quindi illuminanti. Ferrara ha ragione da vendere perché la legge sul testamento biologico è un clamoroso autogol, un classico esempio di eterogenesi dei fini. La vogliono i nemici dell’eutanasia e dell’abbandono terapeutico, ma approvandola faranno il gioco proprio della trasversale “compagnia della buona morte” cui si oppongono.
Questo colossale paralogismo ha due radici fondamentali: un errore di ordine tecnico giuridico, e un difetto di dialogo interno al mondo cattolico stesso. Dopo la vicenda Englaro, con il suo contorno di decisioni della magistratura, molti sostengono che non vi sarebbero più dubbi: ci vuole una legge sul c.d. “fine vita”. Lo si sostiene anche autorevolmente, come nel caso del presidente del Movimento per la Vita Italiano, Carlo Casini.
Molti cattolici e molti pro life pensano che, se la legge verrà approvata, il rischio eutanasia sarà scongiurato. Un’illusione forse pia, ma di sicuro irragionevole, tipica di chi sta facendo il gioco del giaguaro, credendo magari di combatterlo.
Basta por mente ad alcuni elementi della questione.


Primo. Il nostro ordinamento continua ad avere un presidio molto solido contro l’eutanasia e l’abbandono terapeutico nelle norme del Codice Penale regolarmente in vigore, soprattutto gli articoli sull’omicidio del consenziente e sull’istigazione al suicidio. Alcuni giudici, per altro civili e non penali, hanno assunto provvedimenti che ignorano questo profilo. Ma allora era precisamente sul terreno giudiziario e dei poteri della magistratura che si doveva condurre la battaglia, contrastando le “sentenze creative” e censurando le forzature togate.
Secondo. Lo scopo dei settori ideologizzati della magistratura favorevoli all’eutanasia è proprio quello di spingere il Parlamento a fare una legge e a riconoscere il testamento biologico. E se stessimo facendo proprio il gioco dei nostri avversari?
Terzo. Può darsi che serva una legge, ma non qualunque legge. I parlamentari stiano molto attenti all’inserimento di emendamenti peggiorativi, che trasformerebbero il testo sulle DAT in una legge sull’eutanasia in incognita.
Quarto. Anche ammettendo che il testo sulle DAT di prossima discussione non venga stravolto, esso comporta il riconoscimento solenne da parte della legge della efficacia e validità del testamento biologico. E contiene ulteriori “zone grigie” che andranno ben oltre il principio di autonomia del paziente. Se una legge proprio si voleva votare, ne bastava una fatta di un unico articolo, che vietasse la sospensione di alimentazione e idratazione ai soggetti incapaci. Punto.
Quinto. Se il problema sono le “sentenze creative”, con ogni probabilità esse non saranno scongiurate dalla legge sulle DAT, ma al contrario si moltiplicheranno, e si assisterà a quello stesso stillicidio di ricorsi, anche in sede costituzionale, che dal 2004 a oggi hanno smontato come una Matrioska la legge 40 sulla fecondazione artificiale.
Sesto. Il testamento biologico non è mai stato nelle corde del mondo cattolico, che lo ha spesso visto con sospetto, come primo passo verso l’eutanasia. Ora questa legge potrebbe essere approvata con l’etichetta di “provvedimento che piace ai vescovi”, esattamente come accadde con la legge 40. Attenzione agli effetti diseducativi, e alla confusione pedagogica per i fedeli. Non vorremmo che nelle parrocchie arrivassero, dopo la “provetta cattolica perché omologa”, anche le “DAT cattoliche” perché votate dai parlamentari cristiani.
Settimo. Un intervento legislativo si poteva fare, ma molto più semplice e snello. Un testo che vietasse l’interruzione di ogni trattamento vitale in pazienti privi di conoscenza, garantendo così, per esempio, alimentazione, idratazione, ventilazione, come cure doverose da parte del buon medico ippocratico. Senza aprire porte o finestre al mostro giuridico che si chiama testamento biologico, una piovra dai mille tentacoli che, una volta liberata, farà strage del principio di indisponibilità della vita umana.

Tutto questo nel mondo cattolico italiano non si può dire. Invece che ragionare al proprio interno, si preferisce para-ragionare con i propri avversari. Eppure, fino al famoso discorso del Cardinale Angelo Bagnasco del settembre 2008, nel quale le DAT furono “sdoganate”, tutto il mondo pro life italiano e internazionale, i bioeticisti cattolici, le persone di buona volontà in genere contrarie all’eutanasia, tutti erano parimenti contrari al testamento biologico. Quel discorso ha provocato un repentino, irragionevole e immotivato “capovolgimento” di fronte, e gran parte dei contrari alle DAT hanno iniziato a sostenerle. Giuliano Ferrara, Francesco Agnoli, il Comitato Verità e Vita e altre voci si sono levate in dissenso. Sono state sbertucciate dalla stampa cattolica ufficiale. Il guaio è che si è voluto evitare un confronto aperto e pubblico con queste voci, nonostante nella base, nel popolo, serpeggi una diffusa inquietudine di fronte al testo sulle DAT. Il quotidiano dei vescovi, Avvenire, in tutti questi anni ha totalmente ignorato le posizioni di chi, all’interno del mondo pro life, contesta la legge sul Testamento biologico. Si vuole marciare a ranghi serrati e a testa bassa verso l’approvazione delle DAT, facendo finta che non esistano problemi, anche gravi, nell’impianto della legge. Ma soffocare la verità nella culla non è mai un buon segno per chi quella verità dovrebbe servirla, costi quello che costi. Anche per questo motivo è facile prevedere che la legge, una volta approvata, si trasformerà in un incubo per tutti coloro che hanno a cuore il diritto alla vita di ogni malato. E magari ci si troverà davanti a cattolici che, come Binding e Hoche nel 1930, parleranno di “vite senza qualità”.

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