Stati vegetativi, la sfida di una dignità negata di Raffaella Frullone, 09-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
«Noi affrontiamo la vita con un occhio che non è in grado di cogliere la dignità delle persone, poiché valutiamo soltanto che cosa una persona sa e può fare, ma se il nostro sguardo cambiasse, se la nostra prospettiva cambiasse, allora il nostro occhio vedrebbe la grande umanità di queste vite». Parla così Giambattista Guizzetti, responsabile del reparto Stati Vegetativi dell’Istituto Don Orione di Bergamo, che rimarca l’importanza della giornata che si celebra oggi. Una ricorrenza istituita dal governo che promuove per il 9 febbraio la giornata per gli Stati vegetativi con lo scopo di favorire «l’attenzione e l’informazione su questo tipo di disabilità che coinvolge, oltre al malato, in maniera assai rilevante, i familiari».
Giambattista Guizzetti racconta come nel 1996 si avvicina agli stati vegetativi: «Non sono un neurologo, ma un geriatra, e 15 anni fa mi proposero di prendermi carico di un reparto nuovo. Degli stati vegetativi sapevo poco, mi colpiva questa forma di vita apparentemente così fragile e insieme così misteriosa. Come medico volevo prendermi cura dei miei pazienti, rispondere ai loro bisogni, solo che mai avrei immaginato di trovarmi di fronte ad un bisogno così enorme. Quello che all’inizio era solo un’intuizione si fece sempre più chiara: mi trovavo di fronte a persone che rischiavano di essere abbandonate ed io come medico non potevo permetterlo».
Oggi è anche il secondo anniversario della morte di Eluana Englaro, la donna di 36 anni deceduta in seguito all’interruzione di alimentazione e idratazione. Una vicenda che nel 2009 scuoteva fortemente l’opinione pubblica e ancora oggi non smette di interrogare le coscienze. La voce di Guizzetti trema quando ripercorre le ultime settimane di vita della donna: «Quello che ancora mi sconvolge è come questa vicenda possa essere stata accettata. La soppressione di una vita è stata chiamata cura e terapia e paradossalmente le suore che si sono prese cura di lei per 17 lunghi anni sono state chiamate aguzzini».
Tra qualche settimana potrebbe esserci il varo della legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, che cosa possiamo attenderci? «Io provo sempre un certo scetticismo quando si cerca di definire per legge le modalità con le quali regolamentare il fine vita. E’ un momento delicato, unico e nessun provvedimento legislativo potrà mai definirne le innumerevoli sfaccettature. Abbiamo già gli strumenti per decidere in queste situazioni. Certo poi se una legge serve per colmare un vuoto che certa magistratura cerca di riempire, ce ne faremo una ragione».
Giambattista Guizzetti è anche autore di un libro che sviscera i diversi aspetti legati al fine vita alla luce di una vicenda che ha fatto molto discutere negli Stati Uniti, quella di Terry Schiavo, morta nelle stesse condizioni di Eluana. Il titolo del volume è "Terry schiavo, l’umano nascosto", ma dove si nasconde l’umanità di queste persone? «Non si nasconde, anzi è molto evidente. E’ che noi ci approcciamo al problema con un occhio che non è in grado di cogliere la dignità, poiché valutiamo soltanto cosa una persona sa e può fare, ma se il nostro sguardo cambiasse, se la nostra prospettiva cambiasse, allora il nostro occhio vedrebbe sicuramente la grande umanità di queste vite. Che hanno bisogno soprattutto di relazioni».
Come è possibile stabilire una relazione? «E’ più difficile raccontarlo che viverlo. Nel mio reparto ci sono 24 posti letto, 24 persone. Da mattina a sera, e anche la notte le infermiere si prendono cura di loro, non solo dal punto di vista terapeutico ed igienico, ma anche relazionale. I pazienti vengono lavati, vestiti con cura, tolti dal letto, ma soprattutto chiamati per nome, accarezzati. Il mio non è un reparto ma una casa famiglia, arrivano continuamente amici, parenti e per fortuna tanti e tanti volontari. Chi visita il reparto per la prima volta paradossalmente viene colpito dalla vitalità, dall’atmosfera calorosa, dalla vita. La dignità di queste persone è nelle piccole cose, dei grandi traguardi. Per noi è semplice bere un bicchiere d’acqua, naturale stringere mani, per loro è un grande traguardo, reso possibile dalla cura amorevole di chi li assiste».
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