giovedì 3 febbraio 2011

Quella lama nella psiche - In aumento le donne che dopo un’interruzione della gravidanza si rivolgono allo psichiatra per disturbi della personalità. Ma in nome di un diritto «presunto» si preferisce non parlarne contromano di Carlo Bellieni, Avvenire, 3 febbraio 2011

La stampa statunitense riporta in questi giorni l’eco di un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine.

Si tratta di una ricerca danese che valuta il numero di donne che dopo un parto o dopo un aborto si rivolgono allo psichiatra; i ricercatori vanno a verificare se la percentuale nei due casi è in aumento o in calo rispetto a prima del parto o dell’aborto.

Lo studio, così come è stato svolto, ci lascia perplessi per la sua metodologia e di conseguenza vorremmo che le conclusioni fossero perlomeno discusse, se – come risulta – sarebbero che l’aborto non è più negativo per la psiche della donna rispetto al far nascere il bambino. In primo luogo lo studio non spiega se c’è una differenza numerica tra le donne che hanno avuto un «contatto» con lo psichiatra e quelle che hanno avuto una diagnosi di malattia mentale.

In secondo luogo, sembra di ravvisare un contrasto tra i dati riportati nello studio quando sono divisi per anno e quando vengono considerati in totale: in questo secondo caso si nota tra le donne che abortiscono un aumento dopo l’aborto rispetto al periodo prima dell’aborto: dall’1% all’1,5%; e un aumento simile c’è anche tra quelle che dopo l’aborto si rivolgono allo psichiatra per motivi di disturbi della personalità: in questo caso il dato non è a favore di un’innocuità dell’aborto.


Oltretutto, le donne nello studio che dopo aver abortito vanno dallo psichiatra sono oltre il doppio rispetto a quelle che partoriscono, pur non essendoci tra le prime un aumento numerico tra prima e dopo l’aborto. Infine, mentre sappiamo bene che esiste la transitoria depressione post-parto – che spiega in parte perché le donne studiate dopo il parto abbiano avuto problemi –, sappiamo altrettanto bene che tante donne non hanno piacere di rivelare a nessuno, nemmeno allo psichiatra, di avere abortito, e quesAbto potrebbe aver fatto sottostimare la percentuale di donne che hanno problemi dopo l’aborto.

Conclusioni dunque da prendere con le pinze; ma questo articolo è stato sottolineato senza tanti approfondimenti da vari giornali che hanno titolato: «Fa più male partorire che abortire», cosa oltretutto smentita da tante altre ricerche pubblicate su importanti giornali medici. E smentita dall’esperienza di chi conosce donne che hanno abortito, tanto che esistono associazioni di medici e psichiatri dedicate proprio al loro sostegno.
Uno studio recente sulle donne che hanno avuto aborto spontaneo e volontario, mostra che le prime hanno un tasso di depressione maggiore subito dopo l’evento, ma che questo diminuisce col tempo, a differenza di quanto succede con l’aborto volontario in cui la depressione persiste per almeno 5 anni. Ma è significativo notare la differente risposta della stampa italiana rispetto a quella Usa: da noi totale silenzio su questo studio, ed è sorprendente perché negli Usa invece i sostenitori dell’aborto l’hanno pubblicizzato oltremodo, nonostante i suoi limiti. Perché da noi anche chi sostiene l’aborto tace? Perché in America il dibattito sull’aborto è concreto, e si basa sui fatti e sugli studi e quando arrivano dati nuovi si discutono. Da noi invece è semplicemente impossibile pensare o dire in pubblico che l’aborto dà problemi alle donne: «È un diritto, dunque non è possibile che abbia effetti negativi, altrimenti è un diritto farlocco», sembra sia l’opinione dei nostri media. E non se ne parla, facendo in realtà molto male. 

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