mercoledì 4 maggio 2011

Biotestamento, quel rifiuto assoluto di cure è abnorme di Alberto Gambino del 4 maggio 2011, http://www.europaquotidiano.it

Stefano Semplici nel suo intervento su Europa (“Tutti i rischi di una cattiva legge”, 29 aprile 2011) pone una questione di particolare rilevanza non adeguatamente approfondita nell’attuale dibattito sul fine vita, più concentrato a marcare differenze a colpi di slogan che ad affrontare un’effettiva analisi delle conseguenze che il testo sulle “dichiarazioni anticipate di trattamento” comporterà sulle prassi mediche operanti nelle strutture sanitarie.
Si tratta del tema centrale dei contenuti pressoché illimitati che, nell’attuale versione, il disegno di legge consente di inserire nelle dichiarazioni anticipate. Occorre subito chiarire un punto. Allo stato della legislazione e delle prassi sanitarie, mentre è pacifico che ove un paziente vigile e cosciente rifiuti un qualunque trattamento sanitario non potrà esserci alcun medico che glielo imponga, non altrettanto può dirsi con riferimento ad un cittadino che, in piena condizione di salute, stabilisca ora per allora di rifiutare qualunque trattamento sanitario. Nel momento in cui fosse ricoverato in stato di incapacità di intendere e di volere, i medici oggi non sono tenuti a considerare i desideri precedentemente espressi, e comunque dovranno sempre attivarsi ove si versi in situazioni di urgenza.
Neanche la sentenza del caso Englaro – che pure ha ricostruito presuntivamente una sorta di biotestamento – ha inteso rendere illimitato il contenuto di dichiarazioni di rifiuto delle cure, ma le ha circoscritte al distacco di un presidio sanitario idoneo a tenere artificialmente in vita il paziente in condizione di irreversibilità dello stato vegetativo.
Non solo. La giurisprudenza di legittimità successiva ha affermato che la validità di un consenso preventivo ad un trattamento sanitario è esclusa in assenza della doverosa, completa, analitica informazione sul trattamento stesso, e, dunque, uno speculare dissenso ex ante è inefficace sia in astratto che in concreto. Perciò parificare una situazione di rifiuto di cura nell’imminenza della somministrazione della stessa ad una situazione di rifiuto di terapie quando nulla si sa circa il verificarsi dell’evento patologico, sarebbe un fatto totalmente innovativo.
Ora il disegno di legge, in questo senso, consente all’articolo 3.2 di dichiarare anticipatamente il proprio orientamento «circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari», senza indicare quali. Dunque anche una semplice cura antibiotica o una leggera terapia cortisonica (ma per assurdo anche un cerotto o un disinfettante) potrebbero teoricamente essere indicati tra i trattamenti da non somministrare, pur risultando fondamentali per superare o non aggravare talune patologie. Ovviamente il disegno di legge trova poi il suo rimedio nel fatto che il medico possa non seguire tali indicazioni. Quello che però emerge è un quadro che, da un lato, consente ai cittadini di lasciare per iscritto indicazioni oggettivamente abnormi, alcune delle quali, ove fossero espresse da un paziente cosciente al fine di negare il consenso ad un trattamento, difficilmente verrebbero prese con serietà. D’altro lato, si finisce col responsabilizzare eccessivamente il medico, chiamato a districarsi in una congerie pressoché illimitata di dichiarazioni anticipate onde verificare quelle da disattendere.
Si tratta di due circostanze decisive perché questa legge, comunque necessaria per dare certezza ad una materia che non può restare legata alla cabala della decisione giurisprudenziale fondata su principi, scongiuri che le dichiarazioni anticipate di trattamento finiscano, almeno nella sconfinatezza dei loro potenziali contenuti, coll’instradarsi nel solco di una libertà assoluta di rifiuto di cure, come se si trattasse di consenso informato, mentre la loro peculiarità è quella di essere espresse nell’artificialità di un evento patologico soltanto immaginato e perciò privo della reale e compiuta informazione medico-clinica.
È allora più ragionevole prevedere che le Dat consentano a un cittadino di esprimere orientamenti e informazioni davvero utili per il medico, che dunque non potranno che essere quelle su eventuali interventi sproporzionati, tenendo perlopiù presente che saranno soprattutto cittadini avanti con l’età o comunque affetti da avvisaglie patologiche a porsi, con maggiore fondatezza, tali interrogativi. 

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