Zola, j'accuse contro il Mistero di Giovanni Fighera, 29-04-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it/
Quale responsabilità ha uno scrittore di fronte ai fatti, alla vita, agli avvenimenti anche tragici che accadono? Un testo della sociologa francese Gisèle Sapiro, edito recentemente da Seuil, indaga il compito dello scrittore. Il titolo è emblematico: La responsabilità dello scrittore. Nella storia contemporanea un intervento dell’intellettuale Émile Zola intitolato J’accuse è diventato l’emblema dell’impegno dell’intellettuale nei confronti della società, per la difesa della verità e della giustizia.
Siamo sicuri che proprio colui che divenne l’interprete di questi valori li rispettò davvero? Vale la pena ricordare alcuni fatti. In Francia la diffusione del Positivismo porta tra il 1870 e il 1880 a profondi stravolgimenti anche nelle discipline artistiche. In ambito letterario si afferma il Naturalismo che propugna un’arte impersonale, oggettiva, in teoria autonoma dal credo dell’autore, in realtà frutto del tentativo di affrancare l’arte dalla religiosità e dal Mistero. L’esito di questa poetica sarà, però, la subordinazione del fatto letterario rispetto al fine sociale e politico.
Scrive lo scrittore naturalista Émile Zola nel saggio Il romanzo sperimentale che anche la narrativa dovrà diventare come tutte le discipline che aspirano a diventare scientifiche: «Ecco dunque il progresso della scienza. Nel secolo scorso un’applicazione più esatta del metodo sperimentale fa sorgere la chimica e la fisica che si liberano degli elementi irrazionali e soprannaturali… Poi un nuovo passo è compiuto. Gli organismi viventi, nei quali i vitalisti ammettevano una forza misteriosa, sono a loro volta ricondotti entro il meccanicismo che regola tutta la materia. La scienza prova che le condizioni di esistenza di un fenomeno sono le stesse negli organismi viventi e nei corpi bruti; ed allora la fisiologia assume a poco a poco la certezza della chimica e della fisica. Ma ci si fermerà a questo punto? Certamente no. Quando avremo provato che il corpo dell’uomo è una macchina di cui un giorno si potranno smontare e rimontare gli ingranaggi a piacimento dello sperimentatore, si dovrà ben passare alle manifestazioni passionali ed intellettuali dell’uomo. Da quel momento entreremo nel dominio che, fino ad ora, apparteneva alla filosofia ed alla letteratura; sarà la conquista decisiva, da parte della scienza, delle ipotesi dei filosofi e degli scrittori».
Émile Zola sta auspicando il definitivo affrancamento dell’uomo dall’ambito del mistero e del senso religioso. Progresso coincide per lui con la delimitazione dell’ignoto in nome del conoscibile, scientifico significa dimostrabile scientificamente, ovvero secondo il paradigma positivista riproducibile dalle mani dell’uomo, come se tutto ciò che esiste possa essere riprodotto, come se smontare e comprendere i meccanismi voglia dire, a sua volta, poter creare. Se l’uomo si affranca dal Mistero, allora ogni ambito che si ritenga serio dovrà affrancarsi dal soprannaturale, anche la filosofia e la letteratura. È questa la libertà a cui pensano i positivisti, la libertà dalla schiavitù della «superstizione cristiana».
Così, infatti, credono anche i fratelli De Goncourt, non secondari esponenti del Naturalismo francese. Nella «Prefazione» a Germinie Lacerteux scrivono: «Oggi che il romanzo si estende e s’ingrandisce e comincia a essere la grande forma seria, appassionata, viva, dello studio letterario e della ricerca sociale, … ora che il romanzo si è imposto agli studi e i doveri delle scienze, può rivendicare la libertà e l’indipendenza. E il fatto che esso ricerchi l’arte e la verità; che mostri delle miserie capaci di non essere più dimenticate dai fortunati di Parigi; … il Romanzo abbia quella religione che il secolo scorso chiamava col nome grande e vasto di Umanità; gli basta: questo è il suo diritto». È questa la libertà rivendicata dai naturalisti. La libertà dal Mistero ovvero da Dio comporta la riduzione in schiavitù nei confronti del potere, ovvero della cultura egemone, a quel tempo quella positivista. L’arte si subordina alla sociologia e agli schemi ideologici dominanti.
Scrive, infatti, Émile Zola nella «Prefazione» alla seconda edizione di Teresa Raquin: «Si comincerà a capire, spero, che il mio scopo è stato essenzialmente scientifico… Si legga il romanzo con attenzione, e si vedrà che ogni capitolo è lo studio di uno strano caso di fisiologia… Lo scrittore si comporta come un analista che si può immergere nel marciume umano … come succede ad un medico davanti ad un tavolo anatomico… Voglio spiegare come una famiglia, un piccolo gruppo di esseri, si comporti in una società…». Del resto, l’idolo polemico di Émile Zola è lo scrittore idealista, per intenderci un autore come Manzoni, che ammette l’esistenza dell’ignoto e del Mistero nelle proprie pagine letterarie. Il romanziere moderno sarà, all’opposto, sperimentale, ovvero interessato a descrivere solo quanto è scientificamente dimostrato (ovvero secondo la logica razionalista). L’aporia non risiede, qui, nel non dar spazio a ciò che non si vede, ma nel censurare del tutto ciò che si vede e non si capisce.
È, forse, poco noto e raccontato l’episodio in cui Zola si reca a Lourdes nel 1892 per scrivere l’omonimo romanzo in cui vorrebbe documentare le «tante falsità e imposture» riguardanti il celebre santuario mariano. Ebbene durante il viaggio, sul treno, lo scrittore incontra due donne moribonde, malate di tubercolosi, che si reggono sulle stampelle. Pur vedendo la guarigione delle due signore, Zola non solo non crederà, ma addirittura attesterà nel romanzo la morte delle due figure, divenute personaggi dell’opera. Scrive, infatti, l’agnostico Michel Agnellet, in Cent’anni di miracoli a Lourdes (citato da V. Messori in Ipotesi su Maria): «Émile Zola ebbe la rara fortuna – che io stesso, in questa inchiesta durata due anni, non ho avuto – di assistere ad almeno due guarigioni miracolose. E non solo le ha negate, ma ne ha dato due versioni tanto assurde e così odiose che, accortosene posteriormente, non ha esitato ad andare a trovare una delle due donne miracolosamente guarite: e che egli, nel suo libro, aveva fatto morire. Ma vi andò per proporle di trasferirsi nel Belgio, perché sparisse da Parigi dove, stando al suo libro, era morta e così piegare la verità ad uso della verità di lui, Zola, il grande scrittore!». L’interesse per la conoscenza del «meccanismo umano e sociale» e per la sua descrizione porta gli scrittori naturalisti a censurare tutto ciò che non si è capito e conosciuto su basi razionalistiche.
Si legga, a tal proposito, quanto afferma Émile Zola sui sentimenti più caratterizzanti l’uomo: «L’uomo metafisico è morto ed il nostro terreno si trasforma interamente con l’uomo fisiologico. Indubbiamente l’ira di Achille, l’amore di Didone sono rappresentazioni eternamente belle, ma ora dobbiamo analizzare l’ira e l’amore e vedere propriamente come funzionano queste passioni nell’uomo… Il metodo sperimentale, nelle lettere come nelle scienze, si avvia a determinare i fenomeni naturali, individuali e sociali, di cui la metafisica non aveva dato fino a questo punto che spiegazioni irrazionali e soprannaturali». Evidentemente non solo la concezione dell’arte esce profondamente ridotta e svalutata da queste affermazioni. Una grande parte della sfera dell’umano è trascurata o censurata, è l’uomo stesso che viene degradato al livello di tutti gli altri esseri viventi, per cui il suo pensiero, il suo credo, i suoi sentimenti sono ridotti a meccanismi chimico-fisiologici.
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