Dolly addio, ora creiamo organi umani
Pubblicato da Simona Maggiorelli su ottobre 7, 2012 - http://simonamaggiorelli.com
Nel 1996 Ian Wilmut salì alla ribalta per la clonazione riuscita di una pecora. Ora si occupa di ricerca con le cellule staminali. E a Bergamoscienza il 13 ottobre parlerà delle nuove frontiere della medicina rigenerativa
di Simona Maggiorelli
Per il grande pubblico è il “papà” della pecora Dolly: il primo mammifero che nel 1996 fu clonato dallo scienziato inglese del Roslin Institute di Edimburgo e dalla sua equipe, a partire dalla cellula di un altro mammifero adulto. Nel frattempo la pecora clonata, (che è campata sette anni) non c’è più. Ma già da tempo, lo scienziato inglese Ian Wilmut, rientrato proficuamente nell’ombra dopo la forte esposizione mediatica seguita all’esperimento Dolly, lavora su nuovi fronti di ricerca, occupandosi di biologia della riproduzione presso il Medical research council. E di cellule staminali umane. Per arrivare a riprodurre in laboratorio i modelli delle malattie, capire i meccanismi che le scatenano, produrre farmaci più efficaci ma anche per creare un giorno in laboratorio “pezzi di ricambio”, per sostituire organi malati. Ciò che ha spinto Wilmut a passare dalla clonazione animale a scopo terapeutico a questo tipo di sperimentazione con le staminali è stata la scoperta nel 2007 di Shinya Yamanaka dell’università di Kyoto che ha dichiarato di essere riuscito a ottenere cellule staminali umane pluripotenti, riportando indietro l’orologio biologico di staminali adulte. Dunque senza toccare gli embrioni. Dai quali, tuttavia si possono ricavare cellule staminali totipotenti, ossia non ancora differenziate. E (come ha spiegato più volte la scienziata Elena Cattaneo) capaci, in potenza, di diventare ogni parte del nostro corpo, di dare vita cioè a qualsiasi tipo di tessuto. Il professor Wilmut il 13 ottobre sarà a Bergamoscienza per parlare di questo suo nuovo percorso scientifico. Gli abbiamo rivolto qualche domanda
Professor Wilmut i suoi esperimenti di clonazione terapeutica sugli animali quali strade nella ricerca hanno aperto?
Senza dubbio lo sviluppo di un metodo di produzione di cellule staminali pluripotenti è il passo avanti più importante che è venuto dal nostro esperimento di clonazione animale realizzato con la pecora Dolly.
Fra le sfide più promettenti della medicina rigenerativa c’è la possibilità di produrre in laboratorio interi organi in grado di sostituire quelli malati. Quali malattie oggi incurabili si potranno affrontare?
Il prossimo step – che di fatto si sta già concretizzando – si basa su staminali pluripotenti indotte prelevate da pazienti affetti da malattie genetiche ereditarie. Queste cellule potranno essere usate per produrre in laboratorio il tessuto che è stato irrimediabilmente danneggiato dalla patologia. Comparando queste cellule con cellule simili prese da una persona sana, finalmente, potremo capire che cosa va storto, che cosa non funziona bene nelle cellule del paziente che poi va incontro alla malattia, proprio a causa dell’anormale comportamento di queste cellule. Per questa strada potremo mettere a punto sistemi di test per cercare delle medicine (ovvero piccole molecole) in grado di prevenire il funzionamento abnorme delle cellule malate e così fermare i sintomi della malattia. Questo è un risultato che è già stato raggiunto, per esempio, da alcuni ricercatori a New York per quanto riguarda una malattia rara del sistema nervoso. Contemporaneamente molti altri gruppi di scienziati stanno usando questo approccio per studiare malattie come la Sla, vari tipi di malattie cardiologiche e il Parkinson.
Quanto tempo ci vorrà per approdare a delle cure?
Non so quando gli scienziati saranno in grado di costruire interi organi, ma credo che in un paio di anni saremo in grado di produrre tessuti e cellule per “riparare” organi complessi come il fegato e il cervello.
Lei fa anche parte della Eshre, la società internazionale che riunisce scienziati che si occupano di riproduzione umana ed embriologia. Pensa che le staminali potranno giocare un ruolo anche nelle tecniche di fecondazione assistita?
Penso che a breve saremo in grado di produrre sperma umano in laboratorio. E in questo modo potremo trattare alcune forme di infertilità. Ovviamente sarà una pratica scientifica regolata e controllata.
«Un embrione non è una persona», lei ha scritto nel libro After Dolly. Spiegando che la diagnosi preimpianto è utile nella prevenzione di malattie genetiche ereditarie. La Corte europea di Strasburgo ha condannato l’Italia perché la Legge 40/2004 viola i diritti umani. Ma in nome della tutela dell’embrione il governo Monti annuncia ricorso. Da scienziato che ne pensa?
Continuo a pensare che una appropriata terapia clinica come quelle di cui lei parla dovrebbe essere permessa per evitare la trasmissione di malattie genetiche a oggi incurabili. Ribadisco che non vedo nulla di immorale nell’uso di queste tecniche per prevenire malattie e inutili sofferenze. Per me una persona è consapevole di sé e degli altri e ha un pensiero. Diversamente da un embrione.
Proibire la fecondazione eterologa come accade in Italia nasconde un’idea religiosa e al limite anche razzista per cui sarebbe il genoma a definire l’identità di un figlio?
Proibire la fecondazione assistita che ricorre, per esempio, allo sperma di un uomo che non è il marito della signora che si sottopone alla terapia, penso sia errore. Chi vuole un figlio dovrebbe preferire averlo da un altro uomo piuttosto che non averlo affatto.
da left-avvenimenti del 6 -12 ottobre
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