L'inizio dell'anno accademico in molti atenei - È palestra della
ragione l’università che apre al mondo di Roberto Colombo, 3 ottobre 2012, http://www.avvenire.it
In diversi atenei italiani questa
settimana segna l’inizio delle lezioni del I nuovo anno accademico. Al di là
dei problemi strutturali, finanziari, amministrativi, organizzativi e
valutativi che gravano sulla ricerca, la didattica e i rapporti con la società
dei nostri atenei, impegnati nell’attuazione della riforma prevista dalla legge
240, la ripresa dei corsi di studio è un’occasione per tutti – professori,
ricercatori e studenti – di riflettere sul significato e sul valore
dell’università.
È un luogo comune della retorica
politica sull’università affermare che il suo compito sia quello di preparare i
giovani a un lavoro qualificato, spalancare delle nuove opportunità
professionali e far crescere la competitività culturale, scientifica,
tecnologica, economica e commerciale del nostro Paese. Con uno slogan usurato:
più università, più lavoro e maggior benessere. Ma è proprio così? Il sistema
universitario e i suoi strumenti attrezzano gli allievi e i loro docenti ad
affrontare il nuovo e l’imprevisto con cui le persone, le imprese e le
istituzioni si dovranno confrontare in questo momento della nostra storia
nazionale e mondiale, tanto arduo quanto decisivo per il futuro di tutti? Nel
1996, quasi anticipando l’attuale crisi finanziaria, culturale e sociale, il
Rettore di una delle più prestigiose università americane, quella di Harvard,
scriveva in una lettera aperta agli studenti: «Se pensate di venire in questa
università ad acquisire specializzazioni in cambio di un futuro migliore state
perdendo il vostro tempo. Noi non siamo capaci di prepararvi per quel lavoro
che quasi certamente non esisterà più intorno a voi. Ormai il lavoro, a causa
dei cambiamenti strutturali, organizzativi e tecnologici è soggetto a
variazioni rapide e radicali. Noi possiamo solo insegnarvi a diventare capaci
di imparare, perché dovrete reimparare continuamente».
La sfida non è più solo e tanto
quella di innestare su una solida formazione di base, che connota la tradizione
accademica italiana e la fa apprezzare all’estero, percorsi didattici e di
ricerca innovativi e diversificati, capaci di introdurre i laureati e gli
specializzati ai mutati e molteplici contesti lavorativi. Si tratta, piuttosto,
di recuperare e approfondire la ricca tradizione di educazione critica, di
accompagnamento in un percorso personalizzato di trasmissione, ricezione e
appropriazione dei 'fondamentali' del metodo della conoscenza della realtà, in
ogni regione del sapere, del saper dire e del poter fare. Un metodo che parte
dalla coltivazione negli studenti di una domanda curiosa, aperta, libera su
tutto ciò che è oggetto del loro studio, e nei docenti di una capacità di
provocazione e di ascolto di questa domanda, in un confronto pubblico, a tutto
campo, con ogni fattore costitutivo della realtà.
Nel 'villaggio globale' dei
saperi e della loro comunicazione, dove tutti possono vendere e acquisire
nozioni su tutto, se l’università ha ancora un senso e un valore
insostituibile, è quello di una palestra della ragione, che allena la mente ad
affrontare le questioni che la vita inesorabilmente pone e le competizioni che
il lavoro non risparmia, in modo particolare ai giovani. Appaiono più che mai
attuali le osservazioni di Romano Guardini: «Il sapere che l’università
trasmette dovrebbe poggiare su quella forza dell’interrogarsi e su quella
serietà della responsabilità culturale che distingue la scienza dal
dilettantismo. (…) Si tratta perciò di creare un tutto che si possa dominare
con lo sguardo e da cui sia possibile ricavarne poi un lavoro pratico. Colui
che studia in vista della professione deve conservare in se stesso almeno una
piccola scintilla della volontà di ricerca, altrimenti egli diventa,
intellettualmente parlando, un manovale».
Raccogliendo questa sfida,
studenti e docenti ricondurranno l’università nuovamente a quel luogo
originalissimo della società in cui l’esercizio della razionalità umana gode di
tutta l’ampiezza e il respiro di cui ha bisogno per compiere scelte che non si
fermano a rammendare gli squarci prodotti dalla crisi dell’economia e del
lavoro, ma vanno alla sua radice per sanarla e dare tenace consistenza alla
ripresa. Un compito e una responsabilità grande cui solo una università aperta
alla realtà totale e appassionata educatrice della ragione può preparare la
libertà dei giovani.
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