EUTANASIA/ Cosa succede se il New York Times si schiera con la Chiesa?
- Andrea Staiti - venerdì 9 novembre 2012 - http://www.ilsussidiario.net/
BOSTON - Lo scorso 6 novembre,
congiuntamente all’elezione presidenziale, è stato chiesto agli elettori del
Massachusetts di pronunciarsi sul cosiddetto “suicidio assistito”, di cui ho
scritto due giorni fa . Il risultato di questo pronunciamento è passato sotto
silenzio, un po’ perché oscurato dall’entusiasmo per la rielezione di Obama, un
po’ perché in netta controtendenza rispetto alle inarrestabili riforme
“progressiste” in materia di diritti: il 51 per cento dei votanti in
Massachusetts ha votato no al suicidio assistito.
Il risultato è particolarmente
simbolico, considerando la fama del Massachusetts di stato più liberal
d’America e considerando che in questa tornata elettorale sono state approvate
le nozze gay (Maryland e Maine) e la legalizzazione della marijuana a scopo
ricreativo (Colorado).
Si tratta senza dubbio di una
vittoria importante della ragione contro l’ideologia, che pone un argine
definito a qualunque iniziativa futura volta all’introduzione del suicidio
assistito per vie diverse da quella referendaria.
D’altra parte, occorre tenere
conto dell’altra faccia della medaglia: il 49% degli elettori ha votato a
favore. Questo significa, come ha detto all’indomani del risultato il promotore
del referendum, che è stata una sconfitta per un soffio e che non si potrà
ignorare il parere favorevole di una fetta così ampia della popolazione.
Qualcosa si farà.
C’è un fatto particolarmente
scioccante dietro a questo 49 per cento di voti favorevoli, che il lettore
italiano stenterà probabilmente a credere. In Italia ci si aspetterebbe che in
un referendum del genere la Chiesa Cattolica fosse l’unica voce contraria, in
netta contrapposizione all’intellighenzia laica (giornali, associazioni
mediche, intellettuali, ecc.) schierata in blocco a favore. E invece questa
volta no. Erano tutti d’accordo che si dovesse votare contro, perché la legge
era scritta male e apriva a scenari inquietanti e incompatibili con la
deontologia della professione medica. Per una volta l’American Medical
Association, la Massachusetts Medical Society e persino il New York Times
(bellissimo l’editoriale del disabile Ben Mattlin che dice: “io sono di più
della mia diagnosi e della mia prognosi”) erano dalla stessa parte della Chiesa
cattolica! Quando addirittura il laicissimo Boston Globe, qualche giorno prima
del voto, ha pubblicato un editoriale schierandosi contro il suicidio
assistito, un amico mi ha scritto un’email semplicemente dicendo: Wow, I can’t
believe it!
La convergenza inaspettata tra la
Chiesa cattolica e istituzioni di solito ferocemente critiche nei suoi
confronti è un fatto straordinario che testimonia l’oggettività della ragione
quanto se ne fa un uso non dogmatico. Sia chi riflette da un punto di vista
religioso, sia chi riflette da un punto di vista puramente scientifico, questa
volta sembra aver visto con evidenza la stessa cosa: il suicidio è una tragica
sconfitta e non un traguardo etico.
A fronte del “no” di esperti,
medici, intellettuali e uomini di fede, c’è da chiedersi da chi sia composto
allora quel 49 per cento che ha votato a favore, egualmente sordo alle ragioni
della scienza e a quelle della fede. La mia ipotesi è che faccia capolino qui
un identikit umano tutto da studiare, che potremmo battezzare temporaneamente
“progressholic”. Nella nostra società incline alle dipendenze, c’è chi sviluppa
un’ossessione compulsiva per l’alcol (alcoholic), chi per il lavoro
(workaholic), chi per lo shopping (shopaholic) e chi per l’idea che ogni
desiderio debba essere trasformato dallo Stato in diritto, indipendentemente da
qualsiasi verdetto della ragione.
Per il fumatore incallito, il
piacevole pizzicore del fumo che scende in gola vale più di mille ragioni che
lo indurrebbero a smettere. Per il progressholic il piacevole pizzicore
nell’animo che si prova mettendo una crocetta a favore del movimento necessario
della storia verso una società più tollerante non ha prezzo. La questione
specifica, le dovute distinzioni, gli argomenti, le cautele legislative, tutto
questo per il progressholic non conta. Il progressholic è, in fondo, un
vitalista: sente agitarsi nell’intimo l’élan vital che scuote di dosso le
secolari catene di oppressione e ingiustizia e pronuncia il suo sì. Medici,
vescovi, intellettuali, capiranno. La ragione, in fondo, è fredda e
calcolatrice, la compassione e la tolleranza scaldano il cuore.
Per ora il peggio è scongiurato,
la legge sull’eutanasia non è passata nel Massachusetts e questo è un fatto. Il
49 per cento dei votanti a favore dovrebbe però far riflettere l’intellighenzia
laica sul fatto che il tipo umano che essa ha pazientemente modellato negli
ultimi decenni, in nome della pura ragione, ora non sembra più disponibile ad
ascoltare la voce della ragione. Lo scenario rimane, dunque, piuttosto
inquietante.
In conclusione, mi limito a
tirare un sospiro di sollievo e ad augurare a tutti i progressholic una pronta
guarigione.
© Riproduzione riservata.
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