Dalla parte delle regole, per semplice realismo di Domenico Delle Foglie, Avvenire, 21 aprile 2011
Il confronto sul fine vita esemplare per il rapporto tra credenti e vita pubblica: occorre evitare l’utopia e guardare in faccia quello che è accaduto, lavorando a una sintesi alta tra ciò in cui si crede e quanto è possibile fare per il bene di tutti. Seguendo la lezione del Papa per il quale la politica è «equilibrio tra ideali e interessi.
Fortunato e saggio e colui che possiede la forza di accettare le cose che non può cambiare, il coraggio di cambiare quello che può, il buon senso di distinguere le une dalle altre». Le parole di un campione del realismo cristiano come sant’Agostino ci sembravano le piu adeguate a descrivere la disposizione che dovrebbe guidare sia il legislatore alle prese con le Dat (Dichiarazione anticipate di trattamento) sia gli intellettuali e il popolo che sono chiamati a farsi un’opinione delicata su una rnateria cosi complessa come il fine-vita. Per non dire dello stato d'animo di chi viene costantemente criticato per il solo fatto di immaginare che una legge dello Stato possa intervenire a limitare i danni causati da una giurisprudenza creativa.
Non si contano ormai le colonne (una volta si sarebbe detto di piombo, scritte dagli "intransigenti", spesso supercattolici, rivolte di solito come armi contundenti contro credenti e non credenti che in parlamento
e nello spazio pubblico, sostengono che una legge sul fine-vita, qui e ora, si è resa necessaria. Un'affermazione maturata attraverso una lettura semplicemente realistica di quanto in Italia è accaduto. Forse oggi nessuno di noi, ragionevolmente, invocherebbe una legge dello Stato sul fine-vita se una volontà privata non avesse mosso un tribunale a esprimersi e non avesse ottenuto quanto era considerato impossibile, inopportuno e illegale: interrompere l'alimentazione e l'idratazione di una persona in condizione di gravissima disabilità, sulla base di una sua volontà presunta e discutibilmente ricostruita in un’aula di tribunale.
Chi si rifugia nelle affermazioni ideali e nelle intransigenze religiose, e chi invece si lascia guidare dal dubbio che una legge possa aprire spiragli a un nuovo infinito contenzioso giudiziario, sembra non voler fare i conti con il dato di realtà. Un fatto è accaduto e una persona in carne e ossa (nulla di più reale) è morta perché qualcuno non le ha somministrato l'essenziale per vivere: cibo e acqua. Solo questa consapevolezza della realtà dovrebbe, di suo, spingere a considerare realistica la predisposizione di una norma di salvaguardia sul fine-vita. Ma volete mettere l’impagabile soddisfazione, per gli "intransigenti" di poter riaffermare il proprio intangibile punto di vista, contro i "cedimenti" di quanti difendono norme "laiche" che producono il danno minore, di quanti hanno la consapevolezza che non esistono leggi "cattoliche" ma solo leggi fatte dagli uomini e perciò perfettibili?
Per citare ancora la lezione di sant'Agostino, noi tutti dovremmo alimentare la consapevolezza dell’antiperfettismo che dovrebbe guidare come una stella polare chiunque occupi un seggio in Parlamento ma anche una cattedra pubblica, o uno spazio giornalistico: ovvero, la coscienza che ciascuno, anche nella costruzione di una legge, non può che approssimarsi al bene in una condizione di umana imperfezione. Questa consapevolezza non frena chi vuole costruire il bene, anche nel caso della legge sul fine-vita, ma ne guida l'intelligenza verso quella prospettiva cosi ben delineata da Benedetto XVI, quando afferma che la politica è «una complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi».
Nessuno di noi si nasconde il rischio insito nel realismo politico di scadere nel più bieco cinismo che tutto giustifica e tutto fa digerire a un'opinione pubblica spesso distratta, ma neppure possiamo piegarci al suo opposto: l'idealismo astratto che può persino tracimare — è già accaduto nella storia moderna — nell’utopismo violento e talvolta totalitario. Ecco, cercare la sintesi tra ideali e interessi, secondo la formula di Benedetto XVI è quanto dovremmo fare tutti, legislatori, esperti, comunicatori, opinione pubblica, anche nel caso della legge sul fine-vita. Armati del realismo cristiano che non ci farà mai dire che questa o quella legge sono "cattoliche", ma che ci può dare «la forza di accettare le cose che non possiamo cambiare, il coraggio di cambiare quello che possiamo cambiare, il buon senso di distinguere le une dalle altre». E' già accaduto nel passato democratico del Paese e del cattolicesimo italiano. Senza eccessi d'isteria, senza improvvisati Aventini, senza inopportune e antieroiche fughe dalla realtà.
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