IL VERO CALVARIO DI CHI È LASCIATO SOLO di Bossi Fedrigotti Isabella, Corriere della Sera dedl 21 aprile 2011
Una volta li si chiamava ciechi, storpi, mongoli. Poi sono diventati handicappati, poi portatori di handicap, poi diversamente abili. Eppure il rispetto nei loro confronti non sembra essere cresciuto al pari della sensibilità verbale ma, al contrario, pare diminuire. Non a caso, probabilmente, poco tempo fa si è sentito gridare in Parlamento, all'indirizzo di una deputata in sedia a rotelle, «handicappata di m...», frase che ben riassume l'indifferenza e l'intolleranza che sempre più si diffondono nei confronti dei disabili. Le cronache confermano la tendenza: quotidiane sono le aggressioni e le violenze esercitate, da parte di sani, sanissimi (almeno nel fisico) ai danni dei disabili, e di due giorni fa è la notizia che la maggioranza delle aziende italiane preferisce pagare una multa invece di assumerne, come vuole la legge, un lavoratore appartenente alle categorie protette. Queste sono storie di adulti, si potrebbe pensare, tutt'altra attenzione, fortunatamente, tocca ai bambini. E invece no. Dalle scuole di tutta Italia escono racconti che lasciano l'amaro in bocca, che coinvolgono insegnanti e istituzioni e parlano di abbandono, di trascuratezza e di discriminazione nei confronti dei piccoli handicappati. I loro genitori combattono fin quando possono, poi scrivono ai giornali, e non passa giorno senza che una loro lettera straziante, furibonda, implorante, arrivi in redazione. L'ultima viene da Brescia, dove una ragazza disabile da Natale si rifiuta di andare a scuola perché disperatamente isolata in classe, lasciata senza programma di integrazione. E in tutti questi mesi, nessuno, né preside né insegnante, ha mai telefonato per chiedere ragione della prolungata assenza. Ben più fortunata è stata la bella ragazza pachistana.
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