DARWIN/ La Chiesa alla tavola alta dell’evoluzione
Amerigo Barzaghi
lunedì 9 marzo 2009
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Per riassumere sinteticamente la settimana di lavori appena conclusasi presso la Pontificia Università Gregoriana potremmo partire dal sottotitolo di un famoso libro di Niels Eldredge (Ripensare Darwin. Il dibattito alla tavola alta dell’evoluzione). Riteniamo che sia infatti il modo più efficace per descrivere il bellissimo e densissimo convegno svoltosi dal 3 al 7 marzo a Roma, un appuntamento fortemente voluto dal Pontificio Consiglio per la Cultura. Il Biological Evolution. Facts and Theories, terza conferenza internazionale del Progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Quest) ha radunato professori da tutto il mondo per discutere di evoluzione, di evoluzionismi, di biologia, di antropologia, di filosofia e di teologia. È stata un’occasione privilegiata per impostare un dialogo interdisciplinare serio ed aperto, durante il quale sono stati fissati nuovi paletti per una reciproca comprensione tra la cultura scientifica e quella umanistica. Gli esperti intervenuti sono di altissimo livello. Solo per citarne alcuni: Francisco Ayala, Douglas J. Futuyma, Stuart Kauffman, Simon Conway Morris, Scott Gilbert, Lynn Margulis per l’area strettamente biologico-evolutiva. Yves Coppens, Fiorenzo Facchini, David S. Wilson per quella antropologica. E poi i filosofi ed i teologi: Jürgen Mittlestrass, il Cardinal Georges Cottier, Jean-Michel Maldamé, Vittorio Hösle, solo per citarne alcuni. La risposta da parte del pubblico è stata entusiastica: per cinque giorni l’Alula Magna adibita al congresso è stata puntualmente riempita da professori universitari, studiosi, ricercatori di tutto il mondo o semplici interessati che hanno animato il dibattito – sempre vivissimo – tra una presentazione e l’altra. Lo scopo dell’appuntamento era quello di permettere agli esperti delle diverse aree di interesse di “incrociare gli sguardi”, di confrontarsi e dibattere a viso aperto su una tematica, quella dell’evoluzione, che nell’anno darwiniano è quanto mai ancora attuale, e gravida di interpretazioni che oltrepassano i confini della disciplina biologica. Le questioni di portata filosofica e teologica che la “rivoluzione di Darwin” ha acceso sono di tutto interesse, e riguardano il ruolo ed il significato dell’uomo all’interno della nostra biosfera e del cosmo. Possiamo usare a buon diritto la metafora dell’accesso alla “tavola alta” perché questo evento ha sottolineato ancora una volta la posizione di apertura ad un dialogo fecondo da parte della Chiesa Cattolica: a questa proposta, la rappresentanza scientifica interpellata ha risposto onestamente, ed ha dimostrato un eguale interesse per tutto ciò che esula dal campo dell’empirico. Nessun tentativo, quindi, di “intrusioni teologiche” ingiustificate nella scienza sperimentale: quello dell’evoluzione è un fatto ormai ampiamente accettato. La posizione della Chiesa è molto distante da quelle correnti tipicamente americane contro cui gli evoluzionisti combattono in modo convinto: niente fondamentalismi biblici, e niente Intelligent Design. Di entrambi gli argomenti si è parlato, senza però condividerne i concetti cardine ed anzi criticandoli fermamente: un’invasione teologica in ambito biologico non è utile né ad una scienza che voglia definirsi veramente tale né ad una seria riflessione teologica, che si avvale di altre metodologie per la sua indagine. Ed è mancata anche quella attitudine di un certo tipo di scientismo, non infrequente tra alcuni scienziati, che usa i risultati della scienza a sproposito per sostenereweldtanschauugen filosofiche ateistiche e materialistiche, totalizzanti ed onnicomprensive È da questo spirito di profondo rispetto reciproco e di onestà intellettuale che sono emerse alcune indicazioni utili. Gli argomenti trattati sono moltissimi: sono state spese circa quaranta ore in presentazioni, escludendo tutti i momenti dedicati alla libera discussione. Affrontarli tutti è quindi impossibile, e ci limiteremo ad estrapolare alcune linee guida. La biologia evoluzionistica ci offre oggi una mole impressionante di dati a suo favore. La cornice classica, la famosa Sintesi Moderna, è quindi ancora il punto di riferimento per un’indagine seria, ma con alcune novità di tutto interesse: l’affascinante disciplina dell’Evo-Devo innanzitutto (in questa occasione presentataci dal brillante e simpaticissimo Scott Gilbert), che ci insegna come il processo dello sviluppo embrionale sia importante anche per l’insorgenza di novità potenzialmente significative in termini evolutivi; in questo ambito rientrano pure le recentissime scoperte legate alla cosiddetta “eredità epigenetica”. Ma si è parlato anche di fisica, o meglio di biofisica: i processi di auto-organizzazione e di “criticità dinamica” della materia vivente sono importantissimi e da affiancare alla selezione naturale – che agisce sulle variazioni casuali che insorgono a livello del DNA – ed al già citato momento dello sviluppo embrionale.
Della parte filosofica invece ricordiamo l’importantissima distinzione tra naturalismo metodologico e naturalismo ontologico. Il primo è l’approccio che una qualunque scienza empirica deve adottare: per la sua indagine sulla natura, lo scienziato deve andare a caccia esclusivamente delle cause naturali soggiacenti ai fenomeni di interesse. Il secondo invece rappresenta una vera e propria interpretazione filosofica del mondo, che reputa vera solo quella parte della realtà che è indagabile empiricamente, ed attribuisce un valore ontologico solo a questa. La scienza deve adottare quindi un naturalismo metodologico, ma una posizione filosofica come quella del naturalismo ontologico non è argomentabile tramite la scienza empirica. L’eliminazione della metafisica (e quindi della filosofia e della teologia) non è giustificabile scientificamente sulla base dei dati che ci confermano la realtà del processo evolutivo. La teoria evolutiva non può dunque avere la pretesa di delegittimare le indagini di tipo filosofico e teologico. Inoltre, la concezione diteleonomia risulta essere preferibile, all’interno delle scienze naturali, rispetto a quella di teleologia: mentre la prima sottolinea bene la tendenza interna di tutti gli organismi a rimanere in vita ed a propagarsi, la seconda pertiene agli ambiti filosofici e teologici, che possono legittimamente interrogarsi sulle direzionalità della storia, comprese quelleescatologiche tipiche della tradizione cattolica.
La riflessione teologica del congresso si è invece concentrata sulla valorizzazione del fattore antropologico inserito nello scenario evolutivo di una storia in continuo divenire; e, grazie anche alle argomentazioni filosofiche, è stato ricordato come siano da distinguere le cause seconde dalle cause prime. L’indagine del mondo naturale ci permette l’accesso alle cause seconde. L’indagine sulle cause prime è però di pertinenza filosofica e teologica. In questo senso, è possibile accettare unitamente il concetto di creazione della realtà da parte di un Essere superiore e quello dell’evoluzione, intesa come il dispiegarsi delle cause seconde a partire dall’atto di creazione originario da parte della causa prima. I concetti di creazione e di evoluzione non sono quindi mutuamente esclusivi. Possono coesistere, e sono conoscibili tramite due approcci alla realtà diversi: il mondo è conoscibile tramite la scienza empirica; ma la ragione umana possiede anche una potenzialità autoriflessiva e di indagine speculativa che, unitamente all’esperienza religiosa elementare che lo caratterizza, gli permette anche di interrogarsi sulla causa prima. L’importanza dell’ “animale uomo” è quindi salvaguardata.
L’approccio interdisciplinare che ha caratterizzato questa settimana di lavori ha voluto quindi valorizzare tutti questi aspetti della conoscenza umana. Le discipline scientifiche e quelle umanistiche illuminano da posizioni diverse e con metodi propri una medesima realtà. D’altronde, quella dell’universalità è sempre stata la vocazione primaria delle università. Ma come possono aiutarsi a vicenda questi due campi del sapere? La scienza – è stato ricordato – può evitare alla religione di ridursi a semplice superstizione; teologia e filosofia, dal canto loro, possono evitare alla scienza di diventare scientismo, cioè un falso idolo che si autoadora.
Un’importante nota finale: la trama di rapporti umani che è nata durante questi giorni, le lunghe ed appassionanti discussioni durante i dibattiti, gli scambi di opinione e di indirizzi mail durante i coffe breaks sono a nostro avviso una caparra importantissima sul successo futuro di questo tipo di iniziative. In un clima cordiale ed addirittura amichevole, il confronto è avvenuto spontaneamente. Nel reciproco rispetto, mantenendo tutte le diversità costitutive, quelle della provenienza geografica, quelle legate alla diversa area di interesse, quelle legate alle credenze personali. Il grande fattore unificante è stato, a nostro avviso, una comune posizione di stupore curioso di fronte alla realtà: questo atteggiamento è il motore propulsivo più efficace per un’indagine appassionata alla bellezza intelligibile che ci è accessibile, in un modo misterioso e commuovente.
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