Quando la Cassazione protegge la vita di Ilaria Nava, Avvenire, 14 aprile 2011
L’ultima importante pronuncia sul tema è stata quella della Corte di Cassazione, che con la sentenza 39 del 2011 – venerdì scorso – ha chiarito che il medico deve attenersi alle regole di prudenza e alle valutazioni compiute in scienza e coscienza anche a fronte del consenso informato del paziente. La Cassazione ha così condannato per omicidio colposo tre medici che avevano operato una donna malata di tumore. Così la quarta sezione penale ha aggiunto un ulteriore tassello al frammentario panorama giurisprudenziale che riguarda temi al centro del dibattito attuale come il consenso informato e il ruolo del medico.
Tra i precedenti da segnalare in proposito, l’importante pronuncia a sezioni unite della Cassazione che aveva annullato una decisione della Corte d’appello di Bologna. In quell’occasione la Corte, più che trattare la consistenza giuridica del consenso informato, affrontò principalmente gli eventuali profili di responsabilità del medico che agisca in maniera differente rispetto al consenso prestato dal paziente.
Gli ermellini affermarono che ove il medico «sottoponga il paziente a un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall’intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale» (Cassazione 2437/08).
Nel maggio del 2008 la Cassazione ha affrontato un caso relativo al dissenso espresso attraverso un cartellino con scritto "niente sangue" inserito nel portafogli di un testimone di Geova giunto all’ospedale in stato di incoscienza. I giudici hanno ribadito la necessità del consenso informato stabilendo però dei precisi paletti: «Il dissenso del medesimo deve essere oggetto di manifestazione espressa, inequivoca, attuale, informata. Esso deve, cioè, esprimere una volontà non astrattamente ipotetica ma concretamente accertata; un’intenzione non meramente programmatica ma affatto specifica; una cognizione dei fatti non soltanto "ideologica", ma frutto di informazioni specifiche in ordine alla propria situazione sanitaria; un giudizio e non una "precomprensione": in definitiva, un dissenso che segua e non preceda l’informazione avente a oggetto la rappresentazione di un pericolo di vita imminente e non altrimenti evitabile, un dissenso che suoni attuale e non preventivo» (23676/2008).
Anche la Consulta ha avuto modo di chiarire che il consenso informato non trova il suo fondamento soltanto nella tanto sbandierata autodeterminazione del paziente, ma anche nel suo diritto alla salute, che come ci ricorda l’articolo 32 della Costituzione è un fondamentale diritto dell’individuo e anche interesse della collettività. «Il consenso informato riveste natura di principio fondamentale in materia di tutela della salute in virtù della sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute».
(Sentenza 30 luglio 2009, n 253). Princìpi che la legge attualmente in discussione alla Camera vuole codificare in maniera chiara ed equilibrata, raccogliendo l’eredità giurisprudenziale sul consenso informato e mettendo le giuste garanzie nel caso questo sia prestato in maniera anticipata, evitando che qualche giudice possa compiere una arbitraria ricostruzione della volontà della persona come accaduto a Eluana Englaro
Nessun commento:
Posta un commento