No all'autodeterminazione. Firmato Habermas - Nel libro «Il futuro della natura umana», di recente tradotto in Italia, il grande filosofo tedesco della scuola di Francoforte si appella all'etica per sostenere che il principio dell'assoluta disponibilità della vita è pericoloso per il futuro stesso del genere umano - di Maurizio Soldini, Avvenire, 21 aprile 2011
Il filosofo tedesco Jurgen Habermas nel libro Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, pubblicato nel 2001, proposto in traduzione italiana da Einaudi nel 2002 e riproposto nel 2010, si interroga sul futuro del genere umano in considerazione dei possibili guasti, biologici ma non solo, che potrebbe creare una scienza genetica <liberata» in una prospettiva liberale, La genetica liberale, che permetta di modificare i geni dell’embrione e di fare esperimenti «liberi» da qualsiasi vincolo sull’embrione, ovvero sull’essere umano all'inizio della sua esistenza, è per Habermas uno spettro di cui dobbiamo liberarci. In una prospettiva pur sempre liberale, più precisamente kantiana, ma tenendo in considerazione le movenze kierkegaardiane proprie di una visione esistenzialista e personalista dell'essere umano, Habermas, argomentando su questioni che riguardano l'inizio della vita, arriva a conclusioni che sconvolgono le posizioni liberali, che oggi sembrano prevalere nel dibattito bioetico di matrice laica soprattutto nel nostro Paese. Infatti il filosofo della scuola di Francoforte mette in evidenza come il principio di autodeterminazione, che non può essere presente all’inizio della vita, quando l'essere umano non è in grado di prendere decisioni per se stesso, non può essere surrogato per una serie di argomenti che qui per non appesantire il discorso non riportiamo.
Habermas sostiene che (le finalità terapeutiche, cui tutti gli interventi di ingegneria genetica dovrebbero attenersi, pongono limiti precisi a qualunque tipo di operazione. Un terapeuta deve mettersi in rapporto con seconde persone e darne sempre come presupposto il consenso informato.
Habermas richiama, piuttosto, sull'onda lunga del pensiero di un altro famoso filosofo, Hans Jonas, a una responsabilità intesa a non alterare la natura umana attraverso interventi di una scienza che non sia rispettosa della natura umana stessa, che tra l'altro implica anche uguaglianza casuale che si ha alla nascita. Le conseguenze del pensiero di Habermas sono molto interessanti nel momento in cui giungono alla conclusione che la vita all’inizio del percorso esistenziale è indisponibile. Ma vi è di più nella posizione assunta dal nostro pensatore, nel momento in cui afferma che «sembra che la domanda filosofica originaria circa la vita giusta si ripresenti oggi sul piano della universalità antropologica. Nella nostra post-modernità quasi tutte le figure morali, soprattutto quelle che si richiamano ad un politicamente corretto» che altro non è che relativismo sembrerebbero astenersi dal proporre modelli vincolanti di vita buona», Habermas apre in tale frangente alla problematica etica classica dell'universalità antropologica, convinto che l'etica dovrebbe muovere alla ricerca della vita buona», Il filosofo, seppure da un punto di vista liberale e soprattutto laico, e come egli stesso afferma in un orizzonte post—metafisico, sottolinea l'importanza della dimensione antropologica e l'opportunità di ritornare all'orizzonte dell'etica classica della ricerca della vita buona» per garantire a tutti i cittadini in primis un'uguaglianza di partenza.
L'indisponibilità della vita secondo Habermas trova punti di contatto e di apertura dialogica, ma soprattutto di convergenze pratiche, con la sacralità della vita. Ma al di là di questo importante assunto, il filosofo tedesco apre in modo molto forte in una dimensione pratica all'etica della «vita buona», che fa parte della tradizione metafisica aristotelica e tommasiana.
Inoltre, tra i tanti messaggi da recepire nella posizione di Habermas, c'è l'invito forte a un ripensamento da parte di coloro che si professano bioeticisti laici e liberali. Ripensamento a rivedere la natura della bioetica che tanto per iniziare non dovrebbe essere più ancorata a steccati ideologici e strumentali, come la divisione nelle cosiddette bioetica laica e bioetica cattolica. La bioetica, oggi più che mai, ha bisogno di un fondamento antropologico e pratico e di un dialogo costruttivo che sappiano universalizzare il valore della vita e ancor più della vita buona».
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