L'OSSERVATRICE ROMANA – di Barbara Palombelli, 27 aprile 2011, © FOGLIO QUOTIDIANO
Francesca ha 38 anni. E’ farmacista, è una bella ragazza sportiva, un leggero accento francese addolcisce le sue parole. Mi chiede di essere il suo megafono, il suo amplificatore, la sua voce. Desidera che si dicano forte e chiaro alcune verità, per salvare dalle delusioni tantissime ragazze come lei. La prima cosa che vuole urlare è quasi banale: “Chi vuole diventare madre deve pensarci presto, prima dei trenta. Dopo, è un terno al lotto. E se si vogliono rispettare le leggi italiane e far nascere un figlio biologicamente frutto dei nostri geni, c’è poco tempo. E’ ora di finirla con le bugie e tu che sei giornalista devi ribellarti alle palesi menzogne che avvalorano certi giornali quando a partorire è una delle star dello spettacolo”. Parla a nome delle migliaia di donne che si stanno sottoponendo alla Pmi, la procreazione medicalmente assistita. Il concepimento fuori dal corpo femminile, mediante l’incontro del seme e dell’ovulo e l’installazione dell’embrione (o degli embrioni) nell’utero, è un’invenzione di molti anni fa. Il medico che la sperimentò per primo, Robert Edwards, ha vinto il Nobel. Una delle prime storie della mia vita professionale fu proprio la descrizione del percorso difficile e anche rischioso cui si sottoponevano molte famiglie. Altri tempi.
Allora il procedimento veniva molto incoraggiato dalla chiesa, eravamo alla fine dei Settanta e sembrava alle gerarchie una strategia ideale per contrastare le prime richieste di legalizzazione dell’aborto. Dopo le polemiche, la legge 40 che vieta ogni inseminazione eterologa, le insistenti immagini di cinquantenni incinta e vincenti, il figlio in provetta continua ad apparire – sui nostri mezzi di comunicazione – una cosa semplice, perfino più pratica delle lunghe attese di qualcosa di naturale. Chi ha più di 32 anni, invece, è destinata a vedere le proprie potenzialità genitoriali molto ridotte: le uova che si producono non sempre sono adatte a creare un embrione. Per aiutarle, è previsto un vero e proprio calvario, di cui nessuno ha voglia di parlare. Visite e prelievi di sangue settimanali, ecografie continue, iniezioni di ormoni per stimolare le ovaie che la probabile mamma deve farsi da sola sull’addome (“dottoressa, ma quanto devo infilare l’ago in profondità? E i lividi? Le macchie? La farmacista-collega di sventura ha un consiglio per tutte, sa di che si parla, anche lei ha il ventre pieno di buchi).
Fabbricare uova idonee e contemporaneamente avere una vita normale è praticamente impossibile: occorre chiedere permessi, fuggire dall’ufficio, nascondersi se non si vuole mettere a parte l’intera azienda del proprio progetto di vita. Ci si gonfia come un vitello all’ingrasso, l’umore va a sbalzi, si perde ogni impulso erotico. Ma tutto questo non viene mai scritto, raccontato, messo in chiaro.
Nella farmacia dove esercita – part time, perché altrimenti anche per lei addio inseminazione – Francesca le vede arrivare, quelle coppie che hanno sfogliato quei giornali. Hanno un sacco di ricette, i nomi dei professori in alto a sinistra – tutti maschi – sono spesso quelli che hanno fatto nascere la figlia della diva tv. Futuri padri e future madri spendono un mucchio di soldi nei laboratori privati, i centri pubblici abilitati alla Pmi si contano sulle dita di una mano, il tempo stringe e gli sguardi si fanno lucidi di lacrime. Troppe bugie si raccontano, sulla provetta. In molti casi, le pance sventolate in copertina sono frutto di viaggetti all’estero – ora va molto la Tunisia, fino a ieri the best era Barcellona – dove si utilizza l’ovodonazione insieme al seme del padre. Noi donne, come è noto, ci accontentiamo della gravidanza, l’ereditarietà del Dna è un tema maschile. Francesca non sa se ci riproverà, uno dei ginecologi che la segue l’ha trattata un po’ male, si trova meglio con le donne dell’équipe, è piena di ansia e di dubbi. Vorrebbe che si parlasse di più, con un po’ di correttezza, di questo universo.
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