martedì 17 maggio 2011

La truffa dell’«antilingua» colpisce ancora di Pier Giorgio Liverani - L’opinione pubblica si è assuefatta alla legittimazione dell’aborto di Stato anche grazie a un linguaggio fatto di parole che nascondono ciò di cui non si vuole parlare, Avvenire, 12 maggio 2011

Sembrano passati molto più di trent’anni dal referendum sulla legge 194: l’opinione pubblica maggioritaria si è ormai tanto assuefatta alla legittimazione e alla gratuità dell’aborto di Stato, che questo non sembra più, a molti, quello strappo sradicante che uccide tante vite innocenti e avvilisce la maternità.
Nemmeno gli oltre 5 milioni di bambini finora abortiti sembrano capaci di oltrepassare il muro della insensibilità etica dei più, con conseguenze gravi anche sulle pratiche della contraccezione cosiddetta di emergenza e della fecondazione artificiale.
In compenso quel «Ricominciamo da trentadue» (il 32% dei "sì"), che fu lo slogan caratterizzante della reazione del "popolo della vita" all’esito del referendum, ne ha rafforzato convinzioni e strumenti e oggi i risultati di una simile consultazione sarebbero sensibilmente diversi. Lo conferma la misera fine del referendum del 2005 sulla legge 40 che regolamenta la fecondazione artificiale.
Ma che cosa indusse, nel 1981, quel 68% degli elettori votanti a confermare la legittimità dell’aborto? Per capirlo bisogna riandare alle due campagne: a favore della 194 e contro il referendum abrogativo. In quest’ultimo erano in concorrenza tra loro, ma entrambi contro la legge, la proposta dei radicali, che voleva l’abolizione in nome della libertà di aborto e fu massicciamente rigettata, e le altre contrarie all’aborto in sé: le due del Movimento per la Vita, "massimale" e "minimale" per il caso che la prima, come avvenne, non fosse accettata dalla Consulta, e alcune preparate, ma non giunte ad alcun risultato. Se la bocciatura del Movimento per la Vita fu una sconfitta, quella dei radicali confermò che non tutto il valore della vita era perduto e, in questo senso, fu una vittoria.
l referendum, come alla legge, si arrivò nel clima di clamorosi falsi, cui si sposava un linguaggio nuovo e sottilmente ingannevole: l’«antilingua». Si trattò, insieme, di una forma di terrorismo ideologico. Il fronte abortista "dava – letteralmente – i numeri": da 800mila a 4 milioni di aborti ogni anno e da 20 a 25mila donne morte per le rozze pratiche delle "mammane". Dati attribuiti a enti qualificati, ma che non li avevano mai forniti.
Nessuno fu tanto onesto da calcolare, allora, che cosa questi numeri potessero significare: per esempio, che le stime più serie (il famoso ginecologo francese Jérôme Lejeune e l’italiano Bernardo Colombo, demografo dell’Università di Padova) indicavano l’incidenza massima dell’aborto, in regime di illegittimità, nell’uno per mille delle nascite; e un massimo reale di aborti più vicino a cento che a 200mila in Italia.
Inoltre che 4 milioni di aborti praticati dai 13 milioni di donne di età feconda (censimento 1971) sarebbero corrisposti a 11 aborti per ogni donna, sterili comprese.
Invece per gli 800mila tra due e tre, come sopra. Quanto, infine, alle 20mila morti, ogni anno, per aborto clandestino, stavano le 13 mila decedute in età feconda per qualsiasi causa (incidenti, delitti e suicidi compresi). Queste assurdità furono poi confermate come tali: aborti mai al di sotto dei 230mila, più 20-30mila clandestini, più quelli, non controllabili, della contraccezione cosiddetta d’emergenza.
l secondo strumento "culturale" che affiancò il terrorismo dei numeri fu l’antilingua: vale a dire un linguaggio fatto di parole che nascondono ciò di cui non si vuole o si teme di parlare. Gli esempi sono più che noti: l’asettica "interruzione volontaria della gravidanza" al posto del brutale aborto (riservato ai clandestini); il concepito, meno drammatico di figlio; la donna, al posto di madre; la contraccezione d’emergenza, invece di abortivo precoce; l’embrione o il feto, invece di bambino... E poi i diritti civili per tutto ciò che va contro la persona o contro l’etica...

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