DIBATTITO/ Barcellona: aborto e gay, il "sogno" di Vendola fa
male alla ragione (laica) - Pietro Barcellona - giovedì 4 ottobre 2012 - http://www.ilsussidiario.net
Mi pare stucchevole che nel cuore
di una crisi epocale che riguarda le stesse radici culturali del mondo
occidentale, si continuino a prospettare le questioni della bioetica come una
discriminante tra mondo laico e mondo cattolico. Trovo addirittura sorprendente
che la formazione guidata da Nichi Vendola ponga come punti programmatici il
riconoscimento dell'uso illimitato delle tecniche procreative, della
possibilità di praticare l'eutanasia e di fare della relazione fra omosessuali
una figura analoga a quella della famiglia fondata sul rapporto di coppia tra
uomo e donna. Da anni mi sforzo di dimostrare che le problematiche relative a
queste "situazioni" non hanno niente a che vedere col rapporto tra
fede e scienza e che non ha senso alcuno discettare sui testi sacri per
dimostrare il riconoscimento indiscutibile delle libertà individuali rispetto
ai temi della nascita, della morte e della famiglia.
Ho cercato in particolare di
argomentare, nel modo che a me sembra più realistico e aderente alle nostre
tradizioni culturali, che il conflitto non è tra fede e scienza ma tra una
visione dell'essere umano affidata al puro principio della casualità e ad una
sorta di evoluzionismo necessitato, e una visione dell'uomo inserito in una
comunità di altri uomini che si rifiutano di accettare che l'accadere storico
sia il frutto del caso e di atti assolutamente predeterminati da cause
biologico-sociali.
Come è stato scritto, la scelta
che bisogna compiere è tra una visione che, proprio perché ispirata alla
casualità, assume l'assurdo come principio regolativo, e una visione che al
contrario ritiene che noi siamo immersi in un mistero che ci impone una ricerca
continua del senso delle nostre azioni e della responsabilità verso il nostro
prossimo. Scegliere in un contesto dominato dal caso è infatti un puro atto
arbitrario, mentre scegliere in un contesto dominato dal mistero è sentirsi
corresponsabili della ricerca del senso della vita.
Nel modo di affrontare i temi
della bioetica ciò che si contrappone non è una visione cattolica e una visione
laica, ma una visione laica che si identifica con la conoscenza scientifica del
tempo e che non conosce alcuna interrogazione sul senso della vita, e una
concezione antropologica fondata sull'appartenenza di ogni essere umano ad una
comunità che elabora il proprio modo di stare al mondo. In molti dibattiti a
cui ho partecipato ho avuto l'occasione di ascoltare fuori microfono le
dichiarazioni di illustri intellettuali che testimoniavano personalmente
l'impossibilità di riferirsi a criteri puramente scientifici per affrontare le
problematiche di familiari coinvolti in esperienze tragiche. Ho ascoltato ad
esempio la testimonianza di un intellettuale, di cui non intendo citare il nome
per ovvie ragioni, che ha deciso di idratare il proprio padre morente perché ha
percepito la sofferenza anche mentale che quel corpo subiva per effetto della
disidratazione. Ho ascoltato testimonianze di donne che dopo aver fatto
riferimento all'inseminazione artificiale eterologa hanno vissuto momenti di grave
depressione per avere avvertito nell'équipe che la seguiva una visione del suo
corpo come mero contenitore alienato di un prodotto esterno. Ho ascoltato
discorsi di amici cari che nell'ambito di una relazione omosessuale hanno
sperimentato l'angoscia di bambini accolti come figli che hanno subito gravi
disturbi per la mancanza del riferimento ad una coppia di genitori.
Sono tutti problemi dunque che
possono essere affrontati senza alcun riferimento ai testi sacri e alle
confessioni religiose, bensì sul terreno di una seria analisi delle componenti
psicologiche e culturali della nostra condizione umana. Come è stato da più
parti sottolineato da medici, psicoanalisti e sociologici, ad esempio,
l'esperienza della maternità non si risolve col trovarsi all'improvviso un
infante tra le braccia, ma rappresenta il punto di arrivo di un percorso
psicologico complesso in cui si è sviluppato già prima ancora della nascita
materiale un rapporto profondo di comunicazione tra la mente di chi è chiamato
ad assumere le funzioni materne e il nascituro. Tutte le riflessioni sulla
dinamica psichica intrauterina mostra che il nostro venire al mondo è
fortemente influenzato dalle rappresentazioni mentali della futura madre e che
tutto l'organismo di essa partecipa fisicamente e psichicamente all'evento
della nascita.
L'accoglienza di un essere umano
che sta per venire al mondo non è una questione scientifica, ma un riflesso
dell'ethos che ispira il gruppo sociale all'interno del quale si produrrà
l'evento della nascita. Ridurre l'evento di un essere umano a un puro fatto
calcolabile degli elementi che ne definiscono la processualità è a mio parere
un errore di grammatica umana e non già la violazione di qualche tabù
religioso. Bisognerebbe sviluppare una discussione molto approfondita ed estesa
su come le donne partecipano ai processi di procreazione artificiale, e di come
spesso sentono la propria identità materna umiliata e depressa fino ad alterare
completamente i rapporti affettivi col nuovo nato e con il personale che ha contribuito
tecnicamente alla nascita stessa.
Ci sono riflessioni di
antropologi, di psicoanalisti, di storici che dimostrano sotto mille profili
che la gravidanza non è soltanto un fatto privato ma un evento sociale che
incide su tutti i comportamenti del gruppo al quale la madre appartiene.
Purtroppo questa parte della realtà è sistematicamente occultata dalle
industrie del mercato di ovociti e gameti che prosperano abbondantemente in
altri Paesi e che in nome della libertà non hanno esitato a mercificare
l'intero processo procreativo, dimenticando che attraverso la rappresentazione
dei ruoli materni e paterni si definiscono le modalità del rapporto col
principio della realtà e con il senso del limite e della propria identità.
Ogni forma di civiltà ha definito
le regole di convivenza e i principi dell'identità collettiva attraverso il
modo di rapportarsi ai temi della nascita e della morte indipendentemente dalle
professioni religiose di ciascun gruppo umano. La vita, la nascita e la morte
appartengono alla sfera dell'elaborazione del senso che caratterizza la
condizione dell'uomo come unico essere vivente capace di riflettere su se
stesso. Una subordinazione dell'essere umano ad ogni visione oggettivante,
biologista e neonaturalista, in realtà tende a mettere in discussione lo
statuto antropologico attraverso il quale continuiamo a vedere il mondo
esterno.
Allo stesso modo, per quanto
riguarda l'eutanasia, il suicidio assistito, ecc., ci sono studi e riflessioni
condotte sul puro terreno antropologico che spiegano queste pratiche di fine
vita istituzionalizzate e medicalmente protette come profonde alterazioni delle
dinamiche che attengono in profondità alla costituzione dell'identità personale
attraverso la consapevolezza del proprio destino mortale e del problema della
sopportazione della sofferenza. Senza esprimere giudizi moralistici, che non mi
interessano affatto, abbiamo testimonianze di morenti che hanno voluto vivere
coscientemente gli ultimi istanti della propria vita per manifestare al gruppo
sociale di appartenenza la propria affettività e il proprio messaggio di
accettazione dell'evento finale.
Tutta la cultura dello stoicismo
ha ispirato correnti culturali molto radicate nell'occidente che hanno
rappresentato per l'appunto una visione molto umana e realistica del rapporto
fra ciascun individuo e il destino inevitabile del proprio scomparire. L'idea
del venire al mondo e dello scomparire delle cose è alla base di uno dei filoni
più importanti della cultura occidentale, che si è sempre misurata col rapporto
fra la specificità umana della coscienza e l'accadere necessario dei fatti che
sono sottratti al nostro potere. Le visioni della nascita e della morte hanno
consentito di percepire il limite umano del nostro potere sulla natura e hanno
influenzato profondamente una cultura che, pur dando il primato all'uomo
nell'universo, lo ha sempre realisticamente posto di fronte ad una nascita e ad
una morte di cui non può disporre a proprio capriccio.
Io non capisco perché questa
componente stoica della cultura dell'Occidente non possa oggi essere presa in
considerazione per un confronto serio senza inquinare la discussione attraverso
le categorie del rapporto fra fede e ragione, e costruendo addirittura su
queste antinomia schieramenti politici. Vorrei capire perché qualche
rappresentante del centro destra diventa all'improvviso il paladino di principi
religiosi quando la sua vita personale mostra in modo clamoroso una notevole
distanza dai modelli evangelici. Se c'è un caso dove l'opportunismo e la strumentalizzazione
stanno premiando i produttori di chiacchiere a vuoto, questo è il campo della
bioetica in cui non c'è più spazio per un'antropologia culturale che cerchi di
approfondire le radici dei nostri modelli etici.
Le stesse ragioni di perplessità
riguardano l'attuale dibattito sul riconoscimento delle coppie omosessuali come
una forma nuova di famiglia. Personalmente ritengo infatti che vadano
regolamentati i diritti economici relativi ad una convivenza protratta nel
tempo, ma penso che l'adozione di un bambino da parte di una coppia di persone
dello stesso sesso rischi di produrre nella rappresentazione mentale del
giovane una lacerante distorsione fra l'attitudine a svolgere ruoli femminili e
maschili, paterni e materni, e la realtà di una coppia fondata su una
somiglianza senza differenza.
Se i problemi della bioetica
saranno dunque sottratti alla disputa fra laici e cattolici e assunti come
problema antropologico dell'essere umano, non solo si agevolerà un confronto argomentato
seriamente, e non fondato su presupposti ideologici, ma si favorirà una
chiarificazione del confronto politico fra gli schieramenti che oggi sono
falsamente tenuti in piedi per ragioni di pura opportunità.
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