SCIENZA - NANOTECH - “Ora c’è la retina artificiale” - La tecnologia
della retina artificiale potrà essere applicata sia sull’uomo sia su molti
dispositivi: dagli smartphone fino alle creature - Creata all’IITdi Genova con
polimeri e neuroni: “Servirà anche per i robot” - MARCO PIVATO - 03/10/2012 - http://www.lastampa.it
Sono passati 10 anni dallo
«scandalo Schön», l’ex fisico tedesco assurto alla gloria dopo aver
collezionato un’imponente letteratura, in tema di nanotecnologie, sulle riviste
scientifiche più famose. Un ascesa, però, sulla quale è inciampato, dopo che i
colleghi scoprirono che aveva sistematicamente falsificato i dati dei suoi
esperimenti. Ma un decennio dopo si fa sul serio, fa intendere Roberto
Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia di
Genova. Con 30 brevetti, coautore di 700 articoli su riviste internazionali, ha
lanciato tre aziende spin-off che stanno dando lustro al Paese, sempre più
autorevole concorrente, a livello mondiale, nel campo delle nanotecnologie. Una
delle «nanomeraviglie» appena uscita dalla sua fucina, sviluppata in 18 mesi, e
presentata all’ultima «Conferenza sul futuro della scienza» di Venezia, è una
retina artificiale, costruita su un supporto nanoingegnerizzato.
Professore, da dove si parte per
costruire una retina artificiale?
«Dapprima è stato realizzato un
dispositivo per via nanotecnologica, rendendolo sensibile alla luce. Si parte
da un bagno composto da monomeri polimerizzati, vale a dire plastica, e
nanosfere sensibili alla luce, della grandezza di qualche centinaio di atomi.
Alla fine del processo le nanosfere rimangono intrappolate nelle fibre
costituite dai polimeri. Così otteniamo un supporto plastico che si comporta
come una cella fotovoltaica. Questi dispositivi sono trasparenti, flessibili e
di spessore infinitesimale».
Come fa un essere umano a vedere
con questo sistema?
«Sul dispositivo fotosensibile
abbiamo depositato un film di neuroni umani vivi. Quando la cella è colpita
dalla luce, come in tutti i sistemi fotovoltaici, trasforma l’impulso luminoso
in un impulso di corrente e questo impulso, come un impulso di natura nervosa,
attiva i neuroni a fare il loro mestiere...».
Quindi si tratta di neuroni del
sistema visivo?
«Si possono utilizzare neuroni
del sistema visivo, dunque già “educati” a svolgere la funzione di tradurre la
luce in immagini per il cervello. Ma si possono usare anche neuroni allo stadio
staminale, o comunque cellule primarie deputate alla visione, che poi si differenziano
in neuroni della retina grazie a segnali biochimici. La scelta dipende anche
dalla sensibilità che si intende ottenere e anche dai costi».
La retina artificiale è già stata
impiantata nell’uomo?
«Saremo in grado di farlo, in
futuro, ma per ora è stata applicata all’occhio di un ratto».
Che tempi prevede affinché la
clinica si appropri di questa tecnologia?
«È necessario essere cauti sulle
previsioni. Il brevetto, firmato dal dipartimento di neuroscienze in
collaborazione con il nostro centro di nanoscienze al Politecnico di Milano, è
giovane ed è una novità assoluta. Ma che procede molto velocemente. Abbiamo
ottenuto informazioni molto positive dall’esperienza sulle cavie: con
l’esperimento ci siamo sincerati che la retina funziona anche dal punto di
vista biologico, oltre che tecnologico».
Una retina artificiale risolve il
problema della reperibilità dai donatori, ma questo supporto è ben tollerato
dall’organismo oppure potrebbe dare luogo a fenomeni di rigetto?
«Questo problema non si è
presentato nelle cavie. Non servono immunosopressori. Il materiale, infatti, è
completamente biocompatibile».
A proposito di biocompatibilità,
come può essere tollerabile dall’organismo un dispositivo nanostrutturato?
«E’ tollerabile, perché molto
spesso le nanotecnologie utilizzano, come materiale di partenza da essere
funzionalizzato, una serie di molecole biologiche. Per esempio frammenti di
geni oppure di amminoacidi. A differenza dei sistemi di visione basati sul
silicio, l’utilizzo di materiali molecolari che hanno struttura a base di
carbonio permette una maggiore biocompatibilità, proprio perché la stragrande
maggioranza delle molecole biologiche sono lunghe catene di carbonio
ramificate».
La retina artificiale può essere
utilizzata anche su robot o su automi destinati alla produzione di microchip o
a compiti di microchirurgia?
«Di certo è una scommessa più
semplice che non lavorare su un occhio umano, dove integrare retina e fasci
nervosi richiede un approccio molto complicato, ma è comunque una scommessa non
meno ambiziosa. I nostri sistemi fotosensibili stanno riscuotendo grande
interesse da parte dell’industria, perché sono meno costosi e dalla resa
energetica maggiore rispetto alle tradizionali celle fotovoltaiche. Proprio
perché sono di plastica e non di silicio hanno, inoltre, un impatto estetico
decisamente migliore. Sono duttili e possono essere anche esteticamente
attraenti. O, ancora, dato che, singolarmente, le celle occupano poco spazio,
potrebbero essere inserite sul retro di un cellulare per ricaricarlo
velocemente».
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