martedì 5 aprile 2011

Contro l'eutanasia non basta dibattere della legge di Marco Respinti, 05-04-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Nessuno può negarlo: la proposta di legge in discussione alla Camera sulle Dat, cioè le “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento”, ha scatenato una vera e propria “guerra civile” dentro il mondo cattolico deciso a impedire la deriva eutanasica del nostro ordinamento giuridico.

Da un lato vi è chi sostiene a spada tratta la necessità di legiferare positivamente in materia, giudicando lacunosa la normativa vigente che non metterebbe al riparo dai colpi di mano più o meno legittimi dei giudici chiamati a dirimere i singoli casi. Dall’altro vi è invece chi la legge l’avversa nettamente, muovendo pure critiche alla situazione attuale che comunque giudica maggiormente garante del diritto alla vita e aggiungendo che i colpi di mano di questo o di quel giudice sono e restano appunto solo casi isolati  e comunque illeciti.

Lo scopo dei due schieramenti è lo stesso, ma è sui mezzi che imperversa la lite.

Il primo fronte è capitanato dal presidente del Movimento per la Vita (MpV) Carlo Casini (eurodeputato dell’Udc) - il quale appoggia il ddl proposto dalla maggioranza di governo -, conta sull’appoggio della Conferenza Episcopale Italiana e si esprime dalle pagine del quotidiano Avvenire.

Il secondo fronte è rappresentato dal Comitato Verità e Vita (CVV), ha sponda nelle critiche al ddl sulle Dat espresse dall’ex Sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano e da Adriano Pessina, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, trova spazio sulle pagine de Il Foglio e probabilmente gode delle simpatie discrete di qualche vescovo.

Come tutte le guerre, anche questa non conosce esclusione di colpi; vista però l’identità dei due schieramenti, la cosa è ancora più incresciosa. L’ultima battaglia in ordine di tempo è iniziata  il 19 marzo, a Firenze, nel corso dell’assemblea nazionale del Movimento per la Vita il cui documento conclusivo - sbarcato sulle colonne di Avvenire il 24 marzo - dichiara incompatibile l’impegno nelle realtà locali e attivistiche dell’MpV con la militanza nel CVV. Il quale ha evidentemente reagito, poi sono intercorse lettere, smentite, telefonate, scuse a denti stretti accettate per metà, insomma un vespaio che rende le due posizioni ancora più inconciliabili. La sensazione - non gradevolissima - è che la discussione sulle Dat stia veicolando, o coprendo, anche antiche rivalità, compreso qualche personalismo di troppo.

Ora, ragioni valide di natura squisitamente pratica a sostegno della propria posizione le accampano entrambi i fronti. Né, trattandosi di ambiti negoziabili (non negoziabile è solo lo scopo da raggiungere), il favore con cui i vescovi guardano a un intervento legislativo diviene sic et simpliciter indiscutibile per i cattolici, i quali invece lecitamente possono, anzi debbono, in piena coscienza, offrire al dibattito tutti i contributi anche tecnici di cui sono capaci, dibattito che appunto riguarda la politica, pur fatta da cattolici, e non - come non potrebbe essere - la dottrina.

Ciò detto, due sono però i rischi che questa “guerra civile”, dannosa e fuorviante come lo sono tutte, comporta.

Il primo rischio quello di spingere i due fronti ad assolutizzare la propria posizione, passando dal campo opinabile dell’azione politica concernente i mezzi per raggiungere uno scopo al piano dei princìpi, ma indebitamente. Insomma, quello di attribuire alla propria parte il monopolio della verità dottrinale, scambiando pericolosamente il mezzo per un fine, “scomunicando” la parte avversaria in un contenzioso che riguarda solo il modo non lo scopo. Perché - è chiaro, ma deve essere detto apertamente - in nessuno dei due schieramenti allignano posizioni filoeutanasiche.

In secondo rischio è quello di concentrare tutta l’attenzione sulla sola questione legislativa, finendo per operare, in un senso o nell’altro, cioè sia che la legge la sia voglia sia che la si avversi, un pericoloso riduzionismo positivistico di una materia invece di ben altra natura. Di pensare, cioè, che tutto riposi solo sul ddl in discussione alla Camera, perdendo di vista, in entrambi i casi, ciò che fa davvero, lentamente ma inesorabilmente, scivolare la società italiana verso una cultura eutanasica, legge o non legge. Vale a dire il clima relativistico che la permea, il pensiero comune materialistico che la domina, la capacità ideologica di pilotare qualsiasi assetto normativo. Non certamente per dire che l’assetto legislativo di un Paese non conti, ma per sottolineare che essa non basta e che soprattutto non incomincia da lì la conversione di una società.

Entrambi i fronti di questa comunque incresciosa e troppo lunga “guerra civile” hanno ragione da vendere nella pars destruens, ovvero là dove ravvisano pericolose incognite sia nell’un caso sia nell’altro. Se però pensano che ciò basti a fermare il fremito eutanasico che, legge o non legge, attraversa ora la società italiana, hanno perso in partenza entrambi. Vincerebbero invece se lavorassero a monte della pur importante questione legislativa e politica, assieme, riunendo il fronte pro-life.

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