A Parigi si è disputato su Dio, ma prima ancora sull'uomo - Il dirompente intervento di Fabrice Hadjadj contro l'ideologia eugenista dei padri fondatori dell'UNESCO. Peccato che di quanto si è detto al "Cortile dei gentili" si è saputo troppo poco. Grande iniziativa, ma male pubblicizzata di Sandro Magister - http://chiesa.espresso.repubblica.it/
ROMA, 1 aprile 2011 – Il Cortile dei gentili che si è tenuto nei giorni scorsi a Parigi ha palesato un clamoroso deficit sul piano della comunicazione.
Nessun ufficio stampa. Nessun testo messo a disposizione dei media, né prima, né durante, né dopo. Solo i presenti potevano ascoltare dal vivo le parole dei relatori, oppure coloro che si sintonizzavano su Radio Notre-Dame o su KTO TV, le uniche emittenti cattoliche che trasmettevano in diretta i lavori.
Persino il videomessaggio di Benedetto XVI della sera del 25 marzo è stato male pubblicizzato. Il testo era pronto da vari giorni., ma la sala stampa vaticana l'ha distribuito, in cinque lingue, solo la mattina successiva.
Se uno entra nel sito web del Vaticano – per altri versi ricchissimo – e va al pontificio consiglio della cultura che ha promosso e organizzato l'evento, sul Cortile dei gentili non trova niente di niente.
E neppure in www.parvisdesgentils.fr – il sito creato per l'occasione – si trova una sola riga delle cose dette. Ci sono solo uno scarno programma e pochi cenni sui relatori.
Per un Cortile nato per promuovere il dialogo su Dio tra tutti gli uomini di buona volontà, al di là di tutti i confini, questa parsimonia comunicativa è una evidente contraddizione.
Il pontificio consiglio della cultura e il suo presidente, il cardinale Gianfranco Ravasi, hanno agito efficacemente nella fase preparatoria dell'evento, per pubblicizzarlo.
Ma hanno latitato quando dall'annuncio si è passati alla realizzazione.
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Eppure, fin dalle prime battute, a Parigi non si sono dette affatto cose scontate.
Basta vedere cosa è accaduto nella sessione inaugurale, il 24 marzo, nella sede dell'UNESCO, il braccio culturale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Con una tribuna e una platea piene di alti funzionari e di diplomatici, c'era da aspettarsi una seduta retorica e sonnolenta.
Invece no. Ad esempio Pavel Fischer, ex ambasciatore della Repubblica Ceca in Francia, ha toccato le menti e i cuori dei presenti evocando la sua personale esperienza di credente schiacciato dalla macchina dell'ateismo scientifico, negli anni dell'impero comunista.
Va notato che la Repubblica Ceca è una delle regioni d'Europa dove l'atesimo è oggi fenomeno di massa. È lì che Benedetto XVI si è recato nel 2008 e ha maturato l'idea di dar vita a un Cortile dei gentili. È a Praga che il Cortile terrà uno dei suoi futuri incontri.
Ma l'intervento più dirompente è stato quello del filosofo francese Fabrice Hadjadj (nella foto), di famiglia ebrea, con trascorsi d'ultrasinistra, ora convertito alla fede cattolica.
Hadjadj ha criticato a fondo l'ideologia dell'UNESCO e dei suoi padri fondatori proprio nella sede dell'organizzazione, alla presenza dei suoi dirigenti.
E l'ha criticata proprio sulla visione dell'uomo. Sul contrasto fra il "trasumanar" del Paradiso di Dante – l'apertura dell'uomo al Cielo – e il "transumanesimo" del primo direttore generale dell'UNESCO, Julian Huxley, cioè la riduzione dell'uomo a oggetto tecnico, da migliorare con l'eugenetica.
Questi sono i suoi passaggi salienti dell’intervento di Fabrice Hadjadj
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BREVE RIFLESSIONE SUL "TRANSUMANO" di Fabrice Hadjadj
[...] Possiamo riprendere una parola inventata da Dante e dire che l'uomo è fatto per "trasumanar". Ma come "trasumanar"? E che cosa intendere per "transumanesimo"? Questa parola deve risuonare in modo speciale tra queste mura. Perché il sostantivo, "transumanesimo", è stato coniato nel 1957 dal biologo Julian Huxley, che fu il primo direttore generale dell'UNESCO. Ciò che è interessante è che questo primo direttore generale dell'UNESCO non intendeva affatto il "transumanesimo" alla maniera di Dante. Il suo pensiero va anzi radicalmente contro quello della "Divina Commedia". Ma ha il vantaggio di rendere manifesta la sola alternativa che si pone oggi nel mondo moderno.
Fratello di Aldous Huxley, l'autore del "Mondo nuovo [A Brave New World]", ci si potrebbe aspettare che Julian Huxley fosse vaccinato contro ogni tentazione eugenista. Invece è tutto il contrario. Non che Julian Huxley fosse incoerente, no, egli era di una coerenza estrema. Nel 1941, nel momento stesso in cui i nazisti gasavano i malati mentali, Julian Huxley scriveva con una certa audacia: "Una volta pienamente assicurate le conseguenze che implica la biologia evoluzionista, l'eugenetica diventerà inevitabilmente una parte integrante della religione del futuro, o del complesso di sentimenti, quale che sia, che potrà nel futuro prendere il posto della religione organizzata". Queste affermazioni sono state scritte nel 1941. Ma è nel 1947 che sono pubblicate in francese, quando lui è già direttore generale dell'UNESCO. Non una riga fu cambiata nell'occasione. Certo, Huxley era antinazista, socialdemocratico e soprattutto antirazzista (il che comunque non gli impediva di scrivere nel testo già citato: "Considero come assolutamente probabile che i negri autentici hanno una intelligenza media leggermente inferiore a quella dei bianchi o dei gialli"), ma Huxley pretendeva sostituire le religioni tradizionali con le biotecnologie.
Certo, non si tratta qui di fare il processo a Julian Huxley. Vorrei solo mettere in evidenza una ideologia così diffusa che non ha risparmiato questo luogo e che ha anche avuto come illustre rappresentante il suo primo direttore generale. Se, nel 1957, questo primo direttore generale dell'UNESCO inventa il sostantivo "transumanesimo", lo fa per non parlare più di "eugenismo", parola diventata difficile da utilizzare dopo l'eugenismo nazista. Tuttavia, è la stessa cosa che si vuole: la redenzione dell'uomo attraverso la tecnica. Cito il testo del 1957 che inventa il termine; esso pone questo "nuovo principio": "La qualità delle persone, e non la sola quantità, è ciò che dobbiamo ottenere: di conseguenza, una politica concertata è necessaria per impedire all'ondata crescente della popolazione di sommergere tutte le nostre speranze di un mondo migliore". Il "mondo migliore" di Julian non è così lontano dal "Nuovo mondo" di Aldous. Si tratta appunto di migliorare la "qualità" degli individui, come si migliora la "qualità" dei prodotti, e dunque, probabilmente, di eliminare o di impedire la nascita di tutto ciò che apparirebbe come anormale o deficiente.
Capite che è la definizione stessa dell'uomo che è in gioco nel nostro incontro. E dunque l'avvenire stesso dell'uomo. L'uomo cerca un aldilà. È per essenza transumano. Ma come si realizza il "trans" del transumano? Con la cultura e l'apertura al trascendente? O con la tecnica e la manipolazione genetica? [...] Certo, l'UNESCO è un'organizzazione mondiale votata alla protezione e allo sviluppo delle culture. Ma come ogni organizzazione attuale è anche divorata dalla logica tecnocratica, cioè dal desiderio di risolvere dei problemi invece che di riconoscere il mistero. Prova ne è l'ambiguità di cui testimonia il suo primo direttore generale.
Ebbene, ecco la mia semplice domanda: dobbiamo prendere come direttore Julian Huxley o dobbiamo prendere Dante? La grandezza dell'uomo è nella facilità tecnica di vivere? Oppure è in questa lacerazione, in questa apertura che è come un grido verso il Cielo, in questo appello verso ciò che ci trascende realmente? [...]
Questa è l'opportunità del Cortile dei gentili: prendere atto di questa situazione nuova. Non si tratta solo di "dialogo tra credenti e non credenti". Si tratta di porre la questione dell'uomo, di riconoscere che ciò che fa la sua specificità non è di essere un super-animale più potente degli altri, ma di essere questo ricettacolo che raccoglie ogni creatura con amore, per rivolgerla, con la parola, con la preghiera, con la poesia, verso la sua sorgente misteriosa.
L’intervento integrale in lingua francese
"L'homme passe infiniment l’homme"
Brève réflexion sur le transhumain. "Parvis des Gentils", Paris, UNESCO, le 24 mars 2011
par Fabrice Hadjadj
1. Pourquoi sommes-nous rassemblés ici ? Est-ce pour une cérémonie protocolaire, un peu guindée, où chacun aura rempli sa fonction mais où personne ne sera venu avec son cœur ? Est-ce pour ouvrir une nouvelle « fenêtre de dialogue », comme s’il s’agissait encore d’accroître nos moyens de communication ou de faire figure d’homme ouvert et tolérant ? Peut-être suis-je en train de rompre le ronronnement des convenances. Cependant, mon but n’est pas de provoquer, mais de poser une question simple. Mon but n’est pas de faire l’excentrique, mais d’être un homme qui s’adresse à d’autres hommes, par-delà les étiquettes et les ordres du jour. Or, être homme, c’est d’abord ceci : non pas seulement vivre, mais s’interroger sur ses raisons de vivre. Et cette interrogation surgit d’autant plus crûment que l’homme se situe à ce point de tension déchirante : il désire la joie dans la vérité et l’amitié, et cependant il sait qu’il va mourir. Oui, tous, ici, que nous soyons ministre ou appariteur, nous aspirons moralement à une béatitude ensemble. Et en même temps, tous, ici, que nous soyons ambassadeur ou agent de sécurité, nous sommes physiquement voués à la décrépitude. En sorte que sous la lumière des projecteurs, malgré la puissance des micros, beaucoup de ténèbres, beaucoup de silence nous environnent…
2. Ce questionnement est certainement le propre de l’homme depuis l’origine. Il est l’animal qui s’étonne d’exister. Sommes-nous des singes évolués, des primates parvenus au comble de la sophistication ? La chose est douteuse. Car le comble de la perfection pour le primate serait dans l’agilité suprême à se déplacer de branche ou dans l’aisance absolue pour se procurer des bananes. Elle n’est pas dans cette capacité d’être pantois, cette faculté qui vous laisse les yeux écarquillés, stupéfait, démuni devant le vertige d’être vivant. Elle n’est pas dans cette pente à la contemplation qui, par exemple, vous fait si bien vous émerveiller des rayures du tigre, que vous oubliez de vous protéger contre ses griffes.
Certains disent que l’émergence de l’homme, au cours de l’évolution, serait due à sa plus grande capacité d’adaptation au monde. En même temps, l’homme fait figure de grand inadapté : au lieu de vivre paisiblement selon l’instinct, il cherche un sens, il déchiffre le monde comme une forêt de symbole, il désire un au-delà, un au-delà non pas forcément comme un autre monde, mais comme une manière de pénétrer dans le secret de ce monde, de l’étreindre dans son mystère, de le boire à sa source.
Nous avons ainsi tous, ici, ministre ou agent de sécurité, le sentiment d’être des passagers ou des passants. Non seulement parce que nous sommes mortels ; mais aussi, parce que dans notre vie même, nous désirons un dépassement, pas nécessairement un dépassement vers un ailleurs, car ce ne serait que du tourisme, et le tourisme, en matière de spiritualité, est plus fréquent qu’on ne l’imagine. Nous désirons plutôt un dépassement dans l’intensité de notre manière d’être ici et maintenant, les uns avec les autres, cherchant à être enfin, les uns avec les autres, sans hypocrisie, dans une vérité et une amitié profonde (avouons-le, dès que l’on gratte un peu le vernis du décorum, nous sommes loin encore de cette vérité et de cette amitié, parce qu’elle supposerait que tous les masques tombent et que nous soyons spirituellement mis à nu).
Nietzsche le rappelle : « Ce qui est grand dans l’homme est de n’être pas un but mais un pont : ce qui peut être aimé dans l’homme est d’être un passage et une chute. » Avec une telle phrase, Nietzsche fait penser à Rousseau, selon qui l’homme se distingue des autres animaux non pas par sa perfection, mais par sa « perfectibilité », et il semble surtout reprendre une affirmation de Blaise Pascal : « Apprenez que l’homme passe infiniment l’homme. »
3. Ce questionnement de l’homme qui cherche un au-delà prend aujourd’hui, dans ce lieu, une signification particulière. Car nous vivons aujourd’hui la crise radicale de l’humanisme. Sans doute est-ce bien la crise majeure à laquelle nous devons faire face aujourd’hui : non pas tant une crise financière ou écologique ou religieuse, mais une crise anthropologique et même métaphysique. Nous nous trouvons à un point unique dans l’histoire, si bien les appels à un nouvel humanisme, comme à un retour aux Lumières, ne peuvent être que des signes d’aveuglement.
Quand on prétend fonder l’humanisme sur l’homme lui-même, il se passe la même chose que lorsqu’on prétend ériger un édifice en dehors de tout appui extérieur : il s’effondre. Pour que l’édifice s’élève, il a besoin d’un sol. Pour que l’homme s’élève, il a besoin d’un Ciel. Ce que j’appelle un Ciel, c’est une espérance. Les autres animaux s’engendrent par instinct. L’homme a besoin de raisons pour donner la vie. Sans ces raisons, sans une espérance, sans doute ne se suicidera-t-il pas, parce qu’il y a en lui cette inertie qui l’entraîne à continuer sa course comme un solide dans l’espace vide, mais du moins il ne donnera plus la vie, parce qu’il ne voit pas pourquoi faire des enfants, si c’est pour la pourriture. L’espérance n’est pas une cerise sur le gâteau, elle doit se déclarer à même notre chair, à même notre sexe. Les Juifs le savent bien : c’est dans leur sexe que se trouvent le signe de l’Alliance avec l’Eternel, parce que, si je ne crois pas en cette Alliance, pourquoi continuer l’aventure humaine, pourquoi s’obstiner à alimenter le charnier ? Voilà ce qui singularise l’homme entre tous les animaux : il doit s’élever vers le Ciel avant de pouvoir bien coucher avec sa femme.
C’est en cela – très simplement – que l’homme passe infiniment l’homme. Il cherche ses raisons de vivre au-delà de lui-même. Il aspire à une joie qu’il ne possède pas encore vraiment et dont il attend l’accomplissement dans quelque chose, disons-le, de « surnaturel ». Nous pouvons reprendre ici un verbe inventé par Dante, et dire que l’homme est fait pour « transhumaner ».
4. Mais comment « transhumaner » ? Que faut-il entendre par « transhumanisme » ? Ce mot doit résonner spécialement entre ces murs. Car le substantif, « transhumanisme », a été forgé en 1957 par le biologiste Julian Huxley, qui fut le premier directeur général de l’UNESCO. Ce qui est très intéressant, c’est que ce premier directeur général de l’Unesco n’entendait pas le « transhumanisme » à la manière de Dante. Sa pensée va même radicalement contre celle de la "Divine Comédie". Mais elle l’avantage de nous manifester la seule alternative qui se pose aujourd’hui dans le monde moderne.
Frère d’Aldous Huxley, l’auteur du "Meilleurs des mondes [A Brave New World]," on pourrait s’attendre à ce que Julian Huxley fût vacciné contre toute tentation eugéniste. Or, c’est tout le contraire. Ce n’est pas que Julian Huxley fût inconséquent, non, il était d’une extrême cohérence. En 1941, au moment même où les nazis gazaient les malades mentaux, Julian Huxley écrivait avec une certaine audace : « Une fois pleinement saisies les conséquences qu’implique la biologie évolutionnelle, l’eugénique deviendra inévitablement une partie intégrante de la religion de l’avenir, ou du complexe de sentiments, quel qu’il soit, qui pourra, dans l’avenir, prendre la place de la religion organisée. » Ces propos ont été écrits en 1941. Mais c’est en 1947, alors qu’il est déjà directeur général de l’UNESCO, qu’ils sont publiés en français. Pas une ligne n’a été changée à l’époque. Certes, Huxley était antinazi, social-démocrate et surtout antiraciste (ce qui d’ailleurs ne l’empêchait pas d’écrire dans le texte déjà cité : « Je considère comme absolument probable que les nègres authentiques ont une intelligence moyenne légèrement inférieure à celle des Blancs ou des Jaunes »), mais Huxley prétendait remplacer les religions traditionnelles par la religion des biotechnologies.
Bien sûr, il ne s’agit pas de faire ici le procès de Julian Huxley. Je voudrais seulement mettre en relief une idéologie si répandue qu’elle n’a pas épargné ce lieu, qu’elle a même eu pour illustre représentant son premier directeur général. Si, en 1957, ce premier directeur général de l’UNESCO invente le substantif « transhumanisme », c’est pour ne plus parler d’« eugénisme », mot rendu difficile à manipuler depuis l’eugénisme nazi. Cependant, c’est la même chose qui est visée : la rédemption de l’homme par la technique. Je cite le texte de 1957 qui invente le terme ; il pose ce « nouveau principe » : « La qualité des personnes, et non la seule quantité, est ce que nous devons viser : par conséquent, une politique concertée est nécessaire pour empêcher le flot croissant de la population de submerger tous nos espoirs d’un monde meilleur. » Le Better World de Julian n’est pas si éloigné du Brave New World d’Aldous. Il s’agit bien d’améliorer la « qualité » des individus, comme on améliore la « qualité » des produits, et donc, probablement, d’éliminer ou d’empêcher la naissance de tout ce qui apparaîtrait comme anormal ou déficient.
5. Vous voyez que c’est la définition même de l’homme qui est en jeu dans notre rencontre. Et donc l’avenir même de l’homme. L’homme cherche un au-delà. Il est par essence transhumain. Mais comment s’accomplit le trans du transhumain ? Est-ce par la culture et l’ouverture au Transcendant ? Ou est-ce par la technique et la manipulation génétique ? Est-ce à travers le mystère de la parole ? Ou est-ce par la volonté de puissance ? Certes, l’UNESCO est une organisation mondiale vouée à la protection et au développement des cultures. Mais aussi, comme toute organisation actuelle, elle est dévorée par la logistique technocratique, c’est-à-dire par le désir de résoudre des problèmes au lieu de reconnaître le mystère. Preuve en est l’ambiguïté dont témoigne son premier directeur général.
Eh bien, voilà ma question simple : devons-nous prendre pour directeur Julian Huxley ou bien devons-nous prendre Dante ? La grandeur de l’homme est-elle dans la facilité technique de vivre ? Ou bien est-elle dans cette déchirure, dans cette ouverture comme un cri vers le Ciel, dans cet appel vers ce qui nous transcende réellement ? Remarquez qu’un transhumanisme dont l’homme serait le producteur n’est pas un vrai transhumanisme : il ne tourne pas vers l’au-delà de l’humain, mais sans vers l’en-deçà, réduisant l’homme à un objet technique performant. Or, je le répète, la merveille de l’homme n’est pas dans sa performance, sans quoi il ne serait que prouesse mécanique et il faudrait mettre au rebut tous les faibles. Sa merveille est dans le mystère de sa présence étonnée. Elle n’est pas dans son efficience, mais dans l’épiphanie de son visage, quel qu’il soit, même si ce visage est difforme, mais si c’est le visage d’un crucifié.
6. Notre modernité en est donc arrivée à ce point extrême, parce que nous avons désormais la possibilité de réaliser concrètement le transhumanisme en termes techniques et de considérer les hommes que nous sommes comme des bricolages archaïques et obsolètes. Mais cette dernière extrémité est aussi une grâce. Elle nous permet, par opposition, de mieux accueillir ce qui fait notre humanité : non pas un développement horizontal de notre puissance, mais une élévation verticale de notre parole.
Telle est l’opportunité du Parvis des Gentils, qui est de prendre acte de cette situation nouvelle. Il ne s’agit pas seulement de « dialogue entre croyants et non-croyants ». Il s’agit de poser la question de l’homme, et de reconnaître que ce qui fait sa spécificité n’est pas d’être un super-animal plus puissant que les autres, mais d’être ce réceptacle qui reccueille toute créature avec amour, pour la tourner, par sa parole, par sa prière, par sa poésie, vers sa source mystérieuse.
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24.3.2011
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