mercoledì 6 ottobre 2010

Avvenire.it, 6 ottobre 2010 - A proposito del «Nobel alla provetta» - Chiesa e scienza le barzellette del luogo comunismo - Francesco Ognibene
Dovrebbe far sorridere lo spettacolo del Nobel 2010 per la medicina Robert Edwards mediaticamente dipinto come un eretico braccato da chi lo vorrebbe al rogo, il nuovo Galileo, forse il Maligno in persona (sì, qualche penna illustre a corto di idee s’è aggrappata persino a questa raffinata metafora). Purtroppo però non c’è alcun intento umoristico nelle tonanti titolazioni («L’ira del Vaticano») e negli accigliati editoriali («L’ultimo anatema») che hanno accompagnato sui giornali di ieri la notizia del premio all’85enne scienziato inglese per la sua scoperta datata 1978 sulla possibilità di applicare all’uomo le tecniche di riproduzione artificiale utilizzate negli allevamenti di animali.

Nell’immaginifico resoconto offerto agli incolpevoli lettori, fior di colleghi hanno proposto una volta ancora la grottesca contrapposizione della Chiesa alla scienza, la fantasiosa cronaca di una crociata a serramanico pronta a scattare come un riflesso condizionato appena si parla di provette e laboratori: la fede di qua, la ricerca di là. Questa stucchevole caricatura ogni volta si appesantisce di nuovi rutilanti dettagli, come i laboratori minacciati da un’implacabile Inquisizione, o il cardinale ignaro delle pene di una coppia desiderosa di un figlio. Ma i fantasmi clericali agitati davanti all’opinione pubblica, nel goffo tentativo di piegarla a un facile disprezzo, sono invenzioni di cartapesta: perché galleggiano su teoremi inconsistenti, sull’omissione deliberata di fatti e numeri, sulla rimozione di problemi e interrogativi epocali.

Esaltare i successi della provetta senza chiedersi quali siano stati i suoi costi umani e scientifici è segno di superficialità disarmante, se non di ignoranza. Ma come? Si parla dei 4 milioni di bambini nati grazie alla fecondazione extracorporea, e si tace sui tentativi falliti (infinitamente di più) per arrivare a quel risultato? La verità (taciuta) è che 32 anni dopo la nascita della prima "figlia della provetta" – l’ormai celebre Louise Brown – la tecnica della procreazione artificiale ha un imbarazzante tasso di fallimenti: bene che vada, arriva in porto una gravidanza ogni otto embrioni "prodotti". I dati dell’ultima relazione ministeriale al Parlamento sull’applicazione della legge 40 parlano di 10.212 nati nel 2008 contro 84.861 esseri umani creati artificialmente e mai giunti a realizzare il progetto di vita dirompente, irriproducibile e misterioso che li governa sin dal primo istante (e sfidiamo qualunque Nobel a dimostrarci il contrario). Una sproporzione agghiacciante, specie se si considera che parliamo di vite umane; un dato che dovrebbe consegnare la provetta quantomeno a un confronto laicamente aperto su uno dei bilanci più controversi e discutibili nella storia della scienza. Altro che scomuniche e, se ci è permesso, altro che Nobel.

Ma accettare questo confronto – ripetiamo: a rigor di ragione – equivarrebbe a rinunciare alla barzelletta della Chiesa ottusa e perfida e dello scienziato libero e coraggioso. Una storiella per palati buoni, che si replica come a cercare il conforto dei cari vecchi stereotipi quando non si vuol capire quello che accade. E quello che accade è questo, per chi l’avesse dimenticato: il dilagante business delle cliniche private che pretendono mano libera per poter prosperare; il mercato degli ovociti e delle maternità surrogate, sulla pelle delle donne di Paesi poveri; la spietata selezione dell’embrione con le caratteristiche migliori, il sesso prescelto, la dotazione genetica ineccepibile; il bombardamento ormonale di ogni ciclo di fecondazione, che espone le donne a conseguenze nefaste per la salute; la sterilità (talora motivata da cause psicologiche) ancora lì, assolutamente irrisolta, con tutto il suo carico di sofferenze; un numero enorme e crescente di embrioni "sospesi" nei freezer di mezzo mondo; l’adozione deprezzata a scelta di scarto. Un bilancio che dovrebbe indurre a giudizi più equilibrati rispetto a certo vieto e intramontabile luogocomunismo. Ma quando il fumo del pregiudizio obnubila la vista – proprio mentre si esalta la scienza – non c’è ragione che tenga.

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