Costi e carenze: il paziente rischia l’abbandono di Carlo Bellieni – Avvenire, 24 marzo 2011
Sospendere l’idratazione per gli stati vegetativi? No, certo. Ma all’estero talora si sospende di fatto perfino per le persone con demenza: sembra incredibile, ma quando il paziente ha problemi mentali gravi e irreversibili e non riesce più ad alimentarsi in certi casi è una prassi. Si potrebbe iniziare un’alimentazione manuale individualizzata; ma in un momento in cui il personale è poco e le cure sono care, si risponde che è improponibile: «Porta via molto tempo. Inoltre c’è un disincentivo finanziario per i luoghi di cura che usano nutrizione manuale» ( Journal of Parenteral and Enteral Nutrition, novembre 2009). E su The Lancet - Neurology (febbraio 2003) si legge che «negli Usa il trattamento dei pazienti con demenza avanzata dipende anche dai rimborsi: le case di cura ricevono più soldi per le alimentazioni artificiali che per i soggetti alimentati manualmente, anche se questa seconda via è più cara», e si finisce ad alimentare con il tubo pazienti che potrebbero essere nutriti per via orale ( New England Journal of Medicine, Marzo 2006).
Ci si potrebbe far aiutare da un sondino. Invece, sembra che non sia un’opzione accettabile l’uso della Peg – cioè l’alimentazione con un sondino che passa attraverso la parete addominale e arriva allo stomaco – e nemmeno suscita entusiasmo l’uso di sondini orali: per alcuni studi l’alimentazione col sondino non porta molti vantaggi, anche se gli studi mettono nello stesso computo sia quella col sondino orale che la Peg (vedi Palliative Care , gennaio 2011) che può avere rischi meccanici, e che altri studi riportano i vantaggi del sondino orale ( American Journal of Alzheimer Disease , gennaio 2004). Dunque l’alimentazione e l’idratazione vengono sospese e il paziente muore, con trauma documentato per il personale curante, che si vede protagonista di questa scelta. Ma è inaccettabile non trovare il tempo e il personale per alimentare correttamente i pazienti, e non avere neanche studi completi fatti per testare differenti metodi di alimentazione, e che si dichiari tutto inefficace con tanta solerzia: la persona con demenza può essere poco collaborante, può non accettare il sondino, ma non si può generalizzare. E perché non pensare all’alimentazione con una flebo, magari a parziale integrazione di quella orale, o a calmare il paziente con un ansiolitico?
Dunque per il disabile mentale che non si alimenta o beve non restano alternative. Ma non è l’unico punto che mostra una minore attenzione verso disabili mentali: anche gli antibiotici in certi ambiti vengono dati con minor frequenza ai pazienti con demenza quando contraggono infezioni come la polmonite: «Nel 23% dei pazienti, il trattamento con antibiotici fu evitato. Avevano demenza più grave, polmonite più grave, minor apporto di liquidi e cibo ed erano più disidratati » ( Annals of Internal Medicine, agosto
2002). Forse alla base di questa trascuratezza routinaria c’è la paura che questi sistemi possano «prolungare la sopravvivenza oltre la storia naturale della malattia». Ma che significano hanno queste parole? E quale sarebbe il problema nel far superare una patologia a chi ha un danno mentale?
Scarseggiano in certi ambiti studi e cure per sollevare le sorti dei pazienti con disabilità mentale: quelli che tanti filosofi non accettano come 'persone', perché mancano di autodeterminazione e di autocoscienza elevata. E la cui condizione viene in certi trattati quasi equiparata alla morte: «Dare antibiotici o nutrizione artificiale sembra normale negli Usa. Questo contrasta con quanto avviene in Olanda, Canada, Belgio, Australia, dove le linee-guida dicono che essa è sproporzionata nei pazienti morenti o in quelli con demenza », associando spesso le due parole: «Alimentazione e Idratazione non orale nella Demenza avanzata o nel Fine-Vita» (titolo delle linee-guida dell’Ospedale di Milwakee).
Ecco un motivo per pensare positivamente a una legge per non essere mai etichettati 'non-persone' e per ricevere invece le cure che vogliamo e che prevediamo utili. Già, perché sembra che esprimere le volontà anticipate serva solo per chi vuole garantirsi di morire in barba ai medici che li vorrebbero far vivere 'contro il loro interesse', cosa abbastanza improbabile e rara. Invece ci garantiscono nel caso opposto, cioè quando freddi protocolli andrebbero a sospenderci il cibo, considerando acqua e zucchero come una terapia, che non sono. L’influente filosofo Daniel Callahan scriveva nel 1983: «Il rifiuto della nutrizione può diventare, nel lungo termine, il solo modo efficace per assicurarsi che un largo numero di pazienti biologicamente resistenti venga effettivamente a morte. Considerato il crescente serbatoio di anziani resi disabili dall’età, cronicamente ammalati, fisicamente emarginati, la disidratazione potrebbe diventare a ragione il non trattamento di elezione ». Si sta davvero erodendo il diritto di cittadinanza, escludendo qualcuno dalle cure di base? Vediamo segnali preoccupanti, che ci chiamano a vigilare.
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