PERCHÉ LA LEGGE È NECESSARIA - Senza Dat, via libera all’eutanasia di ASSUNTINA MORRESI, Avvenire, 27 marzo 2011
Sono tanti i cattolici a chiedere l’approvazione della legge sulle Dat, le dichiarazioni anticipate di trattamento, in discussione alla Camera nei prossimi giorni. Lo dicono anche le ventitré firme, in rappresentanza di altrettante associazioni, raccolte dal Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione presieduto da Mimmo Delle Foglie, di cui si può leggere nelle pagine interne.
I firmatari ritengono che solo una legge possa impedire che l’eutanasia, introdotta surrettiziamente nel nostro paese con la sentenza Englaro, diventi un percorso accettabile e accettato. Eppure c’è ancora chi dichiara di temere il contrario, e cioè che sia proprio l’eventuale legge ad aprire una breccia all’eutanasia, perché dà valore giuridico alle volontà pregresse del cittadino: alle Dat, appunto.
Questa argomentazione poteva valere prima della morte di Eluana: ora è drammaticamente superata dagli eventi.
La sentenza della Cassazione su Eluana, infatti, ha stabilito che se una persona non può esprimere il proprio consenso ai trattamenti sanitari, è possibile ricostruirne la volontà ex post: sono sufficienti testimonianze di terzi, o anche la conoscenza dei suoi 'stili di vita'. Eluana è morta disidratata senza averlo mai chiesto perché alcuni giudici hanno desunto la sua volontà dalle testimonianze dei genitori e di qualche amico.
Niente consenso informato, niente colloqui con specialisti: è bastata qualche conversazione a tavola con i suoi. Dopo la sua morte, migliaia di cosiddetti 'biotestamenti' sono stati depositati in vario modo, presso comuni e notai, o registrati in Internet. Non si tratta quasi mai di consensi informati sottoscritti davanti a un medico, ma di espressioni di volontà le più varie, in genere a evidente carattere eutanasico. Non sono frutto di spontanee iniziative individuali: sono stati sollecitati, e spesso raccolti, con un preciso progetto politico, cioè per farli valere davanti a un tribunale, in particolare se la legge sulle Dat non arrivasse in porto.
Cosa accadrebbe, in questo caso? Un’anarchia totale, della quale i primi a fare le spese – malati a parte – sarebbero i medici: in mancanza di norme precise, sarebbero sempre esposti alle eventuali contestazioni di familiari o di colleghi. In caso di disaccordo, si potrebbe solo ricorrere ai tribunali, ciascuno dei quali deciderebbe in autonomia, ed inevitabilmente qualcuno seguirebbe la giurisprudenza segnata dal caso Englaro. Le indicazioni di tipo eutanasico (come la sospensione di acqua e cibo) potrebbero essere applicate senza conseguenze. Nessuna azione disciplinare, infatti, è stata intrapresa dagli ordini professionali nei confronti dei medici che hanno portato alla morte Eluana. Ricordiamo inoltre che non solo le azioni del governo (come l’atto di indirizzo o i rapporti dei Nas e degli ispettori ministeriali) non hanno ottenuto alcun risultato, ma anche i tanti esposti arrivati a Udine, o la denuncia per omicidio volontario nei confronti di chi ha eseguito il protocollo di morte.
Dopo un po’ si chiederebbe una legge per fare ordine, ma a quel punto avremmo solo la regolamentazione di prassi consolidate, com’è avvenuto in altri paesi, e tornare indietro non sarebbe più possibile. Approvare le Dat, adesso, serve per evitare tutto questo.
Chi invece pensa che fare la legge sia inutile, perché «i giudici la smonteranno», dovrebbe allora chiedere una pesante riforma del sistema giudiziario, oppure, per assurdo, rassegnarsi a chiudere il parlamento, e affidarsi al governo dei tribunali. Noi invece crediamo nelle regole della democrazia, e che si debba legiferare nei luoghi deputati: ma sappiamo anche che una legge, oltre a farla, bisogna difenderla giorno per giorno, nell’applicazione quotidiana e attraverso battaglie culturali.
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