Legge sul "fine-vita", le posizioni in campo di Marco Respinti, 08-03-2011, http://labussolaquotidiana.it
Il 7 marzo ha preso avvio alla Camera dei deputati il dibattito sul disegno di legge (ddl) relativo al cosiddetto "fine-vita", cioè le "Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento" (Dat).
Il 1° marzo la Commissione Affari Sociali della Camera aveva dato mandato al relatore Domenico Di Virgilio di portare il provvedimento in aula con i voti favorevoli di Popolo della Libertà (Pdl), Lega Nord e Unione di Centro (Udc), contrati Partito Democratico (Pd) e Italia dei Valori (Idv). Alleanza per l’Italia (Api) si era astenuta e Futuro e Libertà (Fli) non era presente al voto.
Alla “camera bassa” il ddl sul “testamento biologico” approda dunque dopo oltre due anni dall’inizio dell’iter parlamentare, avviato il 9 febbraio 2009 con la morte, dopo l’interruzione di idratazione e di nutrizione assistita, di Eluana Englaro.
Nel marzo 2009 la proposta di legge, relatore il senatore Raffaele Calabrò, era stata approvata al Senato per poi rallentare però vistosamente il proprio cammino a Montecitorio.
Se passasse il vaglio della Camera, il testo dovrà peraltro tornare all’esame del Senato giacché il suo testo (Di Vigilio) è stato modificato rispetto a quello (Calabrò) a suo tempo approvato dalla “camera alta”.
Il voto al testo in discussione alla Camera è subito slittato ad aprile, forse anche per l’evidenziarsi di qualche differenza di posizioni dentro la maggioranza di governo che sostiene il ddl.
I PUNTI NODALI
Ricordando che comunque l’ordinamento giuridico italiano prevede e punisce i reati di suicidio assistito e di omicidio del consenziente, il ddl Di Virgilio evidenzia:
che alimentazione e idratazione non sono considerate terapie, come previsto nel ddl Calabrò, ma potranno essere sospese se dovessero risultare non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari o addirittura dovessero danneggiarlo.
che la legge non è rivolta solo ai pazienti in stato vegetativo, ma anche a chi si trova «nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze».
che sono valide solo le Dat espresse nelle forme previste dalla legge: cioè in forma scritta o dattiloscritta con la firma autografata del paziente. Vengono pertanto esclusi video o ricostruzioni postume.
che le Dat non sono vincolanti lasciando la decisione finale al medico: se infatti dalla sottoscrizione della Dat al momento della malattia fossero intervenuti progressi scientifici, il dottore non potrebbe utilizzarli. Non vi sarà del resto ufficio dedicato alla raccolta delle Dat.
che ai pazienti in stato vegetativo sarà garantita l’assistenza ospedaliera, residenziale o domiciliare, prevista nei livelli essenziali di assistenza.
che se un paziente non dovesse nominare un fiduciario incaricato di tenere i rapporti con il medico, i suoi compiti saranno adempiuti dai familiari nell’ordine previsto dal Codice Civile.
Il fronte del “sì” vede nel ddl un modo concreto per arginare le derive eutanasiche possibili e probabili nel Paese. in assenza di una chiara legislazione in materia.
Il fronte del “no”, composto di cattolici e di non-cattolici, si presenta invece eterogeneo, e comprende:
chi - in un ventaglio di posizioni che va dal principio dell’autoderminazione del paziente alla promozione positiva di una cultura favorevole all’eutanasia - avversa il ddl poiché vi riconosce l’intenzione antieutanasista dei fautori e la giudica negativamente;
chi avversa il ddl poiché non vi vede sufficientemente rispecchiate e garantite posizioni antieutanasistiche, ivi comprese le intenzioni di chi lo propone.
I “sì” desiderano dunque una legislazione positiva che regolamenti il fine-vita, mentre i “no” - per motivi speculari e opposti, quindi irriducibili in via di principio ma non al lato pratico - auspicano un “vuoto legislativo” che lasci invar iato lo status quo.
Dentro il fronte del “no”, infatti, chi sostiene posizioni di apertura o addirittura filoeutanasiste, ritiene che il “vuoto legislativo” possa garantire, nei contenziosi, soluzioni di fatto impossibili nel caso di approvazione della legge, mentre chi sostiene posizioni antieutanasiste ritiene in linea di principio inammissibile l’azione positiva del legislatore in questioni così delicate come il fine-vita e di fatto peggiore, sul tema, ogni intervento concreto rispetto alla vacanza di regole generali.
Il fronte cattolico e non cattolico contrario all’eutanasia in ogni sua forma è quindi unito da una ispirazione comune a difendere il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale ma diviso sui mezzi più idonei a raggiungere quello scopo, segnatamente il ddl in discussione alla Camera.
LA CHIESA ITALIANA
Intervistato da Andrea Tornielli su il Giornale del 27 febbraio, il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha affermato: «La legge che sta per essere discussa alla Camera non è una legge “cattolica”. Semplicemente rappresenta un modo concreto per governare la realtà e non lasciarla in balia di sentenze che possono a propria discrezione emettere un verdetto di vita o di morte. I malati terminali rischierebbero di essere preda di decisioni altrui». Secondo il capo dei vescovi italiani, «precisare che l’alimentazione e l’idratazione non sono delle terapie, ma funzioni vitali per tutti, sani e malati, corrisponde al buon senso dell’accudimento umano e pongono un limite invalicabile, superato il quale tutto è possibile».
I FRONTI CONTRAPPOSTI
A favore della legge è l’eurodeputato Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita (Mpv), poiché ritiene un errore ritenere l’ordinamento giuridico attuale un presidio contro l’eutanasia grazie alle norme del Codice penale. Intervenendo su Il Foglio del 25 febbraio e su Avvenire del 3 marzo Casini spiega che dopo la sentenza della Cassazione (Sez. I civile, n. 21748 del 16 ottobre 2007) le norme degli articoli 579 e 580 del Codice penale non affermano più che è vietata l’uccisione di una persona anche con il suo consenso; dunque che questa regola vale a eccezione del caso in cui la morte è causata mediante l’omessa cura della persona qualora essa si trovi in stato di incapacità di intendere e di volere e sia immaginabile una sua volontà di morire dedotta dal suo “stile di vita”, sebbene risalente a molti anni prima.
A chi sostiene l’irrilevanza di questa decisione della Cassazione in sede penale, Casini ricorda l’archiviazione, l’11 gennaio 2010, della denuncia presentata sul caso Eluana al giudice penale. E che anche Mario Riccio, il medico che ha fatto morire Piergiorgio Welby nel 2006, è stato prosciolto in sede penale.
È inoltre errato - aggiunge il presidente di Mpv - definire il ddl Di Virgilio “testamento biologico” (Tb) giacché l’espressione “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (Dat) è il frutto (giunto il 18 dicembre 2003) di una lunga battaglia all’interno del Comitato nazionale per la Bioetica combattuta per indicare uno strumento idoneo a continuare l’alleanza terapeutica tra medico e paziente, qualora il secondo cada in uno stato di incapacità. La differenza, spiega Casini, è profonda. L’essenza del Tb è la vincolatività della volontà del paziente, mentre l’essenza delle Dat è il suo contrario: l’orientamento manifestato dal paziente deve essere preso in considerazione senza che sia vincolante per il medico. Presupposto del Tb è cioè la disponibilità della vita; presupposto delle DAT la sua indisponibilità.
Contrario al ddl è l’argomento eutanasico sostenuto in modo esemplare da Stefano Rodotà, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali dal 1997al 2005e presidente del Gruppo di coordinamento dei Garanti per il diritto alla riservatezza dell’Unione Europa dal 1998 al 2002. Secondo Rodotà la vincolatività di ciò che ha scritto la persona capace di intendere e di volere anche quando diviene incapace è un modo di garantire l’uguaglianza tra le persone.
Altrettanto contrari, ma per ragioni diametralmente opposte, sono Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro che, in un articolo comparso su Il Foglio il 23 febbraio 20111 (causa prossima, del resto, dell’intervento di casini sul medesimo quotidiano), definiscono la legge un «clamoroso autogol, un classico esempio di eterogenesi dei fini. La vogliono i nemici dell’eutanasia e dell’abbandono terapeutico, ma approvandola faranno il gioco proprio della trasversale “compagnia della buona morte” cui si oppongono. Questo colossale paralogismo ha due radici fondamentali: un errore di ordine tecnico giuridico, e un difetto di dialogo interno al mondo cattolico stesso. Dopo la vicenda Englaro, con il suo contorno di decisioni della magistratura, molti sostengono che non vi sarebbero più dubbi: ci vuole una legge sul cosiddetto “fine vita”». Gnocchi e Palmaro affermano che «il nostro ordinamento continua ad avere un presidio molto solido contro l’eutanasia e l’abbandono terapeutico nelle norme del codice penale regolarmente in vigore, soprattutto gli articoli sull’omicidio del consenziente e sull’istigazione al suicidio. Alcuni giudici, per altro civili e non penali, hanno assunto provvedimenti che ignorano questo profilo. Ma allora era precisamente sul terreno giudiziario e dei poteri della magistratura che si doveva condurre la battaglia, contrastando le “sentenze creative” e censurando le forzature togate».
Del resto, proseguono, «Anche ammettendo che il testo sulle Dat in discussione non venga stravolto, esso comporta il riconoscimento solenne da parte della legge della efficacia e validità del testamento biologico. E contiene ulteriori “zone grigie” che andranno ben oltre il principio di autonomia del paziente. Se una legge proprio si voleva votare, ne bastava una fatta di un unico articolo, che vietasse la sospensione di alimentazione e idratazione ai soggetti incapaci».
favorevole alle cure.
Pure contrario al ddl, che giudica pasticciato, è Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio che il 4 marzo che ha ospitato anche un intervento solidale, anche se per motivi diversi, di Walter Veltroni.
I CATTOLICI PER IL “SÌ”
Avvenire, il quotidiano della CEI, si schiera a favore del ddl. In un editoriale pubblicato sulla prima pagina dell’edizione del 4 marzo, Antonio Gambino ricorda che quelli di Welby e della Englaro sono stati casi di “eutanasia passiva” che sono «ammessi nel nostro ordinamento». Ciò dimostra che «la legittimità dei comportamenti individuali al dunque la decidono i giudici e non i teorici del sistema» e di fatti «il punto più debole sul caso Englaro si sta quotidianamente colmando attraverso due vie, una giudiziaria, l’altra amministrativa». Dunque «è purtroppo facile pronosticare che di qui a poco avremo altre sentenze che legittimeranno “testamenti biologici” e conseguenti vicende di eutanasia passiva, forti del fatto che anche il punto debole della ricostruzione della volontà del paziente incosciente è sanato dalle dichiarazioni anticipate espresse all’amministratore di sostegno o nell’albo comunale». Del resto, afferma il quotidiano dei vescovi, «è altrettanto facile pensare che se ciò oggi non sia ancora avvenuto è proprio perché, essendo pendente una legge al riguardo, essa abbia agito da deterrente. Ma è evidente che se si decidesse di archiviare questa legge, il sistema giuridico italiano offrirebbe nel suo complesso gli elementi ricordati per consentire alla giurisprudenza di accogliere altri casi di richieste eutanasiche». Da ciò si comprende, afferma Avvenire, «perché i paladini dell’autodeterminazione, in gran parte giuristi e avvocati, abbiano colto nella proposta di legge pendente alla Camera un bel passo indietro rispetto a quanto già oggi può ottenersi nelle aule dei tribunali. E si capisce perché critichino la proposta di legge con tutta la forza possibile e puntino a farla arenare».
Lo scrittore e giornalista cattolico Antonio Socci, su Libero del 5 marzo, si è pure schierato a favore del ddl domandandone l’approvazione del testo così come esso è oggi, ovvero comprensivo del comma 6 dell’articolo 4 dove si afferma che in caso di urgenza e di pericolo di vita immediato la Dat non si applica. I soccorritori che prestano pronto intervento debbono infatti pensare a prestare cure immediate per rianimare il paziente, non a consultare il suo “testamento biologico” perdendo tempo prezioso che può addirittura essere fatale. Del resto, senza una legge in tale senso, afferma Socci, un paziente che venisse salvato restando però disabile potrebbe chiedere il risarcimento dei danni a chi gli ha evitato la morte portando pericolosamente i soccorritori a domandarsi se, in caso di necessità, non sia meglio lasciar morire il paziente invece che intervenire.
LE POSIZIONI DEI PARTITI
Il Pdl è favorevole al ddl.
Il Pd è contrario. Il suo segretario, Perluigi Bersani, definisce quella in discussione alla camera una «legge che non è matura». Dello stesso avviso è la componente cattolica dei Democratici, guidata da Giuseppe Fioroni, attestata sul principio “meglio nessuna legge” di quella proposta dal Pdl.
L’Udc ha già dichiarato il proprio sostegno, ma presenterà alcuni emendamenti “migliorativi” del testo. Il Sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, favorevole al ddl, non esclude che la maggioranza di governo potrebbe convergere su di essi.
Anche l’Api vincola il sostegno del ddl all’approvazione di alcuni correttivi.
L’Idv è risolutamente contraria e presenterà una mozione di minoranza nonché la pregiudiziale di costituzionalità. Quest’ultima è annunciata anche dai Radicali che, assieme all’Associazione Luca Coscioni e alla Lista Bonino-Pannella, intendono portare il dissenso in piazza.
Fli proverà la strada della presentazione di un emendamento unico che riscrive completamente il provvedimento, cercando d’intervenire nei punti nodali relativi alle terapie e al fatto che le Dat non sono vincolanti.
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