«Il sondino non è una terapia. Venite a vedere» - Rom Houben, il giovane belga risvegliato dallo stato vegetativo - «Idratazione e nutrizione non sono terapie Si dovrebbero vergognare quelli che sostengono il contrario». Per i parenti di persone in stato vegetativo occorre «garantire la dignità della vita» poiché «una delle peggiori torture è morire di sete» «Non usiamo chissà quali macchinari per alimentarli», spiega un genitore, «ma un mezzo che porta nel loro stomaco acqua e cibo» di Graziella Melina - parlano le famiglie – Avvenire, 3 marzo 2011
«Se non provi a vivere la nostra situazione ti esprimi solo per sentito dire». È secco e amareggiato il commento che i familiari delle persone in stato vegetativo ripetono con determinazione ogniqualvolta qualcuno parla a sproposito di questa condizione di grave disabilità, di cui ancora poco si conosce anche scientificamente. Eppure stavolta l’amarezza è mista a incredulità. Il disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), che il 7 marzo sarà discusso alla Camera, continua infatti a scatenare polemiche soprattutto per quanto riguarda l’articolo 3: l’idratazione e la nutrizione assistita, si legge, «non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento». L’opposizione invece ribatte: l’alimentazione assistita è assimilabile a una terapia, quindi si deve poter interrompere se si dichiara di volerlo fare.
«Idratazione e nutrizione sono essenziali per il corpo umano, sono basilari. Le terapie sono gli sciroppi, le pillole», spiega incredulo Rolando Ciacci, papà di Chiara, 34enne e in stato vegetativo dopo un incidente che subì a 22 anni. «Una persona nella condizione di mia figlia – aggiunge in un crescendo di amarezza – si nutre con il sondino nello stomaco. È lo stesso che viene messo anche a persone che non possono deglutire per un breve periodo o per sempre. Non è una terapia. Si dovrebbero vergognare quelli che sostengono il contrario. Chi non è toccato da queste vicende le tratta con una certa superficialità. Fate venire i politici da noi – continua a ripetere –, che vedano le persone come mia figlia. Molti vogliono drammatizzare la situazione rappresentandoli attaccati alle macchine.
Lei non ha nessuna macchina attaccata. È una cosa scandalosa voler fare apparire una cosa che non è».
«Noi siamo dei corpi che esprimono la sete e la fame.
Loro si esprimono con gli occhi», spiega poi Matilde Granero, mamma di Oscar Calì, oggi 21enne, da 15 anni in stato vegetativo, e presidente dell’associazione «Amici di Oscar». «Nutrizione e idratazione – precisa senza mezzi termini – sono un dovere per garantire il massimo della dignità della vita».
Claudio Taliento, vice presidente dell’associazione «Risveglio», oltre che membro del direttivo della Fnatc (Federazione nazionale associazioni trauma cranico) e del Seminario permanente sullo stato vegetativo istituito dal ministero della Salute, non transige: «Un punto focale non può essere messo in discussione: l’alimentazione e l’idratazione non sono terapia, ma un atto dovuto nei confronti di una persona non autosufficiente. Una delle peggiori torture di un uomo – puntualizza – è morire di sete. Il posizionamento della peg nella prima settimana è un atto che consente di salvare la vita di tantissime persone, lo si fa ancora quando non si ha la prognosi. Si punta a salvare la vita a persone diversamente destinate a morire.
Promulgare una legge in cui si accetta di morire anche di sete è incivile, atroce.
Eppure pur di arrivare a decidere l’autodeterminazione siamo disposti a morire di fame e di sete».
Idratazione e alimentazione «non c’è dubbio, sono un fatto naturale che non ha nulla di terapeutico – rimarca ancora Francesco Napolitano, presidente di «Risveglio» –, è una necessità di assistenza al malato e quindi va sicuramente garantita in ogni situazione. E comunque siamo stati i primi a proporre un’integrazione al ddl: un’unica eccezione è possibile laddove c’è una situazione clinica in cui il paziente non può assorbire neanche nutrizione e idratazione». «Io a mia figlia do da mangiare e da bere con un sondino naso gastrico, con una siringa, né più né meno – spiega Fausto Quaresmini, papà di Moira, 39 anni, da 11 in stato vegetativo –. Noi le mettiamo acqua nel sondino e quel sondino la porta all’interno dello stomaco. Non è una medicina. Non usiamo macchine per tenere in vita nostra figlia. Si tratta solo di darle da bere e da mangiare. Ci sono persone che pensano che le persone con la sindrome della veglia a relazionale stiano in vita solo perché mangiano e bevono – aggiunge poi –. Ma tutti mangiano e bevono per stare in vita! Anche i legislatori che sono chiamati a votare la legge dovrebbero informarsi. Non si tratta di persone che vivono attaccate ai macchinari. Che vengano a vedere, casa mia è aperta!».
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