giovedì 31 marzo 2011

«L’eutanasia sfascia le radici laiche della società» di Andrea Galli - Manfred Lütz, psichiatra tedesco, autorevole voce della Pontificia Accademia per la Vita, espone i motivi razionali che impediscono di considerare «disponibile» l’integrità della persona «Se per legge si indica ad anziani e disabili la via d’uscita a disgregarsi è il nostro senso di umanità» - Avvenire, 31 marzo 2011

Pensate che nella secolarizza­ta e multiconfessionale Ger­mania non c’è più spazio per la saggistica cattolica di suc­cesso? Manfred Lütz è la pro­va che così non è. I suoi ulti­mi due libri, scritti con humour e la capacità di parlare al grande pubbli­co – Dio, una piccola storia del più gran­de e Matti: curiamo quelli sbagliati, il nostro problema sono i normali – sono stati autentici casi editoriali. Psichia­tra, membro della Pontificia accade­mia per la vita e del Pontificio con­siglio per i laici, Lütz è anche tra i cu­ratori di YouCath , catechismo per i giovani che sarà pubblicato a breve in 13 lin­gue, con una premessa del Papa, in previsione della Gmg 2011. Con lui parliamo del vero te­ma che aleggia sul dibattito attorno al fine vita: l’eutanasia.

La Chiesa nella sua opposizione all’eutanasia viene accusata da alcuni di «biologismo», di abbracciare una difesa della vita nella sua pura materialità. Cosa ne pensa?

«Chi non si occupa da vicino del problema può pensare che sia così. Non è lo spirito, l’intelli­genza, non è la facoltà intellettiva dell’uomo a renderlo veramente tale? Quando sembrano ri­manere solo funzioni 'vegetative', non vuol di­re che è già avvenuta la morte dello spirito? Que­sta domanda apparentemente semplice ha a che fare non solo con le radici cristiane e occiden­tali della nostra idea di uomo, ma anche con le fondamenta delle nostre società laiche. Se noi definiamo l’uomo in base alle sue facoltà men­tali in atto, allora probabilmente il malato di Alzheimer in stato avanzato o colui che è affet­to da un grave handicap mentale non sarebbe­ro considerati più uomini, o comunque non sa­rebbero degni di protezione più di un abile scim­panzé, come sostiene non un tizio qualunque ma il famoso filosofo australiano Peter Singer. All’opposto, un altro filosofo, Robert Spaemann, sostiene che ogni uomo vivente è in quanto ta­le una persona, che pensi oppure no, che sia lu­cido o privo di coscienza, che sia in grado di aiu­tare gli altri o sia lui ad avere bisogno di aiuto. Per questo non ci sono nell’uomo funzioni 've­getative', nel senso delle piante. Tutto ciò che nell’uomo può ricordare la pianta o l’animale resta pur sempre umano. Il materialista è colui che considera l’uomo a partire dalla sua pro­duttività, mentre il cristianesimo ha insegnato che proprio la compassione nei confronti del più debole – ciò che non conoscevano i pagani – è l’atteggiamento che ha Dio nei confronti del­l’uomo. Il progresso scientifico tende sempre ad avanzare, ma questo non vale per il progres­so dell’umano. Per quest’ultimo dobbiamo sem­pre impegnarci. E se non lo facciamo rischiamo sempre di ricadere nella barbarie, mostrando ai deboli e ai malati una via di uscita che dovreb­bero loro stessi cortesemente scegliere affinché non dobbiamo farcene carico noi. Sarebbe il tramonto del senso di umanità, peggio del tra­monto dell’umanità stessa».


La società occidentale ha lottato per allungare l’aspettativa di vita della popolazione, siamo tutti ossessionati dalla salute, dalla possibilità di curarci per vivere più a lungo. E ora cresce la domanda di poter scegliere di morire, accorciando questa stessa vita. È contraddittorio?

«No. Per quella che è oggi la pervasiva e domi­nante religione della salute la morte è certa­mente il nemico numero uno, che si cerca di sconfiggere sudando in palestra e con un’asce­tica rinuncia all’alimentazione scorretta. Ma questo ha serie conseguenze sulla visione del­l’uomo in generale. Perché se l’uomo autentico è quello sano, allora il malato, soprattutto quel­lo per cui non c’è speranza di guarigione, sarà un uomo di seconda classe. Chieda a qualcuno a caso se è giusto che la società investa la stessa quantità di denaro per una persona che non può più guarire e per una che invece può tor­nare in salute. Riceverà risposte che contraddi­cono quel che è scritto nella Costituzione ita­liana. Chi vuole essere una persona di serie B ed essere un peso per i propri cari...? La 'società della salute' non ha misericordia».

Se l’eutanasia trovasse piena legalizzazione in Europa, cosa cambierebbe nel volto della società? C’è chi sostiene che in fondo il fenomeno riguarderebbe una parte minima della popolazione.

«Il governo olandese ha realizzato un’inchiesta sull’applicazione della legge sull’eutanasia da cui è emerso un dato agghiacciante: ogni anno 250 persone vengono uccise con un’iniezione – dopo la decisione dell’apposita commissione – nonostante siano in piena coscienza e non abbiano dato il proprio assenso. Ciò è contra­rio alla legge ed è venuto alla luce solamente per­ché le risposte ai quesiti erano protette dall’anonimato. La prova di come, una volta rotta la diga, non ci sia più nulla che tenga. Le case di riposo tedesche vicine al confine con l’Olanda registrano un crescente afflusso di anziani o­landesi. Le cure palliative in Olanda scontano un pesante ritardo a livello scientifico, perché c’è già una 'soluzione'... Se si introduce l’eutanasia nella legislazione cambia l’atmosfera in cui tutti vivono, quand’anche la suddetta legge non venisse mai applicata, perché ogni anziano o malato si sentirà in dovere di giustificare il per­ché sia ancora al mondo a pesare sugli altri. E ci si dovrebbe abituare a telefonate come quel­la che mi è stata riferita recentemente da una donna olandese: una sua cara amica l’ha chia­mata dicendole 'ah, tra l’altro, mio marito muore mercoledì prossimo e viene seppellito sabao, volevo solo informarti'. Bisogna farci l’abitudine? Non è fantascienza. Telefonate come questa avvengono, mentre lei fa questa intervi­sta, a poche centinaia di chilometri da dove si trova... 

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