Quando sentiamo parlare di dermatologia plastica pensiamo subito a un intervento chirurgico, a un’incisione, al lifting. “Ma plastica in medicina vuol dire plasmare, migliorare il corpo; in questo caso, la cute”, dice Antonino Di Pietro, Professore in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia, fondatore e Presidente dell’Isplad (International Society of Plastic-Regenerative and Oncologic Dermatology).
Certo, fino a poco tempo fa la possibilità di plasmare il corpo era legata unicamente al bisturi: ecco perché negli anni Sessanta è nata la “chirurgia plastica”. Le cose però sono cambiate nel 1999 quando un gruppo di dermatologi italiani, capeggiati da Di Pietro, ha inaugurato una nuova disciplina: la dermatologia plastica, che utilizza metodi alternativi per migliorare la pelle senza ricorrere alla chirurgia, senza incidere o tagliare. Sulle potenzialità e gli avanzamenti in questo campo si confronteranno a Roma da oggi al 6 marzo esperti di tutto il mondo nel 2° Meeting Internazionale dell’Isplad dal titolo “High Technology in Dermatology”. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Antonino Di Pietro.
Nella lotta all’invecchiamento cutaneo la vostra prospettiva è diversa da quella che punta agli aspetti puramente estetici e agli interventi invasivi sulla pelle?
È totalmente diversa. Noi non riteniamo importante riempire le rughe, ma piuttosto curare la pelle per farla restare giovane. L’approccio della dermatologia plastica ha come obiettivo quello di rigenerare i tessuti, senza riempire o trasformare un volto: siamo per una bellezza sana, autentica. Una pelle sana è più distesa, più elastica, più tonica e dà quindi quell’aspetto piacevole, come al ritorno da una bella vacanza. Non siamo per le facce rifatte, ma per la vitalità dei tessuti. E per questo mettiamo in atto tutte quelle terapie che possono contribuire alla rigenerazione tissutale.
Quali sono queste terapie?
Anzitutto quelle nutrizionali. Riteniamo importante l’alimentazione e anche gli integratori, che vanno molto rivalutati. Dare all’organismo vitamine, aminoacidi, enzimi, sali minerali contribuisce a mantenere vitali le cellule, a migliorarne il metabolismo e quindi a produrre più collagene, più elastina e di conseguenza ad avere una pelle più giovane. Tra le sostanze su cui puntiamo c’è il licopene, un derivato dai semi di pomodoro che appartiene al gruppo della vitamina A e migliora il ricambio cellulare. Ci sono i flavonoidi, derivati dai frutti di bosco, che migliorano la microcircolazione e quindi fanno arrivare più ossigeno alle cellule e frenano l’avanzata dei capillari. Ci sono poi tutte le altre vitamine: E, F, C.
Qual è allora il compito del dermatologo plastico?
È quello di capire quali sono i bisogni specifici della pelle e indicare al paziente la corretta alimentazione per frenare l’invecchiamento, consigliando gli integratori più adatti. C’è poi anche il supporto della dermocosmesi, che non è più solo uno strumento di bellezza, ma offre delle vere e proprie cure della pelle. Tra le più recenti applicazioni posso citare quelle che sfruttano i fosfolipidi, che ristrutturano le membrane cellulari riparandone i danni causati da vari agenti esterni (Sole, ultravioletti, ecc.). Importante è anche la glocosamina, precursore dell’acido ialuronico e del collagene: farla arrivare in profondità significa poter produrre nuovo acido ialuronico e nuovo collagene proprio, endogeno, senza apporti esterni. Si parla anche del delta-lattone: i lattoni sono sostanze vegetali (quelle tra l’altro che danno lo specifico odore a molti vegetali) importanti nel ricompattare le cellule superficiali, migliorando lo strato corneo superficiale della cute e quindi prevenendo la disidratazione.
Anche in dermatologia si può quindi parlare di “medicina personalizzata”?
È proprio uno dei temi che affronteremo nel congresso che inizia oggi. C’è ormai la possibilità di fare una diagnosi più precisa circa i fabbisogni della pelle. Ciò si ottiene sia sfruttando la genomica, cioè lo studio dei nostri geni che adesso si può eseguire semplicemente prelevando un po’ di mucosa orale con un batuffolo di cotone e cercando, con adeguata strumentazione, le predisposizioni della pelle a invecchiare precocemente. Una seconda promettente metodologia è la lipidomica, che parte dal prelievo di una goccia di sangue per studiare le parete dei globuli rossi e valutare eventuali alterazioni delle membrane cellulari; si può così capire se c’è una carenza di determinate sostanze, come ad esempio gli omega 3 o gli omega 6. Quindi il dermatologo plastico può abbinare alla sua esperienza tutta una serie di indagini diagnostiche molto accurate.
Sembra di capire che il vostro è un approccio più medico e meno estetico…
Sì. Noi ci differenziamo dalla chirurgia plastica, ma anche dalla medicina estetica. Consideriamo riduttivo e fuorviante parlare di estetica, anche perché riteniamo che il medico non debba pensare all’estetica, bensì alla salute. Se poi riesce anche a ottenere un buon risultato estetico, questo po’ essere solo una conseguenza, ma non l’obiettivo. Tante facce rovinate che si vedono in giro, piene di silicone e di metacrilati che non si riassorbono più, sono l’esito di una preoccupazione per l’estetica e non per la salute; si pensa solo a riempire quelle rughe senza considerare che quelle sostanze possono essere tossiche per l’organismo.
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