mercoledì 2 marzo 2011

Avvenire.it, 2 marzo 2011 - Sì a una seria legge sul fine vita - Indispensabile buon senso di Francesco Ognibene

È ormai noto che a confrontarsi attorno al disegno di legge sul fine vita che la pros­sima settimana affronterà la prova dell’aula di Montecitorio sono due posizioni. Schema­tizzando, c’è chi esige che venga rispettata la volontà individuale anche se questa, dettata nella forma del 'testamento biologico', di­spone che la propria vita possa essere forzo­samente abbreviata per mano di un medico.

Alternativa a questa posizione è quella di chi invece antepone a ogni altro principio la tu­tela della vita in qualunque condizione di sa­lute e di efficienza fisica, fino al suo esauri­mento naturale, accompagnata da tutte le for­me opportune di sostegno e di cura, ma sen­za mai oltrepassare il confine dell’accani­mento terapeutico. Di qua la libertà di scelta assoluta (l’autodeterminazione); di là il pri­mato della dignità della vita, che ispira la re­dazione (facoltativa) delle proprie 'dichiara­zioni anticipate di trattamento'. A questa se­conda visione è ispirato il ddl varato ieri dal­la Commissione affari sociali della Camera, che non a caso vieta tassativamente ogni forma di eutanasia anche travestita, per evitare che si possa ripetere un’altra tragedia come quella di Eluana.

Da qualche giorno, però, va ritagliandosi un suo spazio mediatico e politico una terza, sor­prendente posizione: quella di chi si schiera con determinazione a difesa della vita, ma u­sando paradossalmente gli stessi argomenti di quanti la vorrebbero sottoposta all’arbitrio individuale. Sostengono i fautori di questa opzione che la legge – nessuna legge – mai dovrebbe intromettersi in una materia deli­catissima che va lasciata al rapporto tra il pa­ziente (o i suoi familiari) e il medico curante. Sarebbe dunque sbagliato affidare le decisio­ni sulla fase conclusiva della vita alla regola­mentazione disposta dal Parlamento, anche se questa intende fermare ogni possibile ten­tazione eutanasica.

Ma contro quello che vie­ne addirittura definito "dispotismo della leg­ge" si finisce per scagliare proprio l’argomento principe di chi vuole l’esatto contrario del­l’intangibilità della vita, che i sostenitori di questa 'terza via' agitano come un vessillo: la libertà di decidere caso per caso, senza scoc­ciature Nell’Italia ferita dalle sentenze che hanno ro­vesciato princìpi cardine e una giurispru­denza consolidata, spianando la strada al pri­mo caso di eutanasia disposta dai tribunali, si pensa ancora che una legge possa creare ri­gidità inutili e pericolose nel rapporto tra il paziente e il medico.

Ma costoro, nel loro in­discutibile zelo, sono sicuri che non presidiare con norme inequivoche un terreno mala­mente arato da provvedimenti giudiziari da­gli esiti drammatici – e che dunque non han­no incontrato un’efficace resistenza nelle leg­gi già vigenti – sia una posizione responsabi­le? Possibile che non si rendano conto che sa­rebbe una leggerezza imperdonabile lasciare che a dettare di fatto o di diritto le regole sia chi pone la vita umana nel cesto dei beni ma­teriali affidabili a un testamento – accanto al­la casa, all’auto, ai risparmi in banca, alla bi­cicletta... –, povera cosa tra le altre? Agli inge­nui dell’ultima ora va forse rammentato il fio­rire incontrollato in decine di Comuni italia­ni di biotestamenti che abbandonano la vita alla mercé di volontà spinte fino a delineare forme di autentico suicidio assistito. Le rego­le arriveranno, eccome. Anzi, sono già ab­bozzate – o forzate – nella direzione opposta a quella che è urgente, invece, ribadire. E il Parlamento dovrebbe tacere e limitarsi a pren­dere nota di questo progressivo municipali­smo normative. eutanasico?

Dopo oltre due anni di serra­to confronto fuori e dentro le Camere su un progetto che e­ra sotto gli occhi di tutti, ac­corgersi all’improvviso che quella legge è un di più è stu­pefacente. La legge – una legge di buon senso – oggi è più che mai indispensabile.

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