DIETA MISTICA – Fonte di Mariapia Veladiano – La Repubblica, 28 GIUGNO
2012, http://www.dirittiglobali.it/
POLITICO, RELIGIOSO E PROFANO LE
MILLE ANIME DEL DIGIUNO
Paradossale nell’età e nelle
terre dell’opulenza il tempo speso a parlare di diete, a leggere libri di
diete, ad acquistare “cibi senza” (grassi, zuccheri, calorie comunque) che
costano più dei “cibi con”. A cercare la più “veloce”, a non temere dolori e
allucinazioni. Diete-digiuno che ci seducono, parlano a qualcosa di profondo e
insuperabile. Quanto tempo della nostra unica vita se ne va così?
In natura il digiuno non è una
scelta. Può essere strategico: il letargo, per non disperdere le energie alla
ricerca di cibo che d’inverno non c’è. Oppure necessario: si digiuna se non si
trova di che mangiare. Oppure ancora è sintomo: non si mangia quando si sta
male, nel corpo e nello spirito. E basta convivere con un animale da compagnia
e lo si sa per certo che non solo di noi umani questo si può dire. Anche se un
po’ bisogna intenderci sui termini.
Di certo tutti conosciamo
l’inappetenza da dolore: inflitto, subito, temuto, pena d’amore.
Solo per noi uomini il digiuno
può esser scelta. A volte strumento, drammatico, di protesta: dalle suffragette
che rifiutavano il cibo per affermare il diritto di voto, ai digiuni per i
diritti civili nei nostri anni ancora così segnati dall’ingiustizia.
Digiuno con valore politico e
culturale e, spesso, strettamente culturale, legato alla religione: nella forma
attenuata dell’astensione da alcuni cibi oppure in forme più radicali che hanno
attraversato anche la storia del cristianesimo portandosi appresso un sospetto
di patologia. Sì, perché il cibo è vita, benedizione,
salute, ospitalità, allegria
condivisa, dono di Dio, Dio stesso addirittura. Il profeta Ezechiele che mangia
il rotolo della Parola è sia realtà dell’uomo che assimila quel che Dio gli dà
sia, visto dalla parte di Dio, un consegnarsi senza trattenere nulla di sé.
Per questo gli ordini monastici e
la tradizione della chiesa sono sempre stati prudenti sul digiuno. Gli eccessi
erano sospettati di autocompiacimento, di un voler accampar meriti davanti a
Dio.
Oggi molte di quelle che chiamano
diete somigliano a un laico, ostinato digiunare.
Certo che la dieta non è un
digiuno, in senso stretto. O almeno non dovrebbe esserlo. È un mangiar corretto.
Come un mangiar corretto doveva essere quello di Adamo ed Eva. Tutto tranne il
frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Dieta di salute
spirituale, molto prudente. In realtà esercizio di fiducia in Dio: tutto bene è
stato fatto nella creazione, possiamo fidarci di un divieto dal senso oscuro?
La Bibbia è attraversata da cibi fatali. Se il frutto di Adamo ed Eva e il
piatto di lenticchie di Esaù sono stati infausti, i pani e i pesci del Vangelo
o la meravigliosa manna dell’Antico Testamento, che si trovava al mattino nella
misura giusta e non si poteva conservare per il giorno dopo, ci raccontano
invece la bontà del cibo, vero e metaforico. La libertà di saper vivere il
giorno che ci è dato nella fiducia di un pane che viene.
La dieta di oggi sembra il
contrario, un digiuno appunto che è un giocar d’anticipo per la paura del pane
che non verrà. Forse perché non è venuto e temo che non verrà. Ho paura e
allora lo rifiuto. Non verrà e allora non mi serve, angelo divento.
Certo che nel parlare di cibo
oggi si deve essere prudenti, perché anoressia e bulimia sono malattie vere,
che devastano il corpo e lo spirito, se stessi e gli altri.
Eppure, tutto intorno a questi
abissi della malattia, c’è un collettivo “giocare con il pane” che, ci è stato
detto fin da piccoli a tavola, non si fa, non si dovrebbe fare.
Ma quale pane? Il pane-cibo o il
pane-affetto? Se il primo affetto per tutti noi passa attraverso la cura del
corpo, e attraverso il cibo che lo fa vivere, quando questo manca allora il
rifiuto del cibo diventa insieme rifiuto del corpo e protesta, potere con cui
punire chi il cibo non ha dato. O non abbastanza, senza colpa, o non nel
momento giusto, per incapacità o impossibilità.
Forse qualcosa di quel che è
capitato alle “sante anoressiche”, secondo l’espressione di Rudolph Bell, può
raccontarci un pezzo di noi. Il digiuno da “preghiera del corpo”, come era
inteso dalla tradizione cristiana sia occidentale che orientale, diventa in
loro un mezzo per esercitare il “potere attraverso il corpo”.
Il controllo del corpo era una
delle pochissime forme di potere in mano anche alle donne in un tempo di guerre
sante e santi poteri maschili. E infatti sono soprattutto le donne a praticare
l’ascesi del cibo nella storia passata, e anche recente: da S. Caterina da
Siena (muore nel 1380) a Teresa Neumann (muore nel 1962, dopo aver vissuto per
35 anni di solo pane eucaristico). Una scelta che sfiora il sogno di
anticipare, nel corpo fatto sottile quasi come l’anima, la sua stessa
incorruttibilità.
Forse le donne lo conoscono per
natura il potere del corpo. Che possono esser mangiate lo sanno da sempre.
Esser cibo senza che sia una metafora. Lo sanno ben prima che il corpo lo
insegni con la maternità. Il trattenersi dal cibo le sottraeva a questa storia
scritta, sia nella realtà che nella metafora.
Anche oggi un sogno anoressico
accompagna consapevolmente tanti giovanissimi e inconsapevolmente un po’ tutti,
senza più guardare al genere. Le diete-digiuno che ammiccano dalle classifiche
dei libri, dai reparti light dei supermercati, dalle vetrine tutte taglie-mini
dei negozi, ci raccontano un desiderio ormai nostro.
Forse ancora c’entra il potere,
che non sappiamo ben più dove risieda, ma certo non in noi. E c’entra anche la
fiducia, che non coltiviamo più, per paura. E certamente il corpo. Assillo
presente oggi come nel medioevo. Una diversa, strumentale, malata, costruita e
bugiarda devozione del corpo ci obbliga ancora. Corpo esibito, giudicato,
rifatto, perfetto sennò rifiutato. Un’ossessione che ci rende giudicati e
infelici. E allora forse proprio il corpo che ci occupa, invade l’esistenza
fino all’ultimo interstizio, conquista il pensiero, ci impedisce la vita
sociale, sempre visto con gli occhi degli altri e soppesato, non nostro, non
alleato in quel che desideriamo, e noi a percepire ogni centimetro che deborda
dalla cintura, dai pantaloni che pure vogliamo mettere stretti come tutti,
proprio il corpo è il nemico. Un altro paradosso, e non solo del nostro oggi ma
della vita tutta che è corpo in noi, di certo. Quale che sia la nostra speranza
che ci porta oltre. Così il tempo della dieta in forma di digiuno diventa un
tempo del bisogno dei bisogni, quello dell’affetto in forma di cibo, sentito
potentemente e negato, per non sentirlo più un giorno. Fame d’amore, di esser
visti, amati, riconosciuti. Di potersi fidare e affidare a un futuro di pane
che c’è. La manna del credere. Ma se prevale la paura, ci resta allora il
potere sul corpo. Pieni del proprio essere vuoti, nemici a se stessi per
diventare forse finalmente amici, un giorno. Nella forma di una leggerezza
sognata. E così, angeli diventiamo. Come le sante mistiche anoressiche.
Leggerissimi da volare via.
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