Il Cnr distratto sulla cultura umanista, Tullio Gregory, 27 giugno 2012,
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Il Cnr ha pubblicato il
«Documento di visione strategica» per il prossimo decennio: documento
importante nelle sue scelte e raccomandazioni, redatto da una commissione -
nominata dal ministro Profumo - composta di 16 membri, dei quali due stranieri.
In larga maggioranza autorevoli esperti delle cosiddette scienze dure, con un
solo rappresentante delle scienze filologiche, storiche, filosofiche, Michel
Gras, studioso francese di primo piano nel campo della ricerca archeologica: di
questo «equilibrio imperfetto» il documento porta le conseguenze, come si
vedrà.
Poiché il presidente Nicolais,
presentando il Documento, ha auspicato che si apra un dibattito, cerchiamo qui
di avviarlo.
Tra le proposte molto positive e
innovative mi sembra da segnalare l'istituzione di Scuole internazionali di
dottorato presso i Dipartimenti e le aree di ricerca Cnr: si avrebbero
finalmente scuole con corsi regolari, di alta specializzazione, con laboratori
e biblioteche, cosa che avviene raramente nelle università dove i dottorandi
sono per lo più abbandonati a se stessi, al massimo affidati a un tutor, senza
corsi regolari.
Molto spazio è giustamente dato
alle tecnologie informatiche e al trasferimento tecnologico. Ma quando si passa
alla definizione delle aree tematiche (differentemente presentate nel Documento
e nella I appendice) ci si trova innanzi a un elenco piuttosto disordinato di
buone intenzioni, di saggi consigli, che prescindono del tutto dal bilancio del
Cnr (la spesa per le iniziative proposte non è mai quantificata) e soprattutto
sembrano ignorare le ricerche in corso presso i vari Istituti. Siamo di fronte
a programmi che potrebbero trovare forse spazio in una rinata Casa di Salomone,
di baconiana memoria.
Già qualche perplessità desta la
serpeggiante insofferenza per la ricerca di base, riconosciuta come
caratteristica del Cnr, insistendo piuttosto sul rapporto con il mondo
dell'impresa, che è come dire vincolare la ricerca a commesse esterne per un
immediato utile economico, mettendo in crisi quelle attività che garantiscono
il progresso del sapere, come già era posto in evidenza dal panel generale di
valutazione.
In questa prospettiva non
stupisce l'emarginazione delle discipline umanistiche: in tutto il Documento di
63 pagine, i cenni a queste discipline (accorpate nell'ambigua dizione «scienze
sociali e umane e patrimonio culturale») se fossero raccolti tutti insieme non
occuperebbero più di una pagina; delle stesse discipline si torna a parlare
nella I appendice, occupando due pagine su quindici complessive. Si aggiunga
che in tutto il Documento sono ignorate le ricerche storiche, filologiche,
filosofiche, la cui presenza nel Cnr e il cui valore sul piano internazionale
era stato messo in evidenza dal panel di valutazione dell'ente collocando al
vertice, su 107 istituti, proprio i due istituti che svolgono ricerche in
questo campo. Dato del tutto ignorato nel Documento che pur utilizza, per altri
settori, le valutazioni del panel.
Peraltro, quando definisce le
aree tematiche, il Documento propone per le scienze economiche, sociali e umane
e il patrimonio culturale (inserite nell'area intestata alla «sicurezza e
inclusione sociale») temi di una genericità significativa: «innovazioni sociali
creative», «lotta contro il crimine e il terrorismo», «libertà di accesso a
Internet», «sensori per stati di crisi», «coesione sociale», «pace», «legalità
e sicurezza», «la rappresentazione dei beni», «l'eredità storica», «le
strategie territoriali». Il tutto servito con affermazioni di assoluta ovvietà:
«il patrimonio culturale va valorizzato», «il patrimonio culturale immateriale
va incrementato».
Né maggiore chiarezza troviamo
nella I appendice, dedicata alle aree tematiche, ove - ancora una volta ignorando
settori di ricerca nei quali l'ente ha posizioni di prestigio - si indicano
alcune priorità: per il patrimonio culturale, «conoscenza approfondita dei
litorali», «turismo planetario, «miglioramento della rappresentazione e
dell'immagine dei beni culturali, in relazione soprattutto alla persona umana e
alla natura». Per le scienze sociali e umane le priorità sono: «cambiamenti
demografici», «coesione sociale e culturale, legalità e sicurezza»,
«competitività del sistema economico», «pace», «pensare il futuro della città».
Affermazioni tutte che si commentano da sole per la loro banalità.
Come spiegare questa
disattenzione del Documento per le discipline umanistiche senza riaprire un
inutile dibattito - del tutto privo di senso - sulle cosiddette due culture?
Semplicemente ricordando l'endemica indifferenza, a volte diffidenza, di larghi
settori del Cnr verso le discipline umanistiche (ammesse nell'ente cinquanta
anni orsono) che, come ho avuto altra volta occasione di ricordare, sono state
recentemente «compresse» dal nuovo CdA del Cnr in un unico Dipartimento, così
da mettere insieme l'archeologia micenea con il diritto privato europeo, la
psicologia con il restauro, la filologia classica con la sociologia
industriale. Va anche riconosciuto che la prospettiva del Documento non
differisce dalla politica del Miur e del Cipe (come si rileva anche dal Piano
nazionale della ricerca 2011-2013), espressione del più miope aziendalismo,
tutto volto al prodotto (tanto caro all'Anvur) vendibile sul mercato e
valutabile con criteri «quantitativi» (oggi ampiamente criticati da tutte le
grandi istituzioni scientifiche europee); di qui l'emarginazione della ricerca
di base, scientifica e umanistica, e più ancora di una cultura che crei valori,
non commerciabili ma essenziali per la crescita della società civile.
Dimenticavo: il Documento auspica l'avvento di apostoli specialisti di «analisi
bibliometriche» per «posizionare la ricerca del Cnr nell'ambito europeo ed
internazionale»; per i direttori scientifici di dipartimenti e istituti
richiede «esperienze gestionali e manageriali», come vuole l'Anvur per i professori
universitari, con i noti risultati.
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