lunedì 25 giugno 2012


L'evoluzione infinita, Uno dei temi scientifici più dibattuti è se gli esseri umani abbiano smesso di evolversi. Ecco le idee del grande antropologo che spiega perché l’ambiente urbano cambia la specie, DESMOND MORRIS, http://www.metaforum.it

La scoperta scientifica annunciata qualche settimana fa sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences – la specie umana è ancora in evoluzione – sorprende tanto quanto affermare che l’acqua è bagnata. Certo che ci siamo ancora evolvendo! Gli esseri umani, come ho già dichiarato, sono scimmie in posizione eretta, non angeli caduti. Siamo animali. Animali straordinari, ma pur sempre animali. Procreiamo e quindi ci evolviamo.

Il significato di fondo della riproduzione sessuale – cosa che, a differenza dei panda, sappiamo fare abbastanza bene – è insito nel fatto che essa consente a una specie di essere adattabile. Ogni generazione è il frutto dei successi riproduttivi dell’ultima generazione. E l’ultima generazione è generata sotto l’influenza dell’ambiente così come esso era durante il breve arco di tempo trascorso su questa Terra. Se quell’ambiente cambia, anche i successi procreativi cambieranno di conseguenza.

Non c’è niente di misterioso sulla morte: si tratta semplicemente di un meccanismo congenito dei nostri geni che ci consente di avere il tempo di riprodurci e di passare oltre. Abbiamo tutti geni che rendono la sostituzione delle nostre cellule sempre meno efficiente col passare degli anni, fino a quando diventiamo così deboli che cadiamo vittime di una malattia o di un’altra. Ogni specie ha questi geni, che operano a velocità diverse, in funzione della taglia dell’animale e di molti altri fattori. Un uomo vive più a lungo di un topo, ma i topi si moltiplicano più rapidamente degli uomini. E i microbi si riproducono più rapidamente di tutti e questa – come potrà confermarvi qualsiasi ricercatore medico – è una grossa seccatura, perché implica che riescano a evolversi così rapidamente da poter sviluppare tempestivamente l’immunità nei confronti dei nostri ritrovati terapeutici più recenti.

Di conseguenza, per comprendere in che modo gli esseri umani si stiano evolvendo, tutto ciò che dobbiamo fare oggi è osservare in che modo sta cambiando il nostro ambiente. Se quest’ultimo è immutato, la nostra evoluzione si interromperà. Se viceversa è sottoposto a qualche tipo di sconvolgimento, allora la nostra evoluzione accelererà. Naturalmente, essendo noi animali di grossa taglia, il nostro processo evolutivo è molto lento. Negli ultimi dodicimila anni abbiamo vissuto un unico grande cambiamento ambientale, come specie di primati: l’urbanizzazione. Fino al punto in cui scoprimmo l’agricoltura, avevamo sempre vissuto in piccole comunità tribali di cacciatori e raccoglitori. Una volta piantate le sementi e addomesticati gli animali, però, ci concedemmo l’opportunità di mettere insieme scorte di cibo. Ciò permise ai primi villaggi di diventare cittadine e poi alle nostre cittadine di diventare città piene di specialisti che facendo nuove scoperte straordinarie ci indirizzarono verso l’eccellenza tecnologica.

Accadde così che la primigenia scimmia nuda antropomorfa, che si era evoluta per vivere in piccoli gruppi, all’improvviso si trovò circondata da estranei, in popolazioni urbane sempre più ampie. E questo processo perdura ancor oggi a ritmo sostenuto. Questa è stata l’unica grande pressione esercitata dall’ambiente su noi uomini, intesi come specie. Chiunque scoprisse di essere incapace ad adattarsi a questo nuovo mondo affollato, pieno di trambusto, di stress sociale e di rumore, incontrerebbe difficoltà a metter su casa, famiglia e procreare. L’evoluzione per loro si interromperebbe e la specie andrebbe avanti. Esistono molteplici modi con i quali l’evoluzione può accomiatarsi da soggetti di questo tipo, per esempio facendo sì che si suicidino, provocando in loro la depressione, procurando loro qualche disturbo da stress o interferendo direttamente nell’atteggiamento che hanno nei confronti dell’atto dell’accoppiamento.

Se alcune tipologie di persone non si riproducono in questo nuovo mondo urbano, ciò a poco a poco cambia la nostra specie. La cosa avrebbe un impatto anche nel caso in cui questi esseri umani diventassero “riproduttori limitati”, permettendo alla nostra specie di diventare più efficiente, un nuovo tipo di Scimmia Antropomorfa Urbana.

Alcune correnti filosofiche e di pensiero hanno avuto un effetto negativo sul successo della procreazione. Per smettere di riprodursi non è necessario buttarsi giù da un alto edificio. Lo si può fare semplicemente prendendo la decisione di non riprodursi. Monaci, suore, preti cattolici, scapoli, nubili, gay e lesbiche hanno tutti probabilità di gran lunga inferiori di trasmette i propri geni e quindi di influenzare il futuro genetico della specie umana. Naturalmente, possono sempre influenzare il futuro culturale della nostra specie grazie ai loro insegnamenti o alla loro creatività. Ma il loro patrimonio genetico andrà in gran parte sprecato. Le loro uova ovuleranno, il loro sperma si formerà, ma vi saranno bassissime probabilità che si incontrino.

Un’altra categoria di persone per la quale vi sono minori probabilità di procreare può essere quella dei cosiddetti “intellettuali altruisti”. Si tratta di coloro che osservando che la specie umana con i suoi sette miliardi di esseri viventi oggi è già estremamente popolosa, avvertono l’esigenza – dato che questo trend non pare dar segno di voler decrescere in futuro – di limitare il numero della specie umana. Se dunque tali individui decidono di conseguenza che è meglio non mettere al mondo figli, o quanto meno di avere una famiglia molto contenuta, contribuiranno meno al futuro della specie di coloro che non si danno pensiero di queste cose e si riproducono in piena libertà.

Ad avere le migliori probabilità di influenzare il futuro della nostra specie dal punto di vista genetico sono dunque le grandi famiglie felici – quelle con genitori premurosi e tanti figli. Dico “felici” perché le famiglie infelici hanno invece maggiori probabilità di mettere al mondo figli che avranno problemi a riprodursi. Sono le famiglie felici quelle che meglio si sono adattate al nuovo mondo urbano. In qualche modo sono riuscite a lottare con successo con il loro nuovo ambiente affollato e non hanno capitolato, pur nello stress e sotto tensione. Tutto ciò lascerebbe intuire che la nostra specie oggi stia evolvendo in direzione di una condizione meno ansiosa, meno burrascosa, meno violenta. Essere in grado di godersi una vita famigliare felice nel bel mezzo delle difficoltà odierne significa essere adulti più tranquilli, più spontanei, più gioiosi, più pacifici e più ottimisti di quanto si fosse in passato.

Ma che dire delle atrocità che continuiamo a sentire ogni mattina dai notiziari? Siamo certi che la specie umana non sia costituita ancora da animali aggressivi e violenti, capaci di commettere azioni di incredibile ferocia? Sì, ma il fatto che la maggioranza delle persone viventi sul pianeta resti raccapricciata da queste azioni perpetrate da un’esigua minoranza, riflette chiaramente che come specie ci siamo evoluti. I notiziari non riferiscono mai quanti esseri umani si sono svegliati questa mattina e hanno vissuto una giornata tranquilla e pacifica, rispetto a coloro che sono stati travolti dal finimondo. E il finimondo fa notizia soltanto perché è così raro. Senza accorgersene, l’indole della nostra specie negli ultimi anni si è evoluta, ed è diventata leggermente più giovanile e allegra. Questa è la nostra migliore speranza per il futuro.

Ancora qualche parola, in conclusione, sulla sovrappopolazione. Mentre noi aumentiamo sempre più di numero, coloro che non tollerano la situazione si riprodurranno sempre meno e la nostra specie continuerà ad adattarsi alla vita nelle metropoli. Ai primordi della nostra evoluzione, sviluppammo una caratteristica precisa: sopravvivere collaborando. Tale capacità è connaturata ai nostri geni e può rafforzarsi geneticamente a mano a mano che passa il tempo.

Mentre ci moltiplichiamo e diventiamo sempre più numerosi, però, ci troviamo alle prese con il grande pericolo al quale ci espongono i nostri nemici invisibili, il pericolo maggiore per noi: i virus e i batteri che si riproducono velocemente. I microbi ostili migliorano le loro caratteristiche incessantemente e una delle situazioni nelle quali prosperano meglio in assoluto è “la contiguità dell’ospite”. In altre parole, quanto più ci ammassiamo a vivere nelle nostre megalopoli, tanto più si moltiplicano per i nostri nemici microbi le occasioni di colpire a livelli di epidemia. Se per esempio un virus mortale riuscisse a evolversi e da contagioso diventare infettivo al punto da poterlo prendere dalla persona che ci siede accanto, allora ci ritroveremmo alle prese con una nuova Morte Nera. E la nostra popolazione di sette miliardi di individui nel volgere di pochi anni potrebbe ridursi a un milione. In ogni caso, quel milione di persone – le più resistenti – alla fine inizierebbe di nuovo a riprodursi e nel giro di poche migliaia di anni torneremmo nuovamente a essere in tanti. Quanto ho esposto potrebbe sembrare un sistema basato sullo spreco. Decisamente staremmo molto meglio se fossimo come i topolini comuni: quando la loro popolazione diventa eccessiva, le femmine incinte riassorbono l’embrione. Se la sovrappopolazione colpisce invece le volpi, non sono i cacciatori a controllarne il numero, ma le volpi femmine, che smettono di entrare in calore fino a quando il numero della loro popolazione non torna nella norma. Per qualche motivo, la specie umana è priva di questi efficienti meccanismi di controllo della popolazione. Siamo una specie talmente nuova sulla Terra che non sembra che abbiamo ancora trovato il tempo di metterlo a punto. Forse un giorno, chissà…


(Traduzione di Anna Bissanti) © 2012, The Telegraph

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