L'evoluzione infinita, Uno
dei temi scientifici più dibattuti è se gli esseri umani abbiano smesso di
evolversi. Ecco le idee del grande antropologo che spiega perché l’ambiente
urbano cambia la specie, DESMOND MORRIS, http://www.metaforum.it
La
scoperta scientifica annunciata qualche settimana fa sulla rivista Proceedings
of the National Academy of Sciences – la specie umana è ancora in evoluzione –
sorprende tanto quanto affermare che l’acqua è bagnata. Certo che ci siamo
ancora evolvendo! Gli esseri umani, come ho già dichiarato, sono scimmie in
posizione eretta, non angeli caduti. Siamo animali. Animali straordinari, ma
pur sempre animali. Procreiamo e quindi ci evolviamo.
Il
significato di fondo della riproduzione sessuale – cosa che, a differenza dei
panda, sappiamo fare abbastanza bene – è insito nel fatto che essa consente a
una specie di essere adattabile. Ogni generazione è il frutto dei successi
riproduttivi dell’ultima generazione. E l’ultima generazione è generata sotto
l’influenza dell’ambiente così come esso era durante il breve arco di tempo
trascorso su questa Terra. Se quell’ambiente cambia, anche i successi
procreativi cambieranno di conseguenza.
Non
c’è niente di misterioso sulla morte: si tratta semplicemente di un meccanismo
congenito dei nostri geni che ci consente di avere il tempo di riprodurci e di
passare oltre. Abbiamo tutti geni che rendono la sostituzione delle nostre
cellule sempre meno efficiente col passare degli anni, fino a quando diventiamo
così deboli che cadiamo vittime di una malattia o di un’altra. Ogni specie ha
questi geni, che operano a velocità diverse, in funzione della taglia
dell’animale e di molti altri fattori. Un uomo vive più a lungo di un topo, ma
i topi si moltiplicano più rapidamente degli uomini. E i microbi si riproducono
più rapidamente di tutti e questa – come potrà confermarvi qualsiasi
ricercatore medico – è una grossa seccatura, perché implica che riescano a
evolversi così rapidamente da poter sviluppare tempestivamente l’immunità nei
confronti dei nostri ritrovati terapeutici più recenti.
Di
conseguenza, per comprendere in che modo gli esseri umani si stiano evolvendo,
tutto ciò che dobbiamo fare oggi è osservare in che modo sta cambiando il
nostro ambiente. Se quest’ultimo è immutato, la nostra evoluzione si
interromperà. Se viceversa è sottoposto a qualche tipo di sconvolgimento,
allora la nostra evoluzione accelererà. Naturalmente, essendo noi animali di
grossa taglia, il nostro processo evolutivo è molto lento. Negli ultimi
dodicimila anni abbiamo vissuto un unico grande cambiamento ambientale, come
specie di primati: l’urbanizzazione. Fino al punto in cui scoprimmo
l’agricoltura, avevamo sempre vissuto in piccole comunità tribali di cacciatori
e raccoglitori. Una volta piantate le sementi e addomesticati gli animali,
però, ci concedemmo l’opportunità di mettere insieme scorte di cibo. Ciò
permise ai primi villaggi di diventare cittadine e poi alle nostre cittadine di
diventare città piene di specialisti che facendo nuove scoperte straordinarie
ci indirizzarono verso l’eccellenza tecnologica.
Accadde
così che la primigenia scimmia nuda antropomorfa, che si era evoluta per vivere
in piccoli gruppi, all’improvviso si trovò circondata da estranei, in
popolazioni urbane sempre più ampie. E questo processo perdura ancor oggi a
ritmo sostenuto. Questa è stata l’unica grande pressione esercitata
dall’ambiente su noi uomini, intesi come specie. Chiunque scoprisse di essere
incapace ad adattarsi a questo nuovo mondo affollato, pieno di trambusto, di
stress sociale e di rumore, incontrerebbe difficoltà a metter su casa, famiglia
e procreare. L’evoluzione per loro si interromperebbe e la specie andrebbe
avanti. Esistono molteplici modi con i quali l’evoluzione può accomiatarsi da
soggetti di questo tipo, per esempio facendo sì che si suicidino, provocando in
loro la depressione, procurando loro qualche disturbo da stress o interferendo
direttamente nell’atteggiamento che hanno nei confronti dell’atto
dell’accoppiamento.
Se
alcune tipologie di persone non si riproducono in questo nuovo mondo urbano,
ciò a poco a poco cambia la nostra specie. La cosa avrebbe un impatto anche nel
caso in cui questi esseri umani diventassero “riproduttori limitati”,
permettendo alla nostra specie di diventare più efficiente, un nuovo tipo di
Scimmia Antropomorfa Urbana.
Alcune
correnti filosofiche e di pensiero hanno avuto un effetto negativo sul successo
della procreazione. Per smettere di riprodursi non è necessario buttarsi giù da
un alto edificio. Lo si può fare semplicemente prendendo la decisione di non
riprodursi. Monaci, suore, preti cattolici, scapoli, nubili, gay e lesbiche
hanno tutti probabilità di gran lunga inferiori di trasmette i propri geni e
quindi di influenzare il futuro genetico della specie umana. Naturalmente,
possono sempre influenzare il futuro culturale della nostra specie grazie ai
loro insegnamenti o alla loro creatività. Ma il loro patrimonio genetico andrà
in gran parte sprecato. Le loro uova ovuleranno, il loro sperma si formerà, ma
vi saranno bassissime probabilità che si incontrino.
Un’altra
categoria di persone per la quale vi sono minori probabilità di procreare può
essere quella dei cosiddetti “intellettuali altruisti”. Si tratta di coloro che
osservando che la specie umana con i suoi sette miliardi di esseri viventi oggi
è già estremamente popolosa, avvertono l’esigenza – dato che questo trend non
pare dar segno di voler decrescere in futuro – di limitare il numero della
specie umana. Se dunque tali individui decidono di conseguenza che è meglio non
mettere al mondo figli, o quanto meno di avere una famiglia molto contenuta,
contribuiranno meno al futuro della specie di coloro che non si danno pensiero
di queste cose e si riproducono in piena libertà.
Ad
avere le migliori probabilità di influenzare il futuro della nostra specie dal
punto di vista genetico sono dunque le grandi famiglie felici – quelle con
genitori premurosi e tanti figli. Dico “felici” perché le famiglie infelici
hanno invece maggiori probabilità di mettere al mondo figli che avranno
problemi a riprodursi. Sono le famiglie felici quelle che meglio si sono
adattate al nuovo mondo urbano. In qualche modo sono riuscite a lottare con
successo con il loro nuovo ambiente affollato e non hanno capitolato, pur nello
stress e sotto tensione. Tutto ciò lascerebbe intuire che la nostra specie oggi
stia evolvendo in direzione di una condizione meno ansiosa, meno burrascosa,
meno violenta. Essere in grado di godersi una vita famigliare felice nel bel
mezzo delle difficoltà odierne significa essere adulti più tranquilli, più
spontanei, più gioiosi, più pacifici e più ottimisti di quanto si fosse in
passato.
Ma
che dire delle atrocità che continuiamo a sentire ogni mattina dai notiziari?
Siamo certi che la specie umana non sia costituita ancora da animali aggressivi
e violenti, capaci di commettere azioni di incredibile ferocia? Sì, ma il fatto
che la maggioranza delle persone viventi sul pianeta resti raccapricciata da
queste azioni perpetrate da un’esigua minoranza, riflette chiaramente che come
specie ci siamo evoluti. I notiziari non riferiscono mai quanti esseri umani si
sono svegliati questa mattina e hanno vissuto una giornata tranquilla e
pacifica, rispetto a coloro che sono stati travolti dal finimondo. E il
finimondo fa notizia soltanto perché è così raro. Senza accorgersene, l’indole
della nostra specie negli ultimi anni si è evoluta, ed è diventata leggermente
più giovanile e allegra. Questa è la nostra migliore speranza per il futuro.
Ancora
qualche parola, in conclusione, sulla sovrappopolazione. Mentre noi aumentiamo
sempre più di numero, coloro che non tollerano la situazione si riprodurranno
sempre meno e la nostra specie continuerà ad adattarsi alla vita nelle
metropoli. Ai primordi della nostra evoluzione, sviluppammo una caratteristica
precisa: sopravvivere collaborando. Tale capacità è connaturata ai nostri geni
e può rafforzarsi geneticamente a mano a mano che passa il tempo.
Mentre
ci moltiplichiamo e diventiamo sempre più numerosi, però, ci troviamo alle
prese con il grande pericolo al quale ci espongono i nostri nemici invisibili,
il pericolo maggiore per noi: i virus e i batteri che si riproducono
velocemente. I microbi ostili migliorano le loro caratteristiche
incessantemente e una delle situazioni nelle quali prosperano meglio in
assoluto è “la contiguità dell’ospite”. In altre parole, quanto più ci
ammassiamo a vivere nelle nostre megalopoli, tanto più si moltiplicano per i
nostri nemici microbi le occasioni di colpire a livelli di epidemia. Se per
esempio un virus mortale riuscisse a evolversi e da contagioso diventare infettivo
al punto da poterlo prendere dalla persona che ci siede accanto, allora ci
ritroveremmo alle prese con una nuova Morte Nera. E la nostra popolazione di
sette miliardi di individui nel volgere di pochi anni potrebbe ridursi a un
milione. In ogni caso, quel milione di persone – le più resistenti – alla fine
inizierebbe di nuovo a riprodursi e nel giro di poche migliaia di anni
torneremmo nuovamente a essere in tanti. Quanto ho esposto potrebbe sembrare un
sistema basato sullo spreco. Decisamente staremmo molto meglio se fossimo come
i topolini comuni: quando la loro popolazione diventa eccessiva, le femmine
incinte riassorbono l’embrione. Se la sovrappopolazione colpisce invece le
volpi, non sono i cacciatori a controllarne il numero, ma le volpi femmine, che
smettono di entrare in calore fino a quando il numero della loro popolazione
non torna nella norma. Per qualche motivo, la specie umana è priva di questi
efficienti meccanismi di controllo della popolazione. Siamo una specie talmente
nuova sulla Terra che non sembra che abbiamo ancora trovato il tempo di
metterlo a punto. Forse un giorno, chissà…
(Traduzione
di Anna Bissanti) © 2012, The Telegraph
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