14 giugno 2012 - Caccia prenatale agli anomali - Per essere come si
deve di Carlo Bellieni, http://www.avvenire.it
Gli esami per fare l’identikit
genetico del feto umano aumentano di numero e di complessità anno dopo anno:
c’è una vera industria, non solo farmaceutica ma culturale, che li moltiplica.
Ora è il turno del test che dal sangue materno e dalla saliva del padre riesce
a sequenziale il Dna del bambino non nato. Finora si era arrivati a leggere il
Dna fetale dal sangue materno, ma limitatamente all’individuazione delle
trisomie (in pratica la sindrome Down). Il nuovo test invece promette di
leggere, pagina dopo pagina, tutto il Dna del feto; è stato messo a punto da un
gruppo di studio dell’Università di Washington e ha avuto una grande eco sulla
stampa; ci domandiamo quale impiego avrà nella pratica, dato che le stesse
malattie potrebbero benissimo essere identificate alla nascita e non esiste un
trattamento prenatale. Un proverbio inglese recita: "Per un uomo con un
martello, ogni cosa sembra un chiodo" e se certamente ogni novità
scientifica è in sé un successo, ce ne sono quelle che facilmente possono
venire abusate, perché leggere il Dna fetale può facilmente essere utilizzato
per fini eugenetici. Chi tratterrà dall’analizzare i segreti del Dna del
figlio, quando i prezzi diventeranno accessibili a tutti?
Non è un problema
"solo" di aborto allora, ma anche di privacy genetica di cui le
apposite authority dovrebbero occuparsi: con questi esami tutti oggi rischiano
di nascere col segreto del loro genoma svelato, con rischi psicologici e
sociali importantissimi. Questo, certo, se poi il Dna fetale ci piace e il feto
poi nasce, perché l’altro risvolto è che ormai la società e la famiglia decide
quale genoma "piace" ed elimina il bambino affetto o anche solo
caratterizzato da quel che non piace; e non è nemmeno detto che il genoma non
gradito sia solo quello delle malattie gravi (per le quali comunque dovrebbe
sempre valere il diritto alla vita di chi le ha): quanto ci vuole a entrare nel
panico anche per mutazioni minori, microdelezioni o trasposizioni cromosomiche
che non hanno impatto sulla salute, ma che semplicemente "creano
ansia" perché danno l’idea di qualcosa di non del tutto perfetto, in
questo clima culturale che associa l’idea del figlio, con tutti gli
accertamenti fatti in gravidanza, con quella di "perfezione"?
La storia ha radici profonde:
prima del sequenziamento del Dna fetale e prima ancora della ricerca delle
trisomie, nel sangue materno si era cercato discoprire il sesso del feto in
epoca precoce. Se qualcuno sa a cosa serve sapere il sesso del feto a 8
settimane se non ad abortirlo – quando non è del sesso gradito – nei tempi
permessi dalla legge, ce lo dica. Con buona pace poi delle femministe che ben
sanno rispondere a questa domanda, e che ben sanno quale è il sesso più
abortito in troppe parti del mondo. E la storia risale ancora a tentativi che
nuovi non sono più da tempo: l’amniocentesi, che ormai in Italia è
diffusissima, nonostante i suoi rischi; gli esami tipo triplo-test, che sono
solo capaci di dare un risultato probabilistico e niente affatto sicuro, eppure
sono a loro volta diffusissimi. Il problema è che tutte queste indagini
preventive sembrano diventate routine, quasi un obbligo sociale. Tanti esami e
tante combinazioni di test tutti mirati a ricercare il feto con anomalie
genetiche. Tanta ricerca e tanto denaro destinato all’unico fine di scoprire se
il feto è come si deve, e come si deve volere.
E diventa sempre più chiaro che
tutto questo occhiuto indagare non è al servizio di una curiosità da genitori
affettuosi.
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