ABORTO/ La "194" e quei limiti vecchi di 35 anni, Alessandra
Osti, giovedì 14 giugno 2012, http://www.ilsussidiario.net/
Il 20 giugno 2012 si svolgerà
presso la Corte costituzionale l’udienza in camera di consiglio in cui dovrà
essere decisa la questione di legittimità costituzionale sollevata
dall’ordinanza (n. 60 del 3/1/2012) del Giudice tutelare presso il tribunale di
Spoleto con la quale si chiede alla Consulta di valutare la conformità al
dettato costituzionale dell’art. 4 della l. 194/1978. In particolare, secondo
il giudice umbro la legge in materia di aborto, e in special modo la norma che
prevede che nei primi 90 giorni la donna possa scegliere di interrompere la
gravidanza qualora esistano circostanze per le quali la prosecuzione della
gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la
sua salute fisica o psichica, si paleserebbe incostituzionale alla luce della
recente pronuncia della Corte di giustizia europea (C-34/10) che ha provveduto
a dare una ampia definizione di embrione riconoscendogli, sin dal momento della
fecondazione, una dignità tale da rendere soccombente qualsiasi interesse economico
con essa contrastante.
In primo luogo, per una migliore
comprensione del caso, va subito messo in chiaro come l’elemento di fatto
spesso sottolineato dalla stampa, e cioè che si abbia a che fare con la
gravidanza di una minorenne, non abbia alcun rilievo sulla questione di
costituzionalità prospettata dal giudice, ma costituisca semmai un mero
elemento “procedurale” in quanto solo nel caso di minori può essere necessario
l’intervento di una autorità giurisdizionale (il giudice tutelare) – soggetto
abilitato a promuovere una questione di legittimità costituzionale – che, tenendo conto della volontà della donna,
deve pronunciarsi autorizzando o meno la minore a decidere autonomamente circa
l’interruzione di gravidanza.
Un secondo e non meno importante
elemento su cui riflettere riguarda il fatto che al 20 giugno, data in cui è
prevista l’udienza avanti la Corte, la gravidanza in questione potrebbe essere
giunta oltre la trentesima settimana, ben oltre cioè i 90 giorni previsti per
la interruzione volontaria di gravidanza. Tale gravidanza potrebbe però, come
già accaduto in altre occasioni (cfr. ord. 65/1991), essere stata interrotta
grazie all’assenso dei genitori ottenuto dopo averli informati dell’accaduto.
In entrambi i casi, la Corte potrebbe disporre la restituzione degli atti al
giudice perché valuti la rilevanza che
tali fatti (il superamento del termine entro cui è concesso abortire ai sensi
dell’art. 4 l. 194 o l’avvenuto aborto) esplicano in relazione al rapporto
processuale sospeso, esimendosi così dal decidere nel merito. E’ questa, a mio
avviso, la prospettiva più probabile di conclusione della vicenda.
Quand’anche la Corte, in maniera
coraggiosa e, per questo, auspicabile, decidesse di pronunciarsi, un esito
favorevole all’accoglimento dell’istanza di incostituzionalità sarebbe
difficilmente verificabile. E ciò perché la sentenza della Corte di Giustizia
richiamata a conforto delle censure proposte dal giudice del Tribunale di
Spoleto contiene una definizione di embrione finalizzata alla sola
interpretazione di un articolo (art. 6) di una direttiva in materia di brevetti
e non una definizione generale che esonderebbe gli ambiti di competenza
dell’Unione europea.
La stessa Corte europea ha
ribadito, infatti, più volte tale posizione, anche per non porsi in diretto
scontro con la Corte europea dei diritti dell’uomo che, invece, si è sempre
rifiutata di entrare nel merito della questione e dire se all’embrione o al
feto spettasse la protezione di cui all’articolo 2 della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo concernente il diritto alla vita. Inoltre, nel caso europeo
richiamato dal giudice che ha rimesso il caso alla Consulta, la difesa della
dignità della vita nella sua fase embrionale non è in competizione con altri
diritti (quali il diritto alla vita o alla salute della madre), ma con la
possibilità di trarre profitto attraverso l’utilizzazione e distruzione di
quella forma di vita primordiale che è l’embrione, competizione impari che non
può che vedere il prevalere della dignità sul profitto economico.
Certo è che la “194” dopo
trentacinque anni inizia a mostrare tutti i suoi limiti. Forse, prendendo
spunto dall’Europa, bisognerebbe riformulare domande ormai sopite nel dibattito
pubblico e tornare a ragionare sui valori che sono alla base del nostro stesso
ordinamento, anche considerata l’altissima percentuale di medici obiettori di
coscienza, segno inequivocabile di una inevasa domanda sulla vita, sul suo
inizio e, in ultimo, sul suo significato.
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