Londra verso il sì alle nozze gay La Chiesa anglicana insorge – di Andrea
Malaguti, La Stampa, 13 giugno 2012, http://www.dirittiglobali.it/
L’arcivescovo di Canterbury:
potremmo non celebrare più nel nome dello Stato
C’è aria di scisma. Sono passati
cinque secoli ma la storia si ripete. Adattandosi in parte alle esigenze della
modernità. E stavolta è la Chiesa Anglicana che minaccia la divisione. Non più
da Roma ma dalla sua Londra, non più dal Papa ma da David Cameron, conservatore
che all’improvviso ha deciso di non conservare. Al centro dello scontro il tema
non è cambiato: il matrimonio. Per garantire il proprio (il secondo) con Anna
Bolena, Enrico VIII firmò nel 1534 l’Atto di Supremazia - «Il Re è l’Unico Capo
della Chiesa d’Inghilterra» -, chiuse e saccheggiò i monasteri e calpestò il
titolo di «Defensor Fidei» riconosciutogli da Clemente VII per il suo scontro
con Lutero (ma un conto, si sa, sono le battaglie di principio, un altro quelle
personali). Per consentire quello tra persone dello stesso sesso il governo
Tory si è affidato a una consultazione popolare che chiuderà giovedì e sarà
discussa alla House of Commons venerdì. Siete favorevoli ai «gay marriages»? Un
plebiscito: 550 mila sudditi di Elisabetta hanno dato il proprio assenso a
questa nuova rivoluzione. Piccola, inevitabile e già nei fatti per la
collettività, spaventosa e inaccettabile per le alte gerarchie ecclesiastiche.
«Potremmo vederci costretti a non celebrare più matrimoni nel nome dello Stato»
ha fatto sapere l’Arcivescovo di Canterbury. Boom.
Theresa May, severo ministro
dell’Interno, ha sottolineato che la scelta del governo non obbligherebbe nessuna
chiesa a celebrare matrimoni contro la propria volontà. «Semplicemente
ristabilirebbe un piano di uguaglianza». Le spiegazioni non sono servite.
Il comprensivo Reverendo Tim
Stevens, Vescovo di Leicester, si è incaricato di esporre le posizioni della
Chiesa Anglicana. «In un momento in cui i matrimoni sono in crisi e stiamo
cercando di mantenere la tradizione, una scelta di questo genere sarebbe
deleteria - ha detto -. Si altererebbe la natura intrinseca del matrimonio come
unione tra uomo e donna. così come sancita dalle organizzazioni umane nel corso
della storia e dai nostri canoni». Può sembrare la visione bizzarra di chi
considera i matrimoni gay non un autentico atto d’amore ma solo il tentativo
sgangherato di due uomini o di due donne di movimentare il presunto grigiore
delle loro frequentazioni. In verità sotto c’è un mondo fatto di fede, potere e
fragili equilibri.
Oggi le differenze tra un’unione
civile e un matrimonio si riducono a poco. Su pensioni, eredità e beni
condivisi gli obblighi e i diritti sono identici. Ma i matrimoni si sanciscono
con un sì, le unioni civili con una firma. Soprattutto i matrimoni si celebrano
in un luogo di culto, con tutto ciò che la sacralità comporta. Se non è più il
sacerdote a essere titolare delle regole che consentono l’unione eterna, allora
il suo ruolo è inutile. «È una lettura sbagliata. Non ci preoccupiamo di questo
ma solo del fatto che maschio e femmina sono diversi. Il governo confonde
uguaglianza con omologazione. Per di più una Corte europea potrebbe
costringerci a celebrare contro volontà», chiosa Stevens. Il governo smentisce:
«Il rischio non esiste».
Ma il punto resta controverso.
Gli attivisti per i diritti umani attaccano: «La Chiesa racconta che questo è
il più grave sconvolgimento nei rapporti con lo Stato dal saccheggio dei
monasteri. La verità è che sono maestri nel melodramma e nell’intimidazione»,
dice Ben Summerskill, responsabile degli attivisti di Stonewall, mentre per il
Consiglio Musulmano della Gran Bretagna «la proposta non aiuta e non è
necessaria». Ma non è chiaro «chi» non aiuti e «a chi» non serva. O forse è
chiarissimo.
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