IL CASO/ 1. Così la società della solitudine ha reso il suicidio un
"diritto" di Carlo Bellieni, martedì 12 giugno 2012, http://www.ilsussidiario.net
Sull’ultimo numero della rivista
Psychopatology, uno studio Usa mostra che il 10% degli studenti dei Campus
hanno ideazioni suicide; sulla rivista Lancet di questo mese uno studio
cino-inglese si dilunga sulla prevenzione del suicidio fatta tramite internet.
Strano mondo, il nostro: la scienza vuole prevenire il suicidio e sui giornali
c’è chi lo acclama come un diritto. Salvo poi trovarlo in casa propria, come
avviene in questi giorni in Italia, tra morti per disperazione di imprenditori,
disoccupati e studenti; e rendersi conto che il suicidio è terrore, dolore,
solitudine… tutto ma non un diritto: un diritto presuppone essere liberi, ma
dolore, sofferenza e solitudine ottundono e schiacciano ogni libertà e chi lo
compie ne è la vittima.
Fino a ieri il suicidio veniva
definito “atto nobile” o “scelta da rispettare”... e in questi giorni quei
proclami ora stonano, strappano il cuore, creano imbarazzo: quando si guardano
in faccia le persone morte e i loro familiari, certi “diritti” da vivere nella
solitudine e nella tanto venerata “autodeterminazione” diventano dei macigni.
I massmedia devono interrogarsi
su come sono stati trattati questi temi, risalendo ai tempi in cui parlavano di
diritto al suicidio come fosse un diritto tra i tanti, e arrivando a come sono
stati trattati in prima pagina sapendo che il suicidio per sue dinamiche
interne determina un effetto di emulazione. Al tema suicidio è stato riservato
poi pochissimo approfondimento vero, puntando certo l’indice sulla crisi
economica, ma pochissimo sulle dinamiche psicologiche della persona-vittima del
suicidio, e soprattutto su come prevenirlo. Perché ormai la parola d’ordine è:
“Lo vuoi fare? Fallo, basta che non disturbi e segua i criteri corretti”; e
quando ci si trova davanti a suicidi veri non si sa più cosa dire.
Ma guardiamole bene le persone
che in questi giorni entrano nella statistica dei suicidi: imprenditori,
disoccupati, sportivi, giovani. Certo, è da miopi non additare il problema
“crisi economica”, ma questo non cancella il problema “solitudine” o
“disperazione”. Ci potranno dire che questi suicidi non riscontrano il placet
dell’intellighenzia postmodernista, che il suicidio da liberalizzare è quello
che passa dalle maglie di un’apposita commissione ben assortita, paritaria e bipartisan…,
e che il camice bianco o l’apposita clinica è il posto giusto, mentre i binari
di una ferrovia non lo sono; ma davvero accettiamo che qualcuno in maniera
illuminata pensi di “saper bene” quello che agli altri conviene anche sul
crinale personale e delicato della morte?
E pensare che poi le stesse
persone affermano che nelle decisioni “autonome” nessuno deve interferire.
Paradosso? No: potere dell’epoca postmoderna, in cui la solitudine è il sommo
ideale. Ma attenti: si parla oggi di libera scelta o piuttosto di disperazione,
trattando di tanti di questi casi? E se è disperazione o sofferenza, quale
sarebbe allora la libera scelta di un suicida: quella che passa attraverso una
commissione di saggi illuminati?
Fatto sta che almeno in questi
giorni di diritto al suicidio non ne parla più nessuno; forse per opportunità,
forse in attesa di tempi migliori; o perché ora guardano in faccia cosa è il
darsi la morte e non lo auspicano più. Che questa sensazione non li abbandoni e
serva (anche a noi) ad essere compagni, piuttosto che ad aprire le porte alla
morte solitaria, fosse anche “medicalmente assistita”.
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