martedì 5 giugno 2012


3 giugno 2012 - Il velociraptor non è un pollo di Guido Barbujani, http://www.ilsole24ore.com

Confessiamolo, dopo Jurassic Park ce lo siamo chiesto tutti se davvero si possa ricreare un dinosauro. La risposta è no: trovare sangue di dinosauro nello stomaco di una zanzara imprigionata nell'ambra; estrarne il Dna; introdurlo e farlo riprodurre nell'uovo di un anfibio; queste operazioni hanno una loro logica (e perciò ne è stato tratto un libro), ma si scontrano con ostacoli tecnici insormontabili (e perciò ne è stato tratto un libro di fantascienza).
Nel 1994 Scott Woodward ha annunciato di aver recuperato Dna da un osso di dinosauro, ma aveva preso un granchio: si trattava di Dna umano, di qualcuno che aveva pasticciato con l'osso. Con l'estinzione dei dinosauri si sono persi per sempre anche i loro geni.
Discorso chiuso? Forse no. «Non dobbiamo partire da zero, scrive in Come costruire un dinosauro (Pearson, Milano, pagg. 198, € 16,00) Jack Horner, uno dei più celebri paleontologi americani. «Gli uccelli sono discendenti dei dinosauri. In effetti, essi sono dinosauri e la maggior parte del programma genetico delle caratteristiche dei dinosauri che vogliamo riportare indietro dovrebbe essere disponibile negli uccelli – per esempio, nel pollo».
C'è una nuova branca della biologia evoluzionistica: si chiama evo-devo, e confronta nelle diverse specie i meccanismi di sviluppo (development, in inglese) che trasformano una cellula-uovo fecondata in un embrione e poi in un individuo adulto. A questa disciplina si riferisce Horner, e in particolare a un fatto ben dimostrato: l'architettura generale di tutti i vertebrati è la stessa, e lo sviluppo di un embrione di pollo non è diverso, nelle sue linee generali, dallo sviluppo di un embrione umano. «Il Tyrannosaurus rex ha una colonna vertebrale, un cranio, costole, proprio come un'anguilla, un salmone o un topo».
Bella pensata, che però solleva qualche interrogativo. È proprio vero che gli uccelli sono dinosauri? È come chiedersi se sarebbe lo stesso dover scacciare dal terrazzo di casa un colombo o un velociraptor, fate un po' voi.
Ma allora, se è vero solo in parte, dove troveremo le informazioni che ci mancano per andare oltre, cioè per passare dall'uccello al dinosauro, senza conoscere il Dna di quest'ultimo? Qui Horner abbandona gli effetti speciali e propone un ragionamento più complesso. «Perché non potremmo prendere un embrione di pollo e dargli qualche spintarella biochimica in questa e quella direzione, fino a ottenere alla schiusa non più un pollo, ma un piccolo dinosauro con denti, zampe anteriori con artigli e la coda?». L'idea, insomma, è che le istruzioni per produrre denti, artigli e altri accessori dinosauriani non si siano perse nel corso dell'evoluzione, ma stiano ancora nascoste, dormienti, nel Dna degli uccelli. Bisogna risvegliarle e rimetterle in funzione.
Non è una proposta campata in aria. I cavalli attuali hanno un solo dito, ma i loro antenati fossili ne avevano tanti: Eohippus 5 di cui 4 poggiavano per terra, Epihippus 4, Mesohippus 3. In un suo famoso saggio del 1983 (lo si trova nel libro Quando i cavalli avevano le dita, Feltrinelli), il compianto Stephen Jay Gould di cui si è celebrato di recente il decimo anniversario della scomparsa (Gilberto Corbellini, Riavvolgendo il film della vita – Il Sole 24 Ore Domenica, 6 maggio) faceva notare come di tanto in tanto venga al mondo un puledro malformato con una o più dita supplementari. Vuol dire che i geni responsabili dello sviluppo delle dita nei cavalli fossili stanno ancora lì, nelle cellule dei cavalli odierni, e può capitare che si riattivino, per sbaglio. Horner vuole riattivare deliberatamente geni del genere nelle cellule degli uccelli. Lo chiama «creazione di un atavismo», e spiega che consisterebbe, in pratica, nel riportare indietro l'orologio evolutivo. Sarebbe un po' come intervenire su un embrione umano (speriamo che a nessuno salti in mente di farlo) per deviarne lo sviluppo in direzione del nostro antenato australopiteco.
Qui Horner fa un passo indietro per raccontare gli studi geologici di Alvarez padre e figlio, che negli anni Ottanta, a casa nostra, vicino a Gubbio, scoprono uno strato di iridio. È uno strato sottilissimo, ma si vedrà in seguito che è presente in tutto il mondo, al confine fra le rocce del Cretaceo e quelle del Terziario, 65 milioni di anni fa. L'iridio è scarso sulla Terra, ma comune negli asteroidi; negli strati più recenti, al di sopra dell'iridio, resti fossili di dinosauri non ci sono più. Si afferma così l'idea che i dinosauri si siano estinti per un drastico cambiamento climatico, provocato dall'impatto con la Terra di un asteroide. Horner passa poi a raccontare il ritrovamento di un fossile di tirannosauro e le complicatissime operazioni per estrarlo dalla roccia e poterlo così studiare. Comincia allora la parte più interessante del libro, si entra nel merito delle idee e dei problemi pratici della ricerca paleontologica, e sono idee affascinanti e problemi formidabili. Piccolo esempio: per portare via le ossa dal sito di scavo ci vuole l'elicottero, ma il femore è talmente grosso che l'elicottero non ce la fa, e allora bisogna segarlo in due.
L'operazione è gravida di conseguenze perché, una volta affacciatisi all'interno dell'osso, viene voglia di dargli un'occhiata più a fondo. E così si scoprono tracce di emoglobina, la molecola che, nel sangue, trasporta l'ossigeno ai tessuti. E poi si dimostra che quell'emoglobina apparteneva proprio al tirannosauro, e infine che assomiglia non a quella dei rettili, ma all'emoglobina degli uccelli. E non è finita: trattando le ossa in modo da decalcificarle si scoprono residui di vasi sanguigni, e intanto si continua a scavare e in Cina saltano fuori fossili di dinosauri piumati, a dimostrazione che le piume c'erano già prima della comparsa degli uccelli. Un po' alla volta il progetto di Horner si precisa: l'ala senza artigli del pollo è, in fondo, un'ala di dinosauro che ha perso gli artigli, la coda corta del pollo è una coda lunga che l'evoluzione ha accorciato. Se riusciamo a bloccare certi geni nel corso dello sviluppo di un embrione di pollo, quell'embrione rivelerà il dinosauro che racchiude in sé.
Si tranquillizzino le mamme: alla fine della lettura i loro industriosi ragazzi non potranno fabbricarsi un dinosauro nel garage di casa (Horner comunque ci garantisce che, se anche ci riuscissero e la belva fuggisse, non troverebbe modo di riprodursi; strano non noti come queste affermazioni somiglino, in maniera inquietante, a quelle con cui, in Jurassic Park, il simpatico e incosciente John Hammond esclude che i suoi dinosauri possano moltiplicarsi e far danni). Chi legge questo libro, in compenso, avrà modo di farsi un'idea molto precisa di come funziona la ricerca scientifica. Il suo limite non è quindi quello di non mantenere ciò che il titolo promette; è piuttosto il difetto di tante trasmissioni televisive. Il contenuto scientifico c'è, ma è disperso in un mare di aneddoti e storielle poco pertinenti: si va da Unabomber a Toro seduto, dalla caccia al bisonte alle tecniche di chirurgia cosmetica.
È come se l'autore dubitasse che la scienza sia davvero interessante: per raccontarla, sembra confessarci Horner, bisogna far finta di parlare d'altro. Chissà, forse ha ragione. Ma io non sono sicuro che, qualche milione di anni dopo i dinosauri, si siano estinti anche i lettori a cui piacerebbe semplicemente capire come lavorano i paleontologi, quante tracce di un passato lontanissimo siano rimaste nei fossili, e come per interpretarle si stiano prendendo a prestito metodi e idee dalla biologia molecolare e dall'evo-devo. Queste cose Horner le conosce e le sa raccontare; peccato non abbia avuto un po' più di fiducia nei suoi lettori.

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