3 giugno 2012 - Il velociraptor non è un pollo di Guido Barbujani, http://www.ilsole24ore.com
Confessiamolo, dopo Jurassic Park
ce lo siamo chiesto tutti se davvero si possa ricreare un dinosauro. La
risposta è no: trovare sangue di dinosauro nello stomaco di una zanzara
imprigionata nell'ambra; estrarne il Dna; introdurlo e farlo riprodurre
nell'uovo di un anfibio; queste operazioni hanno una loro logica (e perciò ne è
stato tratto un libro), ma si scontrano con ostacoli tecnici insormontabili (e
perciò ne è stato tratto un libro di fantascienza).
Nel 1994 Scott Woodward ha
annunciato di aver recuperato Dna da un osso di dinosauro, ma aveva preso un
granchio: si trattava di Dna umano, di qualcuno che aveva pasticciato con
l'osso. Con l'estinzione dei dinosauri si sono persi per sempre anche i loro
geni.
Discorso chiuso? Forse no. «Non
dobbiamo partire da zero, scrive in Come costruire un dinosauro (Pearson,
Milano, pagg. 198, € 16,00) Jack Horner, uno dei più celebri paleontologi
americani. «Gli uccelli sono discendenti dei dinosauri. In effetti, essi sono
dinosauri e la maggior parte del programma genetico delle caratteristiche dei
dinosauri che vogliamo riportare indietro dovrebbe essere disponibile negli
uccelli – per esempio, nel pollo».
C'è una nuova branca della
biologia evoluzionistica: si chiama evo-devo, e confronta nelle diverse specie
i meccanismi di sviluppo (development, in inglese) che trasformano una
cellula-uovo fecondata in un embrione e poi in un individuo adulto. A questa
disciplina si riferisce Horner, e in particolare a un fatto ben dimostrato:
l'architettura generale di tutti i vertebrati è la stessa, e lo sviluppo di un
embrione di pollo non è diverso, nelle sue linee generali, dallo sviluppo di un
embrione umano. «Il Tyrannosaurus rex ha una colonna vertebrale, un cranio,
costole, proprio come un'anguilla, un salmone o un topo».
Bella pensata, che però solleva
qualche interrogativo. È proprio vero che gli uccelli sono dinosauri? È come
chiedersi se sarebbe lo stesso dover scacciare dal terrazzo di casa un colombo
o un velociraptor, fate un po' voi.
Ma allora, se è vero solo in
parte, dove troveremo le informazioni che ci mancano per andare oltre, cioè per
passare dall'uccello al dinosauro, senza conoscere il Dna di quest'ultimo? Qui
Horner abbandona gli effetti speciali e propone un ragionamento più complesso.
«Perché non potremmo prendere un embrione di pollo e dargli qualche spintarella
biochimica in questa e quella direzione, fino a ottenere alla schiusa non più
un pollo, ma un piccolo dinosauro con denti, zampe anteriori con artigli e la
coda?». L'idea, insomma, è che le istruzioni per produrre denti, artigli e
altri accessori dinosauriani non si siano perse nel corso dell'evoluzione, ma
stiano ancora nascoste, dormienti, nel Dna degli uccelli. Bisogna risvegliarle
e rimetterle in funzione.
Non è una proposta campata in
aria. I cavalli attuali hanno un solo dito, ma i loro antenati fossili ne
avevano tanti: Eohippus 5 di cui 4 poggiavano per terra, Epihippus 4,
Mesohippus 3. In un suo famoso saggio del 1983 (lo si trova nel libro Quando i
cavalli avevano le dita, Feltrinelli), il compianto Stephen Jay Gould di cui si
è celebrato di recente il decimo anniversario della scomparsa (Gilberto
Corbellini, Riavvolgendo il film della vita – Il Sole 24 Ore Domenica, 6
maggio) faceva notare come di tanto in tanto venga al mondo un puledro
malformato con una o più dita supplementari. Vuol dire che i geni responsabili
dello sviluppo delle dita nei cavalli fossili stanno ancora lì, nelle cellule
dei cavalli odierni, e può capitare che si riattivino, per sbaglio. Horner
vuole riattivare deliberatamente geni del genere nelle cellule degli uccelli.
Lo chiama «creazione di un atavismo», e spiega che consisterebbe, in pratica,
nel riportare indietro l'orologio evolutivo. Sarebbe un po' come intervenire su
un embrione umano (speriamo che a nessuno salti in mente di farlo) per deviarne
lo sviluppo in direzione del nostro antenato australopiteco.
Qui Horner fa un passo indietro
per raccontare gli studi geologici di Alvarez padre e figlio, che negli anni
Ottanta, a casa nostra, vicino a Gubbio, scoprono uno strato di iridio. È uno
strato sottilissimo, ma si vedrà in seguito che è presente in tutto il mondo,
al confine fra le rocce del Cretaceo e quelle del Terziario, 65 milioni di anni
fa. L'iridio è scarso sulla Terra, ma comune negli asteroidi; negli strati più
recenti, al di sopra dell'iridio, resti fossili di dinosauri non ci sono più.
Si afferma così l'idea che i dinosauri si siano estinti per un drastico
cambiamento climatico, provocato dall'impatto con la Terra di un asteroide.
Horner passa poi a raccontare il ritrovamento di un fossile di tirannosauro e
le complicatissime operazioni per estrarlo dalla roccia e poterlo così
studiare. Comincia allora la parte più interessante del libro, si entra nel
merito delle idee e dei problemi pratici della ricerca paleontologica, e sono
idee affascinanti e problemi formidabili. Piccolo esempio: per portare via le
ossa dal sito di scavo ci vuole l'elicottero, ma il femore è talmente grosso
che l'elicottero non ce la fa, e allora bisogna segarlo in due.
L'operazione è gravida di
conseguenze perché, una volta affacciatisi all'interno dell'osso, viene voglia
di dargli un'occhiata più a fondo. E così si scoprono tracce di emoglobina, la
molecola che, nel sangue, trasporta l'ossigeno ai tessuti. E poi si dimostra
che quell'emoglobina apparteneva proprio al tirannosauro, e infine che
assomiglia non a quella dei rettili, ma all'emoglobina degli uccelli. E non è
finita: trattando le ossa in modo da decalcificarle si scoprono residui di vasi
sanguigni, e intanto si continua a scavare e in Cina saltano fuori fossili di
dinosauri piumati, a dimostrazione che le piume c'erano già prima della
comparsa degli uccelli. Un po' alla volta il progetto di Horner si precisa:
l'ala senza artigli del pollo è, in fondo, un'ala di dinosauro che ha perso gli
artigli, la coda corta del pollo è una coda lunga che l'evoluzione ha accorciato.
Se riusciamo a bloccare certi geni nel corso dello sviluppo di un embrione di
pollo, quell'embrione rivelerà il dinosauro che racchiude in sé.
Si tranquillizzino le mamme: alla
fine della lettura i loro industriosi ragazzi non potranno fabbricarsi un dinosauro
nel garage di casa (Horner comunque ci garantisce che, se anche ci riuscissero
e la belva fuggisse, non troverebbe modo di riprodursi; strano non noti come
queste affermazioni somiglino, in maniera inquietante, a quelle con cui, in
Jurassic Park, il simpatico e incosciente John Hammond esclude che i suoi
dinosauri possano moltiplicarsi e far danni). Chi legge questo libro, in
compenso, avrà modo di farsi un'idea molto precisa di come funziona la ricerca
scientifica. Il suo limite non è quindi quello di non mantenere ciò che il
titolo promette; è piuttosto il difetto di tante trasmissioni televisive. Il
contenuto scientifico c'è, ma è disperso in un mare di aneddoti e storielle
poco pertinenti: si va da Unabomber a Toro seduto, dalla caccia al bisonte alle
tecniche di chirurgia cosmetica.
È come se l'autore dubitasse che
la scienza sia davvero interessante: per raccontarla, sembra confessarci
Horner, bisogna far finta di parlare d'altro. Chissà, forse ha ragione. Ma io
non sono sicuro che, qualche milione di anni dopo i dinosauri, si siano estinti
anche i lettori a cui piacerebbe semplicemente capire come lavorano i
paleontologi, quante tracce di un passato lontanissimo siano rimaste nei
fossili, e come per interpretarle si stiano prendendo a prestito metodi e idee
dalla biologia molecolare e dall'evo-devo. Queste cose Horner le conosce e le
sa raccontare; peccato non abbia avuto un po' più di fiducia nei suoi lettori.
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