Canapa, tra cura e guarigione, Giorgio Bignami commenta le recenti
ricerche sull’uso della canapa in medicina per la rubrica di Fuoriluogo sul
Manifesto del 13 giugno 2012. - fonte: www.fuoriluogo.it
Tra i danni collaterali del
proibizionismo spiccano gli ostacoli alla ricerca sugli effetti delle droghe
illecite, compresi i possibili effetti terapeutici: lo ha di recente affermato
il noto neuropsicofarmacologo britannico David Nutt, già membro autorevole del
comitato governativo sulle droghe, licenziato nel 2009 per aver sostenuto che
l’alcol e il tabacco sono più pericolose di alcune droghe illegali, come la
cannabis e l’ecstasy.
Ma proprio nel caso della
cannabis le cose si stanno ormai muovendo, grazie alla crescente frequenza di
studi clinici controllati: condotti cioè “a regola d’arte”, secondo gli
standard di quei critici che finora hanno obiettato: non ci sono studi
controllati, come facciamo ad accettare la cannabis come farmaco?
Per esempio, uno studio ha di
recente dimostrato un’attenuazione di dolore e di spasticità nella sclerosi
multipla in pazienti che hanno fumato il prodotto. Fumato, si noti; non i
soliti compromessi a base di prodotti più o meno modificati o purificati, onde
evitare che i soliti zelanti si straccino le vesti per le analogie con il
consumo a scopo edonico (Canadian Medical Association Journal, 2012,
Doi.1503/cmaj110837). Secondo un’altra ricerca della scuola medica britannica
di Plymouth, non ancora pubblicata, il trattamento per tre anni col principio
attivo Thc avrebbe confermato l’azione contro dolore e spasticità, ma mancato
di rallentare il progresso della malattia: il che ha provocato disillusione e
frustrazione nei pazienti che avevano accettato di arruolarsi nell’esperimento.
Tale reazione non desta meraviglia: troppi medici, infatti, per accrescere il
proprio prestigio (sino a “giocare a Dio”), tendono nei rapporti coi pazienti a
sfumare una differenza di capitale importanza, quella tra curare e guarire. Un
trattamento antibiotico o chemioterapico appropriato guarisce da una polmonite,
da una febbre tifoide, etc. L’insulina cura il diabete senza guarirlo; ma se
usata a regola d’arte, consente anche nei casi più gravi (diabete giovanile di
tipo I) una vita normale, anche se alcune complicanze non si riescono sempre a
evitare. Infine, abbiamo le non meno importanti cure palliative, come l’uso
appropriato degli oppiacei – notoriamente ancora troppo spesso drasticamente
“razionati” in Italia, malgrado i notevoli alleggerimenti normativi nell’iter
di prescrizione – nei casi di dolore grave, non solo oncologico, in pazienti
non di rado inguaribili e destinati a morire. Ora la sclerosi multipla è
purtroppo inguaribile, e i derivati della cannabis esercitano su alcuni sintomi
particolarmente gravi (dolore, spasticità) proprio questa preziosa azione
palliativa. E siccome la speranza di vita degli ammalati di sclerosi è spesso
molto vicina, o addirittura identica, a quella degli altri soggetti, forse
questo effetto che migliora la qualità della vita potrebbe considerarsi
addirittura più significativo di quello degli oppiacei negli ammalati
inguaribili o addirittura terminali. Ma asteniamoci dal proporre queste inutili
gerarchie; seguitiamo piuttosto a insistere perchè il medico non “demorda”
sinché non sia certo che il suo assistito abbia compreso a fondo quanto si può
fare o non si può fare; e sinché non si sia convinto che quando non può
guarire, non può esimersi dal curare: anche se al termine della cura si profila
un fallimento che può intaccare il suo prestigio.
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