Convivenza e coppie di fatto? La ricerca dice no: meglio puntare sul matrimonio
- 12 giugno, 2012 - http://www.uccronline.it
Il più grande nemico del
cristianesimo, il filosofo Friederich Nietzsche parlava del matrimonio come «la
forma più menzognera dei rapporti sessuali, ed è per questo che gode
dell’approvazione delle coscienze pure». Nemmeno su questo ci ha preso, e non è
certo un caso che poi è finito in solitudine a parlare ed abbracciare un
cavallo.
Esiste oggi, infatti, un’enorme
mole di studi scientifici a sostegno delle convinzioni delle “coscienze pure”,
i quali dimostrano senz’ombra di dubbio come le coppie di fatto, le convivenze,
i rapporti pre-matrimoniali, la contraccezione, e il divorzio siano deleteri
per la salute dei soggetti coinvolti, per la qualità della loro relazione
sentimentale e sopratutto per i bambini che con loro crescono. Una società che
metta sullo stesso piano scelte precarie, non definitive, temporanee come le
coppie di fatto all’impegno pubblico della promessa dell’amore, della fedeltà,
dell’onore e della durata della loro unione fino alla morte, orientandosi alla
generazione ed educazione della persona umana, come fanno i due sposi nel
matrimonio, commette un grave errore.
Riteniamo profondamente sbagliato
trattare i “quasi matrimoni” come fossero un vero matrimonio, anche perché
quest’ultimo è fondato su di una serie precisa di diritti e di doveri, che i
liberi conviventi hanno volontariamente abiurato proprio nel momento stesso in
cui hanno voluto esprimere il diritto di libertà – costituzionalmente garantito
– di affrancare la loro vita affettiva da qualsiasi schema giuridico. Soltanto
un’unione stabile e impegnata, tra l’uomo e la donna, permette un futuro
equilibrato e sicuro alla società. Ogni uomo, infatti, necessità di certezza e
di stabilità per costruire i suoi rapporti affettivi e sociali. Si costruisce
per rafforzare e mantenere, non per fare tentativi e poi abbandonare e
distruggere ciò che si è costruito.
UCCR ha voluto dimostrare
oggettivamente questa convinzione, comunicata da secoli e secoli dalla saggezza
della Chiesa cattolica, attraverso un dossier apposito contenente un corposo
elenco di studi scientifici realizzati dal 1984 al 2012 (in costante
aggiornamento):
La famiglia tradizionale è migliore della convivenza e la coppia di
fatto
Il più grande nemico del cristianesimo,
il filosofo Friederich Nietzsche parlava del matrimonio come «la forma più
menzognera dei rapporti sessuali, ed è per questo che gode dell’approvazione
delle coscienze pure». Parte della società la pensa esattamente così, esaltando
la precarietà e l’individualismo nei rapporti, al contrario le “coscienze pure”
che hanno sempre visto coppie di fatto, convivenze, rapporti pre-matrimoniali,
contraccezione, e divorzio come deleteri per la salute dei soggetti coinvolti,
per la loro relazione sentimentale e sopratutto per i bambini che con loro
crescono.
Nessun paragone può essere fatto
tra le coppie di fatto e l’unione di due persone che decidono di impegnarsi
pubblicamente nella promessa dell’amore, della fedeltà, dell’onore e della
durata della loro unione fino alla morte, orientandosi alla generazione ed
educazione della persona umana. Soltanto così nasce quel nucleo di legami
animati da un progetto di vita che mira all’unità, sempre e comunque, e alla
procreazione di nuova vita. Si chiede alla politica di trattare i “quasi
matrimoni” come fossero un vero matrimonio, ma la disciplina legale del
matrimonio è fondata su di una serie precisa di diritti e di doveri, che i
liberi conviventi hanno abiurato proprio nel momento stesso in cui hanno voluto
esprimere il diritto di libertà – costituzionalmente garantito – di affrancare
la loro vita affettiva da qualsiasi schema giuridico.
Ancora di più quando il
matrimonio viene celebrato davanti a Dio, e diventa dunque un sacramento ,
ovvero l’alleanza degli sposi è integrata nell’Alleanza di Dio con gli uomini.
Soltanto questo tipo di unione, tra l’uomo e la donna, permette un futuro
stabile ed equilibrato alla società. Ogni uomo ha bisogno di certezza e di
stabilità, all’interno delle quali costruire i suoi rapporti affettivi e
sociali, non di fare tentativi per poi abbandonare (e distruggere) ciò che si è
costruito. La convivenza è una scelta a metà, temporanea, soggetta a revisioni
e scadenze, e pone colui che vive una simile esperienza in un atteggiamento già
di per sé fallimentare. Tutto questo è sostenuto -oltre che dalla infinita
saggezza della Chiesa, che da secoli ripete queste cose- da sociologi di tutto
il mondo e da un’infinità di ricerche che elencheremo in parte qui sotto (è
solo un piccolo estratto). L’elenco è aggiornato continuamente.
|ELENCO DI STUDI SOCIOLOGICI|
Nell’aprile 2012 un articolo
apparso sul “New York Times” scritto dalla psicologa clinica Meg Jay
dell’Università della Virginia, ha spiegato come gli studi mostrino in modo
chiaro che la convivenza pre-matrimoniale aumenta notevolmente il tasso di
divorzio.
Nel gennaio 2012 in un editoriale
sul “British Medical Journal” due ricercatori -David e John Gallacher
dell’università di Cardiff- hanno spiegato che le persone sposate vivono più a
lungo, le donne sperimentano una migliore salute mentale, mentre gli uomini in
una relazione stabile e duratura, come quella prevista dall’unione coniugale,
hanno una migliore salute fisica, concludono che «a conti fatti è vale
probabilmente fare lo sforzo di sposarsi». Inoltre, lo studio ha evidenziato
nelle donne sposate un abbassamento del 10-15 per cento del tasso di mortalità
ed un calo dei rischi di andare incontro ad ictus, malattie cardiache e
complicazioni dovute a stili di vita non salutari, nella porzione dei candidati
maschili che erano impegnati in una relazione matrimoniale. I ricercatori hanno
anche confermato che il divorzio può avere un impatto devastante sugli
individui, mentre l’avere molti partner è collegato ad un aumento di rischio di
morte.
Nel dicembre 2011 uno studio su
“Archives of General Psychiatry” ha mostrato che gli uomini con bassi livelli
di comportamento antisociale sono più propensi a sposarsi e che il matrimonio
accentua la loro tendenza ad astenersi da comportamenti antisociali. E’ dunque
evidenziato un effetto causale del matrimonio alla desistenza dal comportamento
antisociale.
Nel settembre 2011 la Monash
University di Melbourne (Australia) ha pubblicato i risultati di uno studio con
il quale si dimostra come il matrimonio è uno dei fattori-chiave nella
diminuzione della criminalità, riducendo drasticamente la percentuale di
assassini, per una semplice ragione: l’autocontrollo.
Nell’agosto 2011 uno studio
pubblicato sulla rivista “Health Psychology” ha stabilito che se qualcuno
subisce un bypass coronarico, ha 3 volte più probabilità di essere vivo dopo 15
anni se è sposato rispetto a chi è single, divorziato o vedovo. Gli uomini
sottoposti a intervento chirurgico di bypass hanno vissuto più a lungo in virtù
del semplice fatto di essere sposati, indipendentemente da quanto fosse felice
o infelice l’unione. Le donne felicemente sposate avevano invece quasi quattro
volte più probabilità di essere vive dopo 15 anni dall’operazione rispetto alle
donne single o divorziate.
Nel 2011 in un rapporto sul
matrimonio e la famiglia, il professor Patrick Parkinson, della Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Sydney, ha dichiarato : «Il governo
australiano non può continuare a ignorare la realtà che due genitori tendono a
fornire risultati migliori per i bambini di uno solo, e che l’ambiente più stabile
e sicuro per i bambini è quando i genitori sono, e rimangono, sposati l’uno con
l’altro». Ha inoltre aggiunto che: «se c’è un grande cambiamento demografici
nelle società occidentali che può portare a una vasta gamma di conseguenze
negative per molti bambini e giovani, è se essi crescono in una famiglia
diversa da quella generata dai loro due genitori biologici»
Nel 2011 una ricerca ha
dimostrato che le coppie conviventi hanno il doppio delle probabilità di
dividersi delle coppie sposate. Inoltre, i genitori conviventi hanno più
probabilità di dover affrontare problemi emotivi e sociali, come l’abuso di
droga, depressione, abbandono della scuola superiore, abusi fisici e sessuali,
e povertà, con i loro figli rispetto a quelli di famiglie sposate. Il Dr. W.
Bradford Wilcox dell’University della Virginia e autore principale dello studio
ha osservato che «l’instabilità familiare per i bambini è in aumento. Questo
sembra in parte essere dovuto al fatto che le coppie sono conviventi e quindi
molto instabili». Ha continuato: «C’è un modello bi-familiare che emerge nella
vita americana. I giovani più istruiti, benestanti godono di una famiglia
stabile e relativamente forte. Tutti gli altri hanno più probabilità di vivere
in una coppia convivente, instabile». Lo psicologo John Gottman, tra i massimi
esperti statunitensi di relazioni matrimoniali, professore emerito di
psicologia all’Università di Washington ha dichiarato che «tale instabilità ha
un notevole impatto negativo sui bambini, il quale si nota nell’esternalizzazione
dei disturbi, cioè più aggressività, che a livelo interno, cioè più in
depressione. I figli delle coppie conviventi sono più a rischio rispetto a
quelli delle coppie sposate».
Nell’ottobre 2011 uno studio
norvegese ha rilevato un eccesso di mortalità delle persone non sposate
rispetto ai coniugi, in costante aumento per gli uomini. Tra le donne anziane,
l’eccesso di mortalità di chi non si è mai sposato rispetto a chi lo ha fatto,
è aumentato. I norvegesi non sposati presentano dunque una minore sopravvivenza
di fronte ad una diagnosi di cancro.
Nell’agosto 2011 un ampio studio
apparso in un editoriale del “British Medical Journal” ha rivelato la presenza
di benefici se si sceglie di sposarsi piuttosto che convivere. L’esperto
dell’Università di Cardiff, John Gallacher, che ha preso in esame lo studio, ha
sostenuto che un marito e una moglie felici mangiano in modo più sano, hanno
più amici e si prendono maggiore cura l’uno dell’altro: «Il matrimonio e altre
forme di relazione possono essere posti su una scala di impegni, maggiore è
l’impegno e maggiore è il beneficio», spiega lo studioso. Il matrimonio visto
come un impegno quindi e per questo associato a una migliore salute mentale in
confronto alla convivenza, la quale solitamente è meno stabile.
Nell’agosto 2011 uno studio
pubblicato negli Stati Uniti dall’ente di ricerca “Child Trends”, dal titolo
“Parental Relationship Quality and Child Outcomes Across Subgroups”, ha
concluso che i figliastri hanno una probabilità doppia, rispetto ai figli che
vivono con i propri genitori sposati, di sviluppare problemi comportamentali.
La problematicità è ancora superiore per i figli che vivono con una coppia di
fatto, i quali presentano una probabilità tre volte superiore di avere problemi
di comportamento.
Nel maggio 2011 su “The Journals
of Gerontology” uno studio ha rilevato che i conviventi con disabilità hanno
notevolmente meno probabilità di ricevere cure dal proprio partner rispetto a
quanto avviene per le persone sposate. Questo risultato, si spiega, rispecchia
l’evidenza di un minore impegno dei conviventi nella relazione e nell’assolvere
gli obblighi inerenti l’istituzione del matrimonio.
Nel marzo 2011 uno studio
pubblicato dall’Institute of Social and Economic Research dell’Università di
Essexsu, sulla base di una serie di fattori indicativi, ha concluso che le
persone conviventi sono significativamente meno felici nel loro rapporto
rispetto alle persone sposate e i figli che vivono con un solo genitore sono
meno propensi a dirsi del tutto felici della loro situazione.
Nel febbraio 2011 uno studio
pubblicato su “BMC Public Health” ha rilevato che le donne conviventi con un
partner senza essere formalmente sposate erano esposte ad maggiore rischio di
violenza domestica rispetto a coloro che sono sposate.
Nel 2010 uno studio pubblicato
sul “Bureau of Justice Statistics” ha mostrato che le donne sposate sono
vittime di tutte le forme di violenza domestica in livelli drammaticamente
inferiori rispetto alle donne conviventi. Per quanto riguarda gli uomini, quelli
sposati hanno da 3 a 4 volte meno probabilità di commettere violenza contro i
loro familiari e gli stranieri rispetto ai loro coetanei non sposati. Il
matrimonio risulta dunque essere un meccanismo di sicurezza fondamentale
Nel 2010 una metanalisi complessiva
ha concluso che la convivenza presenta una significativa associazione negativa
con la stabilità coniugale e la qualità coniugale. Studiando tutti i principali
studi sul tema si è anche scoperto che gli effetti negativi della convivenza
sono rimasti costanti nel tempo, nonostante che essa sia diventata un
comportamento più diffuso nella società.
Nell’agosto 2010 ricercatori
della Northwestern University e dell’Università di Chicago hanno pubblicato uno
studio sulla rivista “Stress”, rilevando una buona riduzione del livello di
cortisolo, noto come l’ormone dello stress psicologico, sopratutto nei soggetti
sposati o che hanno un partner stabile. Dario Maestripieri, professore di
Sviluppo umano comparativo presso l’Università di Chicago, ha commentato:
«anche se può sembrare che il matrimonio sia stressante, abbiamo un crescendo
di prove che dimostrano come il matrimonio sia invece il tampone contro lo
stress»
Nel luglio 2009 i ricercatori
dell’Università di Denver hanno rilevato che le coppie che convivono prima di
sposarsi (o le coppie di fatto) hanno una maggiore probabilità di divorziare
rispetto a coloro che scelgono di aspettare a vivere insieme fino a dopo il
matrimonio. Inoltre, queste coppie hanno riferito una soddisfazione più bassa
rispetto al loro matrimonio.
Nel 2008 i dati del “US Census”
hanno mostrato che le donne (e i loro figli) hanno tre volte meno probabilità
di vivere sempre in povertà, se sono sposate rispetto a quelle single o
conviventi
Nel 2007 i ricercatori Paul Amato
e Rebecca Maynard della Pennsylvania State University hanno argomentato
attraverso uno studio che occorre prevenire le nascite al di fuori del
matrimonio, propongono tassi di divorzio più bassi, offrendo programmi più
educativi per le coppie prima e durante il matrimonio. Rivolgendosi ai sistemi
scolastici offrono prove sul fatto che la salute e la corretta educazione
sessuale sono molto problematiche per i genitori non sposati. Rafforzare il
matrimonio, sostengono gli autori, è anche potenzialmente una strategia efficace
per lottare contro la povertà.
Nel febbraio 2006 sul “Journal of
Marriage and Family” uno studio si è concentrato sul ruolo del padre biologico,
dimostrando che i figli che vivono lontano dal proprio padre naturale
presentano un rischio maggiore di avere un’esperienza di crescita negativa.
Nel 2005 sulla rivista “The
Future of Children” il sociologo Steven Nock dell’University of Virginia ha
mostrato come l’indebolimento della genitorialità è causato dalla rivoluzione
contraccettiva, dal declino del matrimonio come principio organizzatore della
vita adulta, e la sempre più accettata visione che il matrimonio e la paternità
debbano essere questioni private. Egli considera poi le abbondanti prove
scientifiche sulle conseguenze positive del matrimonio sia per quanto riguarda
il benessere economico che la salute degli adulti americani.
Nel dicembre 2005 su “Journal of
Marriage and Family” uno studio ha confermato gli effetti deleteri del
divorzio, mostrando che i figli mostrano livelli più elevati di ansia/depressione
e comportamento antisociale rispetto ai bambini i cui genitori restano sposati.
Nel 2005 studiosi della Harvard
University hanno rilevato notevoli prove del fatto che il matrimonio aiuta a
mantenere in vita gli esseri umani. Le persone separate, divorziate, single o
vedove, infatti, presentano un rischio particolarmente elevato di morire
prematuramente. Al contrario, i coniugi hanno un rischio più basso rispetto a
tutti gli altri gruppi, e questa è una prova ormai verificata in tutto il mondo.
Nel 2005 il prof. P.R. Amato
della Pennsylvania State University, ha dimostrato che i bambini che crescono
con i due genitori biologici sposati, hanno meno probabilità di sperimentare
una vasta gamma di problemi cognitivi, emotivi e sociali, non solo durante
l’infanzia, ma anche in età adulta. Hanno inoltre un tenore di vita più elevato
e fanno maggiori esperienze di cooperazione familiare, sono emotivamente più
vicini ad entrambi i genitori, e sono sottoposti a meno eventi stressanti.
Nel 2005 un rapporto di un team
diversificato di studiosi americani della famiglia, ha spiegato che «le persone
sposate sembrano gestire meglio la malattia, monitorandosi la salute l’un
l’altro, hanno redditi più alti e adottano migliori stili di vita di quanto non
facciano i single».
Nel 2004 i ricercatori Gregory
Acs e Sandi Nelson hanno concluso la loro ricerca con queste parole: «studio
dopo studio costantemente i documenti dicono che, in media, i bambini che
vivono con i propri genitori sposati, biologici o anche adottivi, se la passano
meglio su una serie di indicatori rispetto ai bambini in qualsiasi sistema
vivente».
Nel 2004, uno studio realizzato
da “Urban Institute” ha rilevato che «vivere con genitori conviventi non è così
benefico per i bambini come vivere con genitori sposati». Valutando tutta una
serie di studi precedenti, i ricercatori hanno tentato di spiegare il motivo
per cui «i bambini vivono con conviventi non se la passano così come i bambini
che vivono con genitori sposati».
Nel giugno 2004 ricercatori del dipartimento
di Psicologia dell’Università di Denver hanno mostrato che coloro che hanno
convissuto prima del matrimonio hanno avuto maggiori interazioni negative,
minore impegno interpersonale, un inferiore qualità del rapporto, più bassi
livelli di fiducia rispetto alle persone che non hanno convissuto prima del
matrimonio (anche dopo aggiustamenti sulla durata della convivenza). I
risultati suggeriscono dunque che coloro che convivono prima del matrimonio
sono a maggior rischio per una povertà di risultati coniugali.
Nel maggio 2004 uno studio su
“Journal of Marriage and Family” ha mostrato che i bambini che vivono in
famiglie con genitori biologici conviventi sperimentano risultati peggiori, in
media, rispetto a quelli che risiedono con due genitori biologici sposati. Tra
gli adolescenti dai 12-17 anni, la convivenza dei genitori è associata
negativamente al benessere, a prescindere dai livelli economici.
Nel novembre 2003 uno studio su
“Journal of Marriage and Family” ha rilevato che gli adolescenti che vivono con
genitori acquisiti o conviventi spesso vivono una situazione peggiore rispetto
ai loro coetanei che vivono con i due genitori biologici sposati. I risultati,
spiegano gli autori, contribuiscono alla comprensione del dibattito sulla
convivenza circa l’importanza del matrimonio per i bambini.
Nell’agosto 2003 uno studio
pubblicato su “Journal of Marriage and Family” ha rilevato che i coniugi che
hanno convissuto prima del matrimonio hanno anche riferito una qualità
inferiore del loro rapporto coniugale e una maggiore instabilità della
relazione.
Nel maggio 2003 uno studio del
“Center for Law and Social Policy” ha rilevato che in media i bambini che crescono
in famiglie con entrambi i genitori biologici lo fanno in modo migliore
rispetto a coloro che crescono con genitori single o conviventi. Rispetto ai
bambini cresciuti da genitori sposati, i bambini in altri tipi di condizioni
hanno più probabilità di raggiungere livelli più bassi di istruzione, diventare
genitori adolescenti, maggiori problemi di salute mentale e maggiore povertà.
Nel 2003 uno studio sociologico
ha rilevato che i bambini che vivono con genitori sposati (sia biologici che
adottivi) provano meno esperienze di disagio materiale rispetto ai bambini che
vivono con madri sole, con genitori conviventi o acquisiti
Nel 2002 una ricerca basata sui
dati del National Longitudinal Study Educational (Nels), pubblicata su
“Demography” , ha scoperto che gli adolescenti che vivono con genitori non
sposati (conviventi) hanno meno probabilità di arrivare al diploma di scuola
superiore o di frequentare il college, sono più propensi a fumare o bere, e più
propensi ad avviare precocemente l’attività sessuale.
Nel 2002 sul “Journal of Marriage
and Family” ricercatori della Pennsylvania State University hanno rilevato che
le coppie che convivono prima del matrimonio hanno una maggiore instabilità
coniugale rispetto alle coppie che non convivono. Inoltre, i coniugi che
convivono prima del matrimonio presentano più alti tassi di separazione
coniugale e di divorzio
Nel 2002 ricercatori della
Pennsylvania State University hanno pubblicato sul “Journal of Marriage and
Family” i risultati di uno studio secondo cui le coppie che convivono prima del
matrimonio presentano una maggiore instabilità coniugale rispetto alle coppie
che non convivono.
Nel 2002 uno studio realizzato
dal Max-Planck-Institut, intitolato “Dissolution of unions in Europe: A
comparative overview” e basato su 17 Paesi nord americani e europei ha mostrato
che – senza eccezioni – le convivenze hanno una più bassa probabilità di
sopravvivere, rispetto ad unioni iniziate direttamente con un matrimonio. Non
solo, ma -scrivono i ricercatori- «alcuni paesi europei sono caratterizzati da
particolarmente stabili modelli familiari. Questi paesi si trovano in diverse
zone d’Europa, ma tutti hanno in comune la caratteristica di essere fortemente
dominati dalla confessione cattolica», ed inoltre, «le coppie che iniziano la
loro unione con la convivenza sono esposte a rischi di perturbazione
notevolmente superiori rispetto alle coppie che iniziano a vivere insieme solo
dopo il matrimonio». Paesi con una quota più alta di unioni di fatto
sperimenteranno un’alta proporzione di unioni instabili.
Nel 2002 i ricercatori E.
Dourleijn E e A. Liefbroer hanno confermato che le persone che convivono e non
sono sposate e le persone che hanno convissuto prima del matrimonio (ex
conviventi), presentano un più alto rischio di scioglimento dell’unione
sentimentale rispetto a coloro che hanno iniziato la convivenza dopo il
matrimonio. Gli ex conviventi hanno infatti un basso livello di impegno
rispetto al matrimonio in generale, un atteggiamento negativo sulla vita
familiare o presentano personalità o caratteristiche socio-economiche che li
predispongono alla dissoluzione della relazione. I risultati rivelano anche che
se la convivenza è praticata da circa la metà della popolazione, allora gli ex
conviventi si trovano ad avere circa gli stessi rischi di dissoluzione delle
persone sposate, «tuttavia, i loro rischi di scioglimento saranno sempre
superiori a quelli delle persone che si sono sposate subito senza convivere
prima».
Nel 2002 su “Journal of Marriage
and Family” uno studio ha mostrato che vivere separati da entrambi i genitori
biologici, indipendentemente dal motivo, è associato ad un aumentato rischio di
divorzio in età adulta. In particolare, i bambini nati fuori dal matrimonio,
anche se non hanno sperimentato il divorzio dei genitori o la loro morte,
avvertono un rischio molto elevato di interruzioni coniugali quando saranno
adulti.
Nel 2002 lo studio “The Kids Are Alright? Children’s
Well-Being and the Rise in Cohabitation” ha rilevato che i bambini hanno molta
meno probabilità di essere poveri, di soffrire di insicurezza alimentare, di
leggere raramente, e avere problemi comportamentali, se essi vivono all’interno
di una coppia sposata, piuttosto che con genitori conviventi. I figli di questi
ultimi hanno comunque qualche beneficio in più rispetto ai bambini che vivono
con madri single.
Nell’ottobre 2002 i ricercatori
W. Sigle-Rushton e S. McLanahan hanno espresso preoccupazione per l’aumento
delle convivenze piuttosto che il matrimonio, del sesso prematrimoniale, del
tasso di divorzi poiché un grande corpo di ricerca indica in modo chiaro che
tutto questo ha un impatto deleterio sui bambini, sulle famiglie e sula società
nel suo complesso. In particolare lo studio ha dimostrato che i bambini
cresciuti in con madri single sono svantaggiati rispetto ai loro coetanei e
questo inconveniente persiste oltre l’infanzia. L’assenza del padre inoltre
porta a risultati negativi nel rendimento scolastico, nella salute psicologica,
maggiori comportamenti delinquenziali e minore benessere economico e delle
relazioni in età adulta.
Nel giugno 2002 i sociologi
Kristin Anderson Moore, Susan M. Jekielek e Carol Emig, attraverso il loro
studio , hanno dimostrato che esiste un ampio corpus di ricerche che indicano
come i bambini fanno meglio quando crescono con entrambi i genitori biologici,
all’interno di un matrimonio. Essi hanno concluso promuovendo strategie per la
riduzione delle nascite fuori del matrimonio e invitando a sostenere i
matrimoni stabili.
Nel 2001 uno studio realizzato
dall’Urban Institute ha mostrato che gli adolescenti (sia bianchi che ispanici)
che vivono in famiglie con genitori conviventi presenta una situazione
peggiore, in media, rispetto a quelli che vivono con madri single: mostrano
significativamente più probabilità di un minor impegno scolastico, hanno più
probabilità di essere sospesi o espulsi dalla scuola (sempre rispetto a quelli
che vivono con una madre single). «La nostra analisi», scrivono i ricercatori,
«dimostra che vivere con una madre single e il suo fidanzato non è migliore di
vivere con soltanto una madre single. In molti casi (in particolare per i
bianchi e gli ispanici), è significativamente peggiore. I risultati più
favorevoli che osserviamo, invece, sono per gli adolescenti che vivono con i
loro genitori biologici, che sono sposati l’uno all’altro»
Nel novembre 2001 una ricerca su
“Journal of Marriage and Family” ha mostrato che il divorzio dei genitori ha
approssimativamente raddoppiato le probabilità che i figli avrebbero visto a
loro volta la fine del proprio matrimonio con un divorzio. Invece, i figli che
hanno visto i loro genitori rimanere sposati, anche se con difficoltà, non
hanno rilevato un elevato rischio di divorzio.
Nell’agosto 2001 uno studio ha
mostrato come gli adolescenti maschi e femmine provenienti da famiglie
divorziate presentano maggiori problemi accademici, psicologici e
comportamentali di coetanei i cui genitori restano sposati. Le analisi indicano
che le adolescenti di sesso femminile hanno più probabilità di essere colpite
dal processo di divorzio dei genitori, rispetto agli adolescenti di sesso
maschile.
Nel 2001 uno studio della Florida
Atlantic University basato su oltre 400.000 omicidi commessi tra il 1976 e il
1994, si è concentrato sul tasso di uxoricidio (l’omicidio di una donna dal suo
partner). Si è riscontrato che l’incidenza di uxoricidio era nove volte
superiore nelle donne che convivevano con gli uomini rispetto a quelle che
erano invece sposate.
Nel maggio 2000 uno studio sul
“Journal of Marriage and Family” ha mostrato che rispetto ai bambini cresciuti
con madri vedove, i figli cresciuti con madri divorziate presentano livelli
significativamente più bassi di istruzione, stato occupazionale e felicità in
età adulta.
Nel 2000 uno studio pubblicato su
“Journal of Health and Social Behavior” ha confrontato la convivenza con il
matrimonio, rilevando che i conviventi maschi e femmine, in particolare,
presentano livelli più elevati di depressione (2,8 volte in più) e maggiori
livelli di consumo di alcol, rispetto ai loro coetanei sposati.
Nel 2000 una relazione dell’U.S.
Department of Justice, intitolata “Intimate Partner Violence” ha rilevato che
le donne sposate nelle famiglie tradizionali presentano un minor tasso di
violenza, al contrario delle donne unite in altri tipi di relazioni. Le donne
non sposate al loro “partner intimo” (cioè, erano conviventi), hanno infatti
registrato un tasso di violenza quattro volte superiore a quello delle donne
sposate (11,3 per mille rispetto a 2,6 per mille).
Nel 2000 la sociologa Linda
Waite, esperta in famiglia e matrimonio, e il sociologo Maggie Gallagher, hanno
spiegato nel loro libro “The Case for Marriage: Why Married People are Happier,
Healthier and Better Off Financially “ (Doubleday, 2000), che «le persone
sposate sono più felici, più sane e hanno migliori condizioni economiche:
infatti, praticamente tutti gli studi realizzati hanno scoperto che uomini e
donne sposati sono più felici dei single. Il vantaggio della felicità per le
persone sposate è molto grande e molto simile per uomini e donne, e appare in
ogni paese su cui abbiamo informazioni» (pag. 168). Inoltre, dallo studio è
emerso che le persone sposate sono molto più capaci di essere fedeli rispetto
ai loro coetanei conviventi, in particolare gli uomini conviventi hanno presentato
quasi quattro volte più probabilità, rispetto ai mariti, di aver tradito l’anno
precedente, ma anche le donne conviventi -generalmente più fedeli degli
uomini-, hanno presentato otto volte più probabilità, rispetto alle mogli, di
tradire il partner
Nel 1998 una ricerca su “Journal
of Marriage and Family” ha rilevato che il rischio del consumo di droga è più
alto tra gli adolescenti in custodia a padri non biologici (padre acquisito) e
a padri single, anche dopo aver aggiustato gli effetti per sesso, età,
razza-etnia e reddito familiare. Il rischio di uso di droga è più basso nei
figli cresciuti in famiglie con madre e padre biologici.
Nel 1998, un importante studio
sul “Journal of Marriage and the Family” ha esaminato il legame tra felicità
personale e lo stato civile in 17 diverse nazioni industrializzate, trovando
che le persone sposate hanno un livello significativamente più alto di felicità
rispetto alle persone non sposate. Questo effetto era indipendente a protezioni
finanziarie e alle variabili di controllo, comprese le condizioni
socio-demografiche e di carattere nazionale.
Nel 1998 il docente di sociologia
all’Università della Virginia, Steven L. Nock, ha pubblicato il libro “Marriage
in Men’s Lives” (Oxford University Press 1998) nel quale spiega e dimostra come
il matrimonio e la paternità promuovano un senso di scopo, un maggiore impegno
e responsabilità che porta gli individui a proteggere la loro salute al fine di
prendersi cura degli altri
Nel 1996 è stato pubblicato il
volume “Life without father” (The Free Press 1996) di David Popenoe, professore
emerito di Sociologia persso la Rutgers University, nel quale si dimostra come
i bambini nati al di fuori matrimonio hanno cinque volte più probabilità di
vivere in povertà, rispetto a chi cresce all’interno famiglie stabili e
intatte. Inoltre questi bimbi presentano due o tre volte più probabilità di
avere problemi psichiatrici da adolescenti. Il sociologo spiega che, anche se è
evidente che vi siano casi in cui bambini allevati da genitori single non
presentano questi problemi, sono però un’eccezione: «in tre decenni di attività
come scienziato sociale, conosco pochi altri organismi di dati in cui il peso
delle prove è così decisamente concorde sul fatto che i bambini nati in
famiglie con due genitori sono preferibili a quelle con un solo genitore e a
genitori non sposati», ha affermato Popenoe a pag. 176
Il 6 aprile 1995 con un articolo
su “The New England Journal of Medicine” viene recensito uno studio realizzato
da Sara McLanahan e Garry Sandefur. Si legge: «C’è bisogno di preoccuparsi per
l’aumento delle famiglie monoparentali, o si tratta semplicemente di stili di
vita alternativi, senza conseguenze per lo sviluppo del bambino? I dati
raccolti da McLanahan e Sandefur dimostrano inequivocabilmente che i bambini
hanno bisogno di due genitori. Non è che le madri single non possono crescere
figli che diventeranno adulti con successo, la maggior parte lo fanno. Ma il
rischio di un esito sfavorevole è molto più elevato per i bambini in famiglie
monoparentali rispetto a quelli in famiglie con due genitori. I dati dimostrano
che i bambini che crescono in famiglie monoparentali, se i genitori non sono
sposati, o sono separati o divorziati, hanno il doppio del rischio di andare
male a scuola, problemi comportamentali, abbandono della scuola superiore,
essere senza lavoro, mentre per le ragazze c’è il doppio del rischio di
diventare madri adolescenti». Questo perché «separazione e divorzio sono
evidenti fattori di stress per i bambini», inoltre con «il nuovo matrimonio
molti bambini devono adattarsi ai genitori acquisiti e fratellastri, un terzo
di questi secondi matrimoni finisce in un altro divorzio, portando ad ulteriore
stress».
Nel gennaio 1995 Steven L.
Incocco dell’University of Virginia ha pubblicato uno studio su “Journal of
Family Issues” rilevando che le persone conviventi hanno maggiore probabilità
di esprimere livelli più bassi di impegno nelle loro relazioni, di riferire
livelli inferiori di felicità nelle loro relazioni e di avere rapporti con i genitori
più poveri rispetto alle persone sposate.
Nel 1994 uno degli studi più
grandi e sofisticati mai condotto sulla sessualità negli Stati Uniti ha
rilevato che , condotto da Robert T. Michael, John H. Gagnon, Edward O. Laumann
e Gina Kolata, ha rilevato che le persone che hanno riferito i massimi livelli
di soddisfazione sessuale fisica ed emotiva sono coppie sposate, arrivate al
matrimonio senza precedenti esperienze sessuali
Nel 1993 uno studio pubblicato su
“American Sociological Review” ha mostrato come l’esperienza del divorzio e
della disgregazione familiare durante l’infanzia aumenta notevolmente le
probabilità di avere un basso stato occupazionale in età adulta. Al contrario,
i soggetti che provengono da ambienti familiari composti dai due genitori
biologici mostrano l’opposto.
Nel 1992 sulla rivista “Journal
of Marriage and Family” uno studio ha rilevato che genitori single, matrigne e
patrigni e partner conviventi offrono meno attenzioni positive ai bambini
rispetto ai genitori originali. Secondo i ricercatori questo è dovuto al fatto
che due adulti sono più efficaci di uno, e che i genitori adottivi o acquisiti
sono maggiormente estranei riguardo ai bambini.
Nel 1992 lo studio “The
Relationship Between Cohabitation and Divorce: Selectivity or Causal
Influence?” pubblicato su “Demography” ha mostrato che coloro che hanno avuto
un qualsiasi tipo di esperienza di convivenza pre-matrimoniale hanno una
probabilità dal 50 al 100 per cento maggiore di divorziare rispetto a coloro
che non hanno convissuto prima del matrimonio (pag. 357-374).
Nel 1992 ricercatori della
Bowling Green State Univeristy hanno dimostrato che la convivenza è associata
ad un rischio maggiore di scioglimento, tanto che la moltitudine di dati ha
portato ad affermare che la probabilità maggiore di divorzio dopo la convivenza
«sta iniziando ad assumere lo status di una generalizzazione empirica».
Nel 1992 una ricerca condotta
congiuntamente da ricercatori dell’Università di Yale e dell’Università della
California ha rilevato che uno dei risultati più consistenti in epidemiologia
psichiatrica è che le persone sposate godono di una migliore salute rispetto a
quelle non sposate. I ricercatori hanno riscontrato il maggior numero di
disturbi mentali tra i divorziati e separati, mentre il tasso più basso era tra
le persone sposate. Single e vedovi erano in una fascia intermedia.
Nel 1992 sociologi
dell’Università del Wisconsin-Madison hanno pubblicato uno studio attraverso il
quale si dimostrava che le coppie che avevano convissuto prima di sposarsi
riferivano una peggiore qualità del loro matrimonio, un minore impegno, una
visione più individualistica ed una maggiore probabilità di divorzio rispetto
alle coppie che non avevano convissuto. Gli effetti negativi crescevano al
crescere del periodo di convivenza.
Nel 1991 su “American
Sociological Review” è stato rilevato che i bambini che vivono con i genitori
single o genitori acquisiti in una convivenza (o secondo matrimonio) ricevono
meno incoraggiamento e meno aiuto nell’attività scolastica rispetto ai bambini
che vivono con entrambi i genitori naturali (biologici).
Nel 1991 una rassegna di oltre
130 studi pubblicati negli ultimi 100 anni, realizzata da ricercatori
dell’University of California, ha mostrato un alto impatto sul benessere
personale dovuto al matrimonio. Le persone sposate, infatti, hanno mostrato una
miglior salute e benessere rispetto alle persone in qualsiasi altra categoria
relazionale.
Nel 1990 lo studio intitolato
“Mortality Differentials by Marital Status: An International Comparison” ha
rilevato che uomini di mezza età non sposati, siano essi single, divorziati o
vedovi, hanno in media due volte più probabilità dei loro coetanei sposati di
morire prematuramente. Le donne non sposate, invece, presentano circa una volta
e mezzo più probabilità di morte prematura rispetto alle donne sposate. Questi
risultati sono coerenti a livello internazionale.
Nel 1989 i ricercatori Lois
Verbrugge e Donald Balaban hanno rilevato che le donne e gli uomini non sposati
generalmente trascorrono il doppio del tempo come pazienti negli ospedali
rispetto ai loro coetanei sposati.
Nel 1988, una ricerca di
ricercatori dell’Università del Wisconsis pubblicato sull’American Sociological
Review ha esaminato gli effetti della disgregazione della famiglia
nell’infanzia sull’esperienza familiare da adulti, rilevando una forte evidenza
del fatto che le donne che trascorrono parte della loro infanzia in famiglie
monoparentali sono più propense a sposarsi e avere figli precocemente, a
partorire prima del matrimonio, e vedere rompere il loro matrimonio.
Nel 1988, l’American Sociological
Review ha pubblicato una ricerca secondo cui il tasso di divorzio o
scioglimento della coppia per coloro che avevano convissuto prima del
matrimonio era superiore dell’80% rispetto a coloro che non avevano mai convissuto.
Nel giugno 1988 uno studio sul
“Journal of Family Issues” ha completamente respinto l’idea che la convivenza
prima del matrimonio migliori la scelta del partner. Essa è infatti risultata
essere negativamente correlata all’interazione coniugale e positivamente
correlata al disaccordo coniugale e alla propensione al divorzio.
Nel 1984 lo psicologo E.
Greenberger si è concentrato sul confronto tra crescita dei bambini in famiglie
monoparentali e con due genitori, rilevando che contributi essenziali per lo
sviluppo ottimale dei bambini, come l’indipendenza e l’individualità, sono
virtualmente impossibili da offrire per chi è single e che la famiglia è
l’ambito primo e più importante per lo sviluppo di sentimenti sul sé.
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