Rimane il divieto della eterologa, ma avanza il relativismo giuridico, 12
giugno, 2012, di Aldo Vitale*, *ricercatore in filosofia e storia del diritto, http://www.uccronline.it
Lo scorso 22 maggio la Corte
Costituzionale, adita per giudicare della legittimità costituzionale del comma
terzo dell’art. 4 (“E’ vietato il ricorso a tecniche di procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo”) della legge 40/2004, ha restituito
la questione e gli atti ai giudici ( di Firenze e di Catania ) che avevano
sollevato i dubbi di costituzionalità della norma in questione.
Bisogna cominciare dall’inizio,
cioè dallo statuto etico-giuridico dell’embrione, i diritti del quale sono
positivisticamente tutelati proprio dall’art. 1 della legge 40/2004
disciplinante le tecniche di PMA, e che oltre ad essere oramai riconosciuto
come ente autonomo dalla genetica e dall’embriologia, è anche tutelato
nell’ambito etico-giuridico come qualcosa di più di semplice materiale
organico. Del resto, lo stesso Comitato Nazionale perla Bioetica si è espresso
in questo senso, cioè nell’obbligo di osservare la posizione giuridica ed etica
dell’embrione, già con il suo parere del 1996.
Osserva sul punto il
costituzionalista americano dell’Università di Princeton Robert George che
«l’adulto che oggi siamo è lo stesso essere umano che, in una fase precedente
della propria vita, era un adolescente e prima ancora un bambino, un neonato,
un feto ed un embrione.[…] Un embrione umano non è qualcosa di diverso, nella
specie, da un essere umano, come lo è una roccia, una patata o un rinoceronte.
Un embrione è un individuo umano nel primissimo stadio del suo sviluppo
naturale.[…] Le fasi embrionale, fetale, neonatale, infantile ed adolescenziale
sono esattamente questo, fasi nello sviluppo di una determinata e perdurante
entità ( l’essere umano ) che nasce come organismo monocellulare ( zigote ) e
si sviluppa, se tutto va bene, fino alla fase adulta molti anni dopo».
Tutto ciò premesso, da costituire
parte integrante e punto fermo e fondamentale per ogni ulteriore
considerazione, per mezzo della recente decisione la Corte Costituzionale non
ha eliminato il divieto di procreazione eterologa, richiamandosi alla sentenza
della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del novembre del
2011 con cui fu dichiarato legittimo l’analogo divieto di procreazione
eterologa posto dalla legge austriaca in quanto, secondo la toga europea, esso
era in linea con le tradizioni culturali ed etiche dell’Austria e poiché in
simili questioni deve sempre essere riconosciuta la autonomia dei singoli Stati
per legiferare. Tuttavia la decisione
recente della Corte Costituzionale è in sostanza una decisione che scontenta
tutti in quanto si fonda su una pronuncia, quella europea, che è fondata più su
motivi ideologici e politici che su salde fondamenta giuridiche.
Essendo resa la decisione della
CEDU volatile dalla insostenibile leggerezza del relativismo giuridico che la
struttura visceralmente dall’interno ( in sostanza: ogni Stato faccia come
crede perché ci sono tanti buoni motivi per ammettere l’eterologa, quanti buoni
motivi per vietarla, o meglio non ci sono motivi sufficienti né per ammetterla,
né per negarla ), la pronuncia della Corte Costituzionale che ad essa si
riferisce non può che essere contagiata dallo stesso esiziale morbo, cioè
l’incapacità di trovare una ratio juris, di carattere eminentemente
gius-filosofico, della norma che consente o vieta la procreazione eterologa.
Per questo sarà molto probabile che nei prossimi mesi o anni la norma tornerà
all’attenzione delle toghe nazionali.
Ma proprio a questo punto si
giunge al punctum dolens. Chi sostiene la legittimità della eterologa, ritiene,
in sostanza, che essa rappresenti un bene in quanto si concede l’occasione ad
una coppia, altrimenti impossibilitata, di avere un figlio (pur non rendendosi
conto della contraddizione interna di un simile ragionamento, poiché ricorrendo
ad un donatore di ovulo o di sperma, il figlio non sarà mai effettivamente ed
interamente della coppia sterile o infertile, ma di uno dei due componenti
della coppia e del terzo donatore). Chi sostiene la illegittimità giuridica ed
etica, invece, sottolinea che il problema della soddisfazione di un desiderio
di genitorialità non può tradursi in una pretesa giuridica alla genitorialità,
cioè in un diritto alla genitorialità, o meglio, in un diritto al figlio,
poiché se un tale diritto fosse davvero configurabile, soggetto del diritto
sarebbero i genitori (e si dovrebbe avere la capacità di considerare sempre e
di superare l’antinomia già delineata sul ruolo genitoriale), ma oggetto del
diritto sarebbe il figlio.
Una elementare cognizione dei più
rudimentali principi di filosofia morale dovrebbe già lasciar trasparire la
difficoltà insita nel considerare un soggetto (il figlio) come un oggetto dei
diritti di altri soggetti (i genitori). Non occorre scomodare la solida
tradizione illuministica dell’etica kantiana (quella per cui l’umanità degli
altri deve essere considerata sempre come fine e mai come mezzo), per
comprendere che un ente o è oggetto o è soggetto di diritti. A ciò aggiungasi
che la natura del diritto non consiste nella mera legalizzazione dei desideri
dei singoli o nella mera copertura formale delle istanze sociali storicamente
determinate; il diritto esprime ciò che è giusto, cioè ciò che è razionale: e,
come si evince, non è razionale, poiché non è logicamente componibile nella sua
insanabile contraddizione, trattare un soggetto (il figlio) come un oggetto
(dei desideri dei propri genitori).
Se così non fosse perché non
riammettere la schiavitù? Perché celebrare la shoah? Perché punire la tratta di
essere umani? Perché vietare in tutta Europa la maternità surrogata a
pagamento? Perché considerare tante condotte umane (la prostituzione, la
compravendita dei voti, la compravendita degli organi umani, l’omicidio
rituale, lo sterminio economicamente giustificato e pianificato, il sacrificio
umano, solo per fare qualche esempio) eticamente e giuridicamente illegittime?
Il divieto di procreazione eterologa, allora, trova una sua più profonda e più
umana, cioè più etica e razionale, giustificazione nell’impossibilità di
trattare una persona, a prescindere dal suo stadio di sviluppo, dalla sua posizione
sociale o economica, dalla sua stessa concezione della vita e del diritto, come
un mero oggetto per la soddisfazione dei desideri o delle necessità altrui.
Ecco allora che quanti sostengono
il diritto al figlio non colgono il rischio di stravolgere il senso stesso del
diritto, di usarlo contro il figlio, cioè di negare, in definitiva i diritti
del figlio stesso. Tramite una traballante e scricchiolante giurisprudenza
europea e nazionale, di merito e costituzionale, esplode il paradosso notato
dal filosofo Marcel Gauchet: il desiderio del figlio, si trasforma nel figlio
del desiderio; dalla intuizione di Gauchet deriva per incoercibile necessità
logica che in brevissimo tempo il diritto al figlio dia vita al figlio di
diritto, tramutandosi infine nella negazione dei diritti del figlio. Una
metamorfosi che destruttura e disintegra il ruolo, l’identità e la natura di
tutti i soggetti coinvolti (non esclusi i medici) e, soprattutto, del diritto
che alla fine non esprime più il giusto, ma soltanto il desiderato (a
prescindere dalla sua ragionevolezza o razionalità).
In conclusione, per scoprire e
comprendere la ratio juris del divieto di procreazione eterologa e per
diagnosticare l’anemia giuridica e la distonia etica di molte decisioni
giurisprudenziali pur di alto grado giurisdizionale, occorre tener presente ciò
che aveva già intuito Emmanuel Mounier, per il quale «la persona è la gratuità
stessa».
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