Il pensiero anziano di Stefano Bartezzaghi - LA REPUBBLICA, 03 GIUGNO
2012, http://www.dirittiglobali.it/
A 80 anni fanno film o scrivono
libri di successo. Ma non solo: sono anche protagonisti di romanzi e fiction
tv. Ecco perché la produzione culturale si affida sempre di più ai grandi
vecchi
Lo scorso lunedì, alle sette del
mattino in punto, il sociologo anglo-polacco ZygmuntBauman faceva colazione in
una sala di un albergo di Pistoia. Appariva in gran forma, canticchiava
persino, a bocca chiusa, prima di attaccare yogurt e caffè. Pochi giorni prima
aveva parlato di «Decodificare il mondo in cui viviamo» al Festival Biblico di
Vicenza; poi aveva risposto alla domanda «La solidarietà ha un futuro?» agli
antropologici Dialoghi sull´uomo pistoiesi (pubblico osannante) e quindi,
sempre a Pistoia, ha tenuto per un´ora intera una conferenza stampa, davanti a
(tre) giornalisti di testate locali. Bauman è nato nel 1925. Quando non gira
per il mondo abita a Leeds, quando viaggia, vola con Ryanair, chiedendo solo il
benefit dell´imbarco prioritario. Tuttora, a 87 anni, pubblica un paio di libri
all´anno. E non si tratta di minestre riscaldate.
«Vecchio, io?». A chiederselo non
era Travis Bickle allo specchio, ma Primo Levi, che, a differenza del famoso
taxi driver, si affrettava a rispondere e anzi ad ammettere: «In assoluto, sì:
lo dicono l´anagrafe, la presbiopia, le chiome grigie, i figli ormai
adulti...». Era il 1982, e di anni Levi ne aveva sessantatré, età che oggi
viene considerata "terza" solo da direttori del personale in uzzolo
di prepensionamenti. Per chiunque altro, si è "nel pieno", e anzi
oggi può capitare che un ottantenne faccia paternalistici buffetti a un sessantenne,
mentre i quarantenni sono ancora alla gavetta e i trentenni al gavettone.
In sartoria i laticlavi sarebbero
pronti da tempo, ma "per ora" gli ottantenni non ne vogliono sapere.
Il regista francese Alain Resnais (89 anni) era in concorso a Cannes, dove ha
vinto il film di Michael Haneke (70), sull´Amour fra due ottantenni. Paolo (81)
e Vittorio (83) Taviani quest´anno hanno vinto Orso d´Oro e David: come miglior
film e come migliori registi, non alla carriera. Longevità prettamente
cinematografica, come per il portoghese Manoel de Oliveira (104) che ha diretto
il suo ultimo film solo tre anni fa? No, perché il discorso riguarda anche il
diplomatico franco-tedesco Stéphane Hessel (95), che tre anni fa ha esortato il
mondo a indignarsi con un celebre pamphlet; o anche un amico e coautore di
Hessel, il sociologo francese Edgar Morin (91). O il linguista e polemista
americano Noam Chomsky (84) e i critici Harold Bloom (82) e George Steiner
(83). Per non parlare di Oscar Niemeyer (105), che l´anno scorso ha inaugurato
il centro culturale asturiano a lui intitolato e da lui progettato.
No, non è (o non è più) un mondo
per gerontofobi. Persino il babau del Grande Vecchio (Bettino Craxi lo inventò
per designare burattinai, gestori e manovratori di manine, manone, manopole,
manipoli) è poi diventato Buono, e lo abbiamo mandato al Quirinale con Sandro
Pertini, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, in una
nazionale della terza e quarta età, vigile e carismatica (che ha avuto in Francesco
Cossiga il suo Chinaglia).
Ogni discorso generazionale ha
certo un fondo irriducibilmente idiota. Ma forse può fare eccezione il discorso
che riguarda proprio la generazione degli odierni settantenni e ottantenni. È
la più fortunata della storia post-edenica dell´umanità: troppo giovane per la
Seconda guerra mondiale, intermedia nel conflitto generazionale del
Sessantotto, troppo vecchia (e con diritti acquisitissimi) per subire le
conseguenze delle successive crisi, è la generazione che si è presentata invece
puntuale alla Dolce Vita, al Boom, alla liberazione sessuale (pre-Aids), al
godimento no problem di ogni risorsa naturale, ambientale, economica. Al
momento giusto, le hanno persino inventato il Viagra.
I fortunati vegliardi sembrano
avvantaggiati anche nell´industria culturale. Sono sul mercato da più tempo e
hanno un pubblico ben fidelizzato, essendo il mass-marketing basato su
ripetizioni di stilemi e tormentoni. Ma ci deve essere dell´altro, una diversa
disinvoltura. I più giovani, al loro confronto, spesso sembrano artisti a
partita Iva o a progetto. Per intenderci basterà rimandare agli interventi del
compianto Carlo Fruttero a Che tempo che fa. Sarà solo saggezza acquisita?
Ricchezza del repertorio aneddotico? Penultime chance per testimonianze di
prima mano su fatti remoti? O la squisita crudeltà del superstite, che non ha
passato a caso né invano la feroce selezione del tempo?
Per demografia ci sono proprio
più ottantenni in condizioni fisiche e cognitive ottimali. Tra gli artisti,
Christopher Plummer (82) vince il primo Oscar, battendo Max von Sydow (83). Nel
pubblico, settantenni e ottantenni hanno molto tempo libero, non hanno più
mutui da pagare e (novità recentissima) non sono più tanto abitudinari e
inclini ad accontentarsi di poco, come una volta. Costituiscono quindi un
grande, gioioso target consumista a cui strizza l´occhio innanzitutto la tv.
Maria De Filippi dedica parte di Uomini e donne a "tronisti" anziani,
e vanno in onda serie tv come la britannica Downtown Abbey protagonista Maggie
Smith (78) o l´americana Brothers & Sisters (tra i protagonisti, un
omosessuale settantenne, che incontra il suo ex, interpretato da Richard
Chamberlain, 76). Il cinema offre storie di coppie o combriccole mature
(Another Year, di Mike Leigh; Marigold Hotel, di John Madden; l´atteso Hope
Springs, con Meryl Streep). La letteratura, dominata in Italia dai bestseller
senza età di Andrea Camilleri (87), inventa l´on the road degli ottuagenari con
In viaggio contromano di Michael Zadoorian (Marcos y Marcos) e offre titoli
come Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve (Bompiani) di Jonas
Jonasson. Un senilismo che giova anche ai vecchietti di provincia dei fortunati
gialli di Marco Malvaldi (Sellerio) o a quelli di periferia del Marco Presta di
Un calcio in bocca fa miracoli (Einaudi).
L´invecchiamento demografico e il
marketing non spiegano, però, tutto. Come Malcom Gladwell ha sottolineato (in
Avventure nella mente degli altri, Mondadori) per noi il genio è il bambino
Mozart ma spesso la realtà ci presenta casi di anciens prodiges. È stato
proprio un economista David Galenson (University of Chicago) che con studi come
Old masters and young geniuses ha distinto Pablo Picasso da Paul Cézanne:
l´artista che sin da ragazzino trova senza cercare e il genio tardivo,
sperimentatore e perfezionista, che passa decenni a cercare, prima di trovare.
L´attuale fioritura di un´arte e
di un pensiero anziani pare però legata più strettamente al tema contemporaneo
dell´assenza dei padri, che ci porta a dare massima fiducia ai nonni. Il loro
pensiero ci pare più radicale, la loro voce ci pare più ferma, la loro identità
ci pare meno compromessa, meno strizzata dai perimetri dei format, meno
modellata dalle convenienze economiche, sociali e editoriali. Nei maggiori, non
vediamo pose, conformismo o anticonformismo, ma adesione spontanea a moduli
espressivi già sperimentati o nuovi, a seconda delle occasioni, senza
intenzione calcolata. Questa è la vera novità: fingiamo di interessarci alla
loro saggezza, ma quello che ci affascina è che per loro il percorso non
coincide con una carriera. I vecchi ci dicono che i veri limiti con cui siamo a
confronto sono dati nel linguaggio, nel corpo, nell´Altro e nella morte e che
del resto ci si potrebbe anche preoccupare di meno. Saggezza o non saggezza,
con l´ascoltarli ci costruiamo, con gratitudine, l´immagine di una libertà
ancora possibile.
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