La terza e la quarta età più in forma del previsto - Aumentano gli
anziani ma diminuisce il tasso di disabilità. La vita si è allungata perché ci
si ammala meno e più tardi - Elena Meli, 11 giugno 2012, http://www.corriere.it
MILANO - Uno "tsunami"
di anziani ci travolgerà. È questo che da anni raccontano le proiezioni
demografiche: un problema non solo per il sistema pensionistico ma anche per
quello sanitario, visto che l’allungamento della vita secondo molti osservatori
non potrà che tradursi in una schiera sempre più folta di vecchietti fragili e
malmessi. Rincuora scoprire che (forse) il futuro non sarà così apocalittico:
stando ai dati dello studio Salute e Benessere nell’Anziano (SeBA) condotto
dalla Società italiana di cardiologia geriatrica (Sicge) in collaborazione con
la Fondazione Sanofi-Aventis, infatti, i nostri anziani sono più in salute e
soddisfatti del previsto. Certo, sono tanti e pure destinati ad aumentare:
nell’anno dell’Unità d’Italia gli over 70 erano l’1% della popolazione e
l’aspettativa di vita si aggirava intorno ai 35 anni (bisogna però tener
presente che il dato era influenzato dall’alta mortalità infantile che
"abbassava" la media), oggi il 10% degli italiani ha più di 70 anni e
se ne vivono in media 80.
SEMPRE PIÙ IN FORMA - I centenari
sono oltre 15 mila contro i quattromila di 10 anni fa. Per fortuna però non si
tratta di un esercito di zombie: «Abbiamo ridotto la mortalità ma anche le
malattie: ci si ammala di meno e più tardi, tanto che la disabilità fra chi ha
più di 65 anni è calata del 24% dal 1982 al 2005 — spiega Niccolò Marchionni,
responsabile dello studio SeBA e presidente della Società italiana di
cardiologia geriatrica —. Tutto questo è frutto delle campagne di prevenzione e
degli avanzamenti in medicina. Uno su quattro fra i nostri intervistati ha
detto di sentirsi bene, e la percezione del proprio stato di salute è uno dei
migliori indici di sopravvivenza: chi si sente meglio vive più a lungo». Tutti
sappiamo che un settantenne di oggi non ha nulla a che vedere, quanto a
vitalità, con un suo coetaneo di 40-50 anni fa. Lo conferma l’indagine,
raccontando di anziani mediamente in salute: quelli interpellati vivono quasi
tutti con il coniuge o i figli, sono autonomi (ha una badante l’1,5%, e solo
fra gli over 90 la percentuale sale al 10%), hanno problemi di vista o di udito
in meno del 10% e sono soddisfatti della propria salute nel 22% dei casi. Solo
il 20% soffre di solitudine, il 50% è contento della propria vita e perfino del
reddito.
POPOLAZIONE SELEZIONATA - Un
quadro forse troppo idilliaco?Va detto che lo studio è stato condotto su
anziani andati con le proprie gambe dal medico di famiglia: si tratta perciò di
una popolazione "selezionata", che non include chi sta peggio e non
esce di casa. «Non solo: i dati provengono da tre Asl di Nord, Centro e Sud, ma
non si possono considerare veri sempre e ovunque, in qualsiasi realtà —
interviene Giuseppe Paolisso, presidente della Società italiana di geriatria e
gerontologia —. Vivere in una metropoli o in una piccola città di provincia può
fare la differenza per qualità della vita e assistenza: in un piccolo centro la
maggior socializzazione può proteggere il benessere cognitivo, ma può essere
più complicato l’accesso alle cure. E non dimentichiamo che le criticità della
terza età sono ben lungi dall’essere risolte, basti pensare che il 70-80% degli
anziani convive con un dolore cronico».
POCO MOVIMENTO - Insomma, non è
forse tutto oro quel che luccica, anche perché alcuni indicatori dell’indagine
non rassicurano: pure se la maggioranza degli anziani esce ogni giorno e un
terzo fa attività all’aperto (dal giardinaggio alla cura dell’orto), oltre il
65% non ha mai praticato esercizio fisico nel corso dell’ultimo anno e la
maggioranza ha qualche impaccio mentre cammina. Non solo: oltre il 70% sta
davanti alla televisione più di 3 ore al giorno, il 67% non è andato mai al
cinema o a teatro negli ultimi 12 mesi, circa la metà si dedica alla lettura
meno di 3 volte al mese, poco più del 50% si è dedicato ad attività creative o
ha frequentato altre persone al bar o altrove. Tuttavia, altri dati sembrano
confermare che stiamo meglio del previsto: una ricerca pubblicata di recente
sulla rivista Neurology, condotta in Olanda analizzando, nel 1990 e poi nel
2000, oltre settemila persone fra i 60 e i 90 anni, rivela che l’incidenza di
demenza, lo spauracchio che più terrorizza chi invecchia, è in costante
diminuzione.
DIAGNOSI MIGLIORI - «Significa
che, anche se siamo diventati più bravi a fare le diagnosi e scoviamo un numero
maggiore di nuovi pazienti rispetto a quanto riuscissimo a fare prima, i nuovi
casi sono di fatto in calo, e lo sono pure fra gli ultranovantenni — commenta
Sandro Sorbi, docente di neurologia dell’Università di Firenze —. Certo,
complessivamente i malati sono tanti e in aumento, e ciò può sembrare una
contraddizione: in realtà, questo dato si spiega, oltre che con l’incremento
numerico della popolazione anziana, col fatto che la durata della demenza si è
allungata, grazie a diagnosi precoci e cure che, per quanto non risolutive, ne
rallentano la progressione. Per questo il serbatoio totale di malati non sembra
ridursi, ma i dati indicano che è possibile diminuire l’impatto delle demenze e
probabilmente i fattori che più hanno contribuito al calo di nuovi casi sono la
riduzione del fumo e il miglioramento dello stato di nutrizione. Dobbiamo
proseguire su questa strada, ottimizzando il controllo di fattori di rischio
come l’ipertensione, il diabete o l’obesità».
DODICI MILIONI - Insomma: non per
forza diventeremo anziani fragili e dementi, intervenire è possibile sia a
livello individuale, cercando di mettere in pratica le buone regole per
arrivare a cent’anni (o giù di lì) in buona salute, sia come comunità, provando
a gestire al meglio le risorse disponibili e a programmarle pensando a numeri
realistici di anziani fragili, senza farsi sopraffare dall’impotenza pensando
di dover assistere milioni di over 65 tutti disabili. Senza farsi trasportare
neppure troppo dall’ottimismo: gli anziani che hanno bisogno di aiuto restano
tanti perché gli over 65 sono ormai oltre 12 milioni: anche se la mancanza di
autonomia riguarda il 10% si tratta pur sempre di oltre un milione di persone.
«Occorre pensare a strade alternative di gestione dell’assistenza — osserva
Marchionni —. Sappiamo ad esempio quanto sia importante l’attività fisica negli
anziani, anche dopo un evento che lasci disabilità motorie, ma è difficile
garantire a tutti una fisioterapia. Perché non pensare allora a gruppi seguiti
da laureati in scienze motorie che eseguano un’attività fisica adattata? Costa
meno ed è comunque meglio che non fare nulla».
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