11 giugno 2012 - Famiglia e la mentalità predatoria dell'oggi - Ma la
felicità si offre di Francesco D'Agostino, http://www.avvenire.it/
Vorrei commentare le giornate
milanesi dedicate alla famiglia con alcune brevi meditazioni sulla felicità
familiare. Spero che con questo inizio i lettori non si spaventino. Jacques
Maritain diceva che a volte si può fare più filosofia assaporando una ciliegia
tra i denti che non scrivendo ponderosi trattati. Mettendomi sulla sua scia,
aggiungerei che una battuta, una facezia, una vignetta riescono a volte a farci
percepire la realtà meglio di quanto non riescano a fare gli editoriali di
illustri (!) accademici. Mi sto riferendo a una vignetta di Altan, apparsa su
Repubblica del 4 giugno. Due personaggi, presumibilmente un bambino e una
bambina (non per il loro aspetto, ma perché hanno in mano giocattoli) si
scambiano due battute, che dovrebbero essere ironiche, ma che a me sono apparse
tragiche. Il primo dice: «Abbiamo diritto a un po’ di felicità».
La seconda risponde con una
domanda: «A chi gliela togliamo?». Sembra che il problema sia davvero tutto
qui: a chi dobbiamo togliere quella parte di felicità che non possediamo, ma
alla quale riteniamo di avere diritto? A chi ne ha troppa (ma come stabilire il
"troppo" della felicità)? A chi non la merita (ma c’è qualcuno che
non merita di essere felice)? Ai nemici (ma se poi si vendicano)? Agli amici
(ma continueranno a essere amici di coloro che avranno tolto loro la felicità)?
Ai genitori? (non c’è dubbio che i genitori sono in genere disponibilissimi a
dare ai figli tutta la felicità di cui essi possano disporre... ma in genere
non è quella dei genitori la felicità che desiderano i figli). È chiaro che in
questo modo non si va molto lontano e che fin dall’inizio il discorso è
viziato. C’è qualcosa di distorto, infatti, nell’idea di una felicità, che si
può conquistare solo per sottrazione (e al limite per furto), togliendola cioè
ad altri. La felicità, quando è vera, è un bene contagioso: chi è felice rende
felici gli altri, senza portar loro via assolutamente nulla. Quanto più uno è
autenticamente felice, tanto più è in grado di aumentare la felicità altrui. Se
le cose stanno così, come dobbiamo interpretare allora la vignetta di Altan?
Chi sono i suoi veri destinatari? Vuole colpire quei pochi egoisti, potenti e
crudeli, che tolgono subdolamente la felicità al popolo e alle masse? O non
colpisce piuttosto – e non so con quanta consapevolezza – l’egocentrismo che
pervade l’animo degli uomini di oggi?
A me sembra che Altan descriva
esattamente la realtà dell’individualismo contemporaneo, nel suo fondo più
oscuro e meno confessabile, che non è esagerato definire predatorio.
All’incremento della felicità dell’uno non potrebbe che corrispondere il
decremento della felicità dell’altro. Mi arricchisco perché l’altro si
impoverisce. Conquisto i miei spazi, perché riesco a sottrarli a chi me li
contende. Vinco e celebro il mio trionfo perché i miei rivali perdono e vengono
umiliati. Se la mia felicità è un "diritto", perché essa si realizzi
è inevitabile che l’altro abbia il "dovere" di perdere la sua. Questo
paradigma è talmente consolidato nel tempo in cui viviamo che è difficile
perfino avvertire quanto sia pervasivo e distorto. Giunge la stagione delle
vacanze e i figli abbandonano gli anziani genitori negli ospedali o in apposite
residenze: hanno pur diritto a un po’ di felicità e a godersi le ferie! I figli
costano e desiderano fratelli con cui giocare e accanto ai quali crescere; ma
come è compatibile questa loro felicità con l’aspirazione dei loro (ipotetici)
genitori a vivere una felice (e più agiata) vita di coppia? Meglio rinunciare a
far figli. Tizio si disamora della famiglia, abbandona la moglie e cerca la sua
felicità con un’altra donna, attivando nuovi legami familiari: ho pur diritto –
egli sostiene – a un po’ di felicità (e poco conta se, per realizzarla, egli la
toglie alla moglie e ai figli che abbandona, a volte condannandoli anche a
ristrettezze economiche). È inevitabile a questo punto giungere all’esempio più
crudo e oggi meno avvertito, quello delle donne che interrompono la gravidanza:
pensano di aver diritto in tal modo a "un po’ di felicità" e non si
rendono conto di togliere in tal modo ai loro figli, cui viene preclusa la
possibilità di nascere, qualunque possibilità di essere a loro volta, anche se
in piccolissima misura, felici. Non credo che nella sua vignetta Altan volesse
alludere a tutto questo. Ma ci allude obiettivamente e tanto può bastare.
© riproduzione riservata
Nessun commento:
Posta un commento