«Gli errori della sentenza di Strasburgo contro la Legge 40», 29 agosto
2012, Benedetta Frigerio, http://www.tempi.it
«La sentenza contrasta con
l’articolo 1 della legge 40 che prevede l’accesso alla fecondazione solo delle
coppie sterili. È questo il punto su cui è debole la sentenza della Corte di
Strasburgo, che viene ancora prima della discussione sul diritto della coppia
in questione alla diagnosi pre impianto. Sterile, per il nostro ordinamento, è
considerato anche chi ha malattie sessualmente trasmissibili, ma non
genetiche». Così Giacomo Rocchi, magistrato della Corte di Cassazione, attacca
la decisione presa ieri dalla Corte di Strasburgo dei diritti umani, che ha
bocciato l’impossibilità per una coppia italiana fertile, ma portatrice di una
malattia genetica (la fibrosi cistica), di ricorrere alla fecondazione
assistita e di accedere alla diagnosi pre impianto degli embrioni. Secondo i
giudici, la cui decisione diverrà definitiva entro tre mesi se nessuna delle
parti farà ricorso, la legge 40 vìola il diritto al rispetto della vita privata
e familiare di Rosetta Costa e Walter Pavan, cui lo Stato dovrà versare 15 mila
euro per danni morali e 2.500 per le spese legali. «Il passaggio fondamentale
della sentenza emessa ieri dalla Corte abolisce il divieto della diagnosi pre
impianto stabilito dalla legge 40 sulla fecondazione assistita. Il passaggio è
contenuto nel punto 60 della sentenza, in cui si afferma che la legge italiana
nel suo complesso è incoerente».
In altre parole, la legge 40
contrasterebbe con la legge 194/1978 sull’aborto.
In effetti la legge 40 vieta,
all’articolo 14, «la crioconservazione e la soppressione di embrioni», ma
«fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194». Qui sta
l’ambiguità: all’articolo 6 la legge 194 permette l’aborto dopo i novanta
giorni «quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti
anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per
la salute fisica o psichica della donna». La definizione di salute accettata
dal nostro ordinamento è quella dell’Organizzazione mondiale della sanità: “Uno
stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”. Così per abortire un
feto malato secondo la legge 194 alla donna basta dire che non riesce a
sopportarlo. Tanto che oggi il 90 per cento dei bambini sottoposti a diagnosi
prenatale e malati vengono abortiti a scopo eugenetico. Se è permesso questo
per un feto, dice la Corte, secondo la legge 40 che si rifà alla legge 194 deve
essere permesso anche per l’embrione. Inoltre la fecondazione assistita prevede
già in sé la possibilità che per fare un figlio muoiano gli embrioni prodotti
più deboli: il confine è sottile.
I ricorrenti, nel 2006, avevano
già concepito un bambino con la fibrosi cistica. Nel 2010, in seguito ad
un’altra gravidanza, avevano fatto la diagnosi prenatale scoprendo che il
bambino era malato. Fu loro permesso di abortirlo.
La coppia scrive fra le
motivazioni che non ha senso che le sia stato permesso l’aborto di un feto, ma
non le si conceda l’eliminazione di un embrione. La Corte gli dà ragione, ma è
debole quando scrive che l’embrione non può essere considerato un bambino. Il
fatto che questo argomento sia citato en passant giuridicamente dimostra la
debolezza di un’affermazione perentoria. Infatti, in questo punto ritroviamo la prima
contraddizione della sentenza, che risulta incoerente con la giurisprudenza
europea, dato che la Corte di Giustizia Europea ha ormai affermato che “sin
dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato
come un embrione umano, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al
processo di sviluppo di un essere umano”.
Cadrebbe così anche la terza
motivazione della Corte che si appella alla Convenzione dei diritti dell’uomo a
cui il legislatore nazionale deve sottostare. All’articolo 8 viene enunciato il
diritto al rispetto della vita familiare entro cui lo Stato non può entrare se
non per motivi di sicurezza nazionale.
La Corte dei diritti dell’uomo
dice che l’embrione non è un bambino. E dato che il diritto all’aborto è ormai
riconosciuto come un diritto soggettivo, tanto che, come in questo caso, se non
è permesso o se non si informa la madre della malattia del feto è previsto un
risarcimento danni dall’ordinamento civile, a maggior ragione non bisognerebbe
fare eccezione per l’embrione prodotto in laboratorio. Ovvio che se si fosse seguita
la recente giurisprudenza europea per cui la vita dell’embrione va tutelata le
cose sarebbero andate diversamente. A questo punto però la tutela non dovrebbe
valere solo per l’embrione ma anche per il feto: come non si accetta la
diagnosi pre impianto a scopo eugenetico, non si dovrebbe accettare nemmeno la
diagnosi prenatale che ha lo stesso fine.
Dunque il governo può ancora
ricorrere alla Grande Camera. Ci sono altre incongruenze nella sentenza?
C’è un errore grave di tipo
procedurale. Per ricorrere alla Corte Europea dei diritti umani il cittadino
deve aver esaurito i ricorsi ai tribunali statali. In questo caso non ce n’è
stato nemmeno uno. La Corte accetta il ricorso giustificandosi così: date le
motivazioni del governo contrarie alla coppia, è evidente che i ricorsi
sarebbero stati persi. Questo è un errore grossolano perché il governo non è il
legislatore. Non solo, i due ricorrenti portano, in allegato al ricorso, come
motivazione a loro favore, la sentenza di un giudice di Salerno che permette a
una coppia malata di accedere alla fecondazione. Come a dire che qualcuno in
Italia ha già avuto il via libera.
Il giudice di Salerno però usò
erroneamente le linee guida del 2008 che considerano sterili solo chi ha
patologie sessualmente trasmissibili.
La legge 40 permette l’accesso
alla fecondazione solo alle coppie infertili per evitare operazioni di tipo
eugenetico. Ed è vero che la sentenza di Salerno si riferisce erroneamente a
una fattispecie diversa. Infatti, contrariamente a quanto si sente dire, le
linee guida accetta il ricorso alla fecondazione da parte di chi ha malattie
sessualmente trasmissibili e non genetiche, che è molto diverso: chi le ha è
considerato come un infertile e quindi avrebbe accesso alla fecondazione
assistita, ma questo non significa che sia permessa la selezione degli
embrioni. Infatti, in questi casi, lo sperma può essere pulito prima della
fecondazione.
Perché allora i ricorrenti non
hanno cercato di appellarsi ai tribunali italiani?
È chiaro che c’è molto di
ideologico sia nel ricorso sia nella sentenza che si è prestata alla
stumentalizzazione. I ricorrenti vogliono evidentemente una regola generale che
permetta la fecondazione senza vincoli. Il che sarebbe peggio di quando una
norma non esisteva. Infatti, se una legge italiana contrasta con una norma
della Convenzione europea dei dirtiti dell’uomo quella italiana deve essere
abolita. Dunque, se la sentenza rimane questa, i due ricorrenti potranno
portarla davanti alla Corte Costituzionale che sarà costretta o ad abolire la
legge 40 oppure la legge 194.
@frigeriobenedet
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