Le contraddizioni della Corte Europea sulla legge 40, di Alfredo De
Matteo, 30 agosto 2012, http://www.corrispondenzaromana.it
Oltre alle bugie anche i
compromessi sui temi etici hanno le gambe corte: la Corte Europea dei diritti
dell’uomo ha accolto il ricorso di una coppia fertile portatrice sana della fibrosi
cistica cui era stato negata la possibilità di accedere alla diagnosi
preimpianto degli embrioni (un test genetico che si effettua su una cellula
dell’embrione dopo tre giorni dalla fecondazione per verificare eventuali
malattie genetiche), secondo quanto prescrive la legge 40/2004.
L’argomentazione addotta dai due
coniugi romani riguarda la violazione dell’articolo della Convenzione dei
diritti umani che garantisce il rispetto della vita privata e familiare della
coppia, in quanto obbligati dalla legge a seguire la via del concepimento
naturale e dell’eventuale aborto. Un
gioco da ragazzi per i giudici di Strasburgo rilevare la clamorosa incoerenza
del sistema legislativo italiano, secondo cui non è possibile accedere alla
tecnica della fecondazione assistita se la coppia che ne fa richiesta ha
un’alta probabilità di trasmettere una malattia genetica alla prole, mentre le
è consentito accedere alla cosiddetta interruzione volontaria della gravidanza
qualora, a seguito di un’amniocentesi, venisse riscontrata una malattia
genetica nell’embrione. In altre parole, per la legge italiana è ammessa
l’uccisione di un essere umano innocente con l’aborto volontario, disciplinato
dalla legge 194/1978, anche ad uno stadio molto avanzato del suo sviluppo
intrauterino, mentre ciò non è consentito se questi ha poche ore di vita!
Tuttavia, occorre sottolineare
come la Corte Europea tenda ad equiparare due tecniche, la diagnosi prenatale e
la diagnosi preimpianto, in realtà diverse nelle finalità: mentre la prima non
ha come sbocco inevitabile la distruzione del figlio malato (in realtà è
utilissima per predisporre cure efficace sull’embrione anche dopo la
gravidanza), la seconda sì. Dunque, il fatto che una coppia portatrice sana di
una malattia genetica non possa accedere alla tecnica della fecondazione
artificiale costituisce una, seppur minima, tutela dell’embrione malato
altrimenti destinato a morte certa.
Inoltre, con tale sentenza, che
di fatto mette al primo posto il diritto dei coniugi ad avere un figlio sano a
scapito del diritto alla vita, la Corte smentisce un suo precedente
pronunciamento datato 18 ottobre 2011 quando, chiamata a pronunciarsi sulla
brevettabilità circa l’utilizzo degli embrioni umani a fini di industriali e di
ricerca, sentenziò che «fin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo
umano deve essere considerato come un embrione umano, e quindi va ritenuto un
essere umano, pur se è a uno stadio iniziale di sviluppo». Pertanto, le
contraddizioni sono molte e non solo quelle insite nel disastroso panorama
legislativo italiano in tema di aborto volontario e fecondazione assistita.
D’altra parte, nel tempo la legge
40 è stata più volte messa in discussione, malgrado nel 2005 venne confermata
dalla volontà popolare con la schiacciante vittoria dell’astensionismo ad un
referendum abrogativo, fino a quando, nel 2008, il ministro della Salute Livia
Turco dell’allora governo Prodi modificò i connotati della legge riscrivendone
le linee guide e allargandone ancora di più le già lacerate maglie normative.
Sebbene la legge 40 sia ingiusta, incoerente e facilmente aggirabile, il
nemico, che non accetta compromessi né gioca al ribasso al contrario dei suoi
avversari, ha lavorato alacremente per abbatterla.
C’è da rilevare che mentre i
giudici di Strasburgo e gli esponenti politici idolatri del laicismo spinto non
fanno altro che compiere il loro (sporco) lavoro, ciò non si può dire per la
parte del mondo cattolico e pro-life che ha voluto, sostenuto e difeso la legge
40 come se fosse una buona legge o, addirittura, una legge cattolica.
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